Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 43735 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 43735 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VITERBO il 13/07/1955
avverso l’ordinanza del 29/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Roma ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita in un procedimento penale nel quale era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari (per 130 giorni) in ordine a plurimi reati di corruzione e turbativa d’asta.
COGNOME, nella qualità di Presidente del CdA di RAGIONE_SOCIALE, era stato accusato di avere, quale privato corruttore, corrisposto denaro e altre utilità ai pubblici ufficiali COGNOME (direttore generale presso direzione generale della pesca marina e dell’agricoltura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), COGNOME (capo di gabinetto del Ministro delle politiche agricole) e COGNOME (dirigente dell’ufficio presso la Direzione Generale dello sviluppo agroalinnentare e della qualità) per ottenere l’aggiudicazione di gare pubbliche e di avere, altresì, turbato dette gare.
1.1.In data 14 aprile 2016, il Tribunale di Roma aveva assolto il ricorrente da tutti i reati a lui ascritti con la formula “perché il fatto non sussiste”, rilevand mancanza di prove in ordine al compimento di atti contrari ai doveri di ufficio, all’accordo corruttivo e alla percezione di utilità. Il Procuratore della Repubblica aveva proposto impugnazione e, in sede di giudizio di appello, aveva concluso chiedendo il proscioglimento degli imputati per intervenuta prescrizione. La Corte di Appello, con sentenza del 18 novembre 2021, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello del Procuratore e la esecutività della sentenza di primo grado e nella motivazione aveva rilevato la sopravvenuta carenza di interesse all’appello proposto dal Pubblico Ministero per intervenuta prescrizione.
1.2.La Corte della riparazione ha rilevato che, a fronte della richiesta di proscioglimento da parte del Procuratore per causa estintiva dei reati, la Corte del merito aveva indicato in motivazione che i reati contestati a COGNOME erano prescritti, ma nel dispositivo aveva dichiarato l’ inammissibilità dell’appello e l’esecutività dell’assoluzione. A fronte di un provvedimento che si prestava sotto il profilo esegetico a interpretazioni non univoche tra prescrizioni e assoluzione, fermo restando il proscioglimento, la Corte della riparazione ha valutato la condotta extra processuale del COGNOME e ha ritenuto che la stessa fosse ostativa in quanto connotata da colpa grave.
Avverso l’ordinanza, COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto ricorso formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’articolo 51, comma 1 n. 4 e comma 2 cod. proc. civ. Il ricorrente rileva che
un componente del collegio che aveva emesso l’ordinanza impugnata era stato componente del collegio del Tribunale del Riesame che aveva confermato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare e afferma, pertanto, che, ai sensi dell’art. 51 cod. proc. civ. , aveva l’obbligo di astenersi. Essendo stata la decisione impugnata adottata in camera di consiglio, il difensore non ebbe contezza della composizione del collegio e non fu, pertanto, in grado di formulare una tempestiva istanza di ricusazione. La nozione di grado, contenuta al n. 4 dell’art. 51 comma 1 c.p.c, viene solitamente intesa dalla giurisprudenza di legittimità in senso restrittivo: tuttavia, la configurazione ibrida dell’istituto impostazione civil-processualista e tuttavia disciplinato dal codice penale di rito, pone in evidenza l’opportunità di un’astensione da parte di un giudice chiamato a pronunciarsi su un evento al quale egli stesso ha contribuito a dare causa. Come chiarito dalla Corte costituzionale, la disciplina dell’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e della imparzialità di cui all’artt. 111 e 117 Cost. e 6 Cedu e mira ad escludere che il giudice possa pronunciarsi, condizionato dalla tendenza a confermare una decisione già assunta. In via subordinata, il ricorrente chiede sollevarsi la questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 51 cod. proc. civ. con riferimento ag articoli 111, 117 Cost, 46 Carta dei Diritti Fondamentali dell’ UE, 6 Cedu nella parte in cui non obbliga ad astenersi dalla decisione il giudice che, avendo contribuito ad emettere o convalidare la decisione applicativa della misura nei confronti dell’istante, è chiamato successivamente a pronunciarsi ex art. 314 e ss cod. proc. pen. in relazione alla domanda di equa riparazione per la custodia cautelare ingiustamente subita.
2.2. GLYPH Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al contenuto inequivocabilmente assolutorio della sentenza definitiva pronunciata dalla Corte d’appello. Il difensore ricorda che la Corte d’appello si è limitata a prendere atto della sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione da parte del pubblico ministero e, conseguentemente, a dichiarare la esecutività della decisione emessa in esito al giudizio di prime cure. L’ordinanza impugnata, dunque, sarebbe affetta dal vizio di motivazione correlato all’omessa illustrazione delle ragioni in funzione delle quali la decisione pronunciata dalla Corte d’appello dovrebbe interpretarsi come sintomatica di una mera declaratoria di proscioglimento per estinzione del reato, anziché di assoluzione nel merito.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa grave. Il difensore contesta l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo cui il giudice di merito, pur avendo assolto in primo grado il ricorrente da ogni imputazione per insussistenza del fatto
e con formula piena, avrebbe specificamente stigmatizzato alcune condotte extra processuali gravemente negligenti. Tale assunto sarebbe smentito dalla motivazione della sentenza di primo grado, nella quale non era contenuta alcuna considerazione negativa in ordine alla condotta posta in essere dal ricorrente (l’invio di un regalo natalizio ai coniugi COGNOMECOGNOME pubblici ufficiali, compenso legittimamente percepito da NOME COGNOME, fidanzato della figlia di NOME COGNOME i rapporti con COGNOME, già dipendente e poi collaboratore del MIPAAF, addetto alla redazione del bando di gara), da cui potesse desumersi la sussistenza della condizione ostativa alla riparazione.
2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della condizione ostativa alla riparazione. Il difensore ricorda che la sentenza di assoluzione si era fondata, pressoché integralmente, su materiale già noto al giudice della cautela. Ne consegue che l’originario quadro indiziario era inidoneo a configurare l’esistenza materiale delle condotte di corruzione e di turbata libertà degli incanti ipotirMte nel contesto dei provvedimenti cautelari. Il rimprovero sostanzialmente formulato a carico del ricorrente, consistito, in sintesi, nell’avere intrattenuto rapporti tropp frequenti ed amichevoli con alcuni esponenti della compagine ministeriale che costituivano i suoi interlocutori istituzionali, sarebbe irragionevole, posto che la stretta e continuativa collaborazione fra funzionari ministeriali e GLYPH soggetti aggiudicatari è GLYPH non solo auspicabile, ma addirittura necessaria, in quanto funzionale al buon esito delle iniziative dell’amministrazione.
La Corte della riparazione, inoltre, non avrebbe motivato in ordine alla originaria consapevolezza da parte dell’istante della possibilità che la propria condotta potesse essere apprezzata come dolosa o colposa ai fini del riconoscimento dell’equa riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. e non avrebbe tenuto conto del principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per cui si concorre a dare causa all’ adozione della misura se si sia consapevoli dell’attività delittuosa di altri, ovvero, pur non concorrendovi, si ponga in essere una condotta che si presti ad essere interpretata come contigua a quella attività.
Infine, il ricorrente COGNOME osserva COGNOME che la previsione di cause ostative al riconoscimento dell’indennizzo non troverebbe riscontro nell’articolo 5 paragrafo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, né nell’articolo 9 paragrafo 5 del Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici, il quale prevede un automatico right to compensation ogni qualvolta si accerti una detenzione illegale, a prescindere dai comportamenti collaterali eventualmente tenuti dall’istante.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
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Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, in data 2 ottobre 2024, ha depositato memoria con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o in subordine rigettarlo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo, con cui si è dedotta la nullità dell’ordinanza impugnata per essere stata emessa da un collegio, un cui componente aveva fatto parte del Tribunale del Riesame che aveva confermato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare, è manifestamente infondato.
2.1. Il procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione, per quanto disciplinato dal codice di procedura penale (artt. 314 e 315), ha natura civilprocessualistica nel senso che, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, è ispirato ai principi del processo civile. In tal senso, s sostenuto, ad esempio, che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi dell domanda (la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione), mentre alla parte resistente incombe di provare il dolo o la colpa grave da parte dell’istante medesimo quali causa o concausa del provvedimento restrittivo (Sez.4 , n. 18828 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276261 – 01) e che la regolamentazione delle spese dalle parti segue le regole dettate dagli artt. 91 e ss. cod. proc. civ. (Sez. 4 , n. 5923 del 21/12/2018, dep. 2019, Ferit, Rv. 275124).
Quanto al contenuto del giudizio di riparazione, le Sezioni Unite hanno chiarito che esso è ontologicamente differente, sia rispetto a quello relativo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia rispetto a quello relativo alla affermazione della responsabilità penale. Il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale. In sede di verifica della sussistenza di tale condizione, dunque, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a
configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un coinvolgimento nell’illecito oggetto d’indagine (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663).
Così perinnetrato il contenuto della valutazione rimessa al giudice della riparazione, a seguito di un processo penale ormai definito, è evidente che non vi sono ragioni per applicare a tale procedimento, perché non configurabili, le situazioni di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento previste dall’art. 34 cod. proc. pen,. (Sez.. 3, n. 33810 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 282236; Sez. 4, n. 11475 del 23/02/2021, Conte, Rv. 280704; Sez. 4, n. 113 del 31/1/1994 Corrias, Rv. 1969729), ovvero le situazioni di incompatibilità previste dal codice di procedura civile, invocate dal ricorrente. Attraverso la disciplina dei casi di incompatibilità e dell’istituto della ricusazione, invero l’ordinamento processuale intende assicurare alle parti uno strumento per estromettere dal processo il giudice che versa in una situazione che possa pregiudicare la sua terzietà e imparzialità, così da assicurare l’osservanza del principio costituzionale del giusto processo ex art. 111, secondo comma, Cost. Posto che il giudizio rimesso al giudice della riparazione, innestandosi su un giudizio penale ormai definito, è del tutto autonomo e differente rispetto a quello rimesso al giudice della cautela ed al giudice del merito, la partecipazione di tale giudice al pregresso procedimento penale (sia in fase cautelare, sia in fase di cognizione) non può in alcun modo arrecare un pregiudizio alla sua terzietà ed imparzialità.
Ne consegue che la partecipazione del collegio chiamato a decidere sulla istanza di riparazione, a fasi del diverso procedimento penale nel corso del quale si è verificata la detenzione asseritamente ingiusta, non può determinare alcuna incompatibilità.
Per le stesse ragioni, la questione di costituzionalità proposta dal ricorrente deve essere dichiarata manifestamente infondata. La diversa natura dei procedimenti e il diverso perimetro di valutazione rimesso ai giudici nell’uno e nell’altro caso fanno sì che non sia ipotizzabile alcun condizionamento per il giudice della riparazione dalle determinazioni assunte come giudice della cautela, sicché nessun vulnus all’ imparzialità del giudizio può essere ravvisata.
Il secondo motivo, con cui si censura la motivazione della Corte di Appello nella parte in cui aveva rilevato il contenuto ambiguo della sentenza di secondo grado che aveva definito il processo nel merito, è manifestamente infondato.
La Corte della riparazione si è limitata a rilevare, in premessa, l’ esistenza di una contraddizione fra la motivazione della sentenza della Corte di appello, nella quale si era dato atto che i reati erano estinti per prescrizione, ed il dispositivo di
tale sentenza, con cui era stata confermata la assoluzione del Tribunale, ma ha, in ogni caso, valutato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione come successiva ad una sentenza assolutoria passata in giudicato.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, dunque, la Corte della riparazione, proprio in ragione del contenuto ambiguo della sentenza di secondo grado, tale da prestarsi ad interpretazioni non univoche tra prescrizione e assoluzione, ha aderito all’ interpretazione più favorevole per il ricorrente e ha preso in esame l’istanza di COGNOME come conseguente ad una pronuncia assolutoria nel merito, ex art. 314 cod. proc. pen.
4. Il terzo e il quarto motivo, cori quali si censura la ritenuta sussistenza della condizione ostativa della colpa grave, sono infondati. La Corte della riparazione GLYPH ha osservato che Sorbini GLYPH aveva tenuto comportamenti equivocabili e censurabili sotto il profilo dell’opportunità, consistenti nell’eccessiva familiarità con i funzionari del ministero che partecipavano alle gare del Mipaaf. L’istante -hanno commentato i giudici- aveva intessuto con tali soggetti rapporti personali frequenti ed intensi, tali da indurre ad ipotizzare l’esistenza di un circolo ristretto di personaggi collegati tra loro perciò stesso in posizione di vantaggio rispetto ad altri, e in tal modo aveva violato le e disposizioni in materia di buona fede e correttezza contrattuale di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ; aveva inviato un regalo natalizio a NOME COGNOME e NOME COGNOME ed in tal modo aveva tenuto una condotta volta ad ingraziarsene i favori in vista di successivi bandi di gara; aveva compensato, sia pure per una prestazione legittima ed effettiva, NOME COGNOME, fidanzato della figlia di NOME COGNOME; aveva intrattenuto rapporti confidenziali con COGNOME, addetto alla redazione del bando “RAGIONE_SOCIALE“: nelle conversazioni con il coimputato COGNOME i due discutevano di tempistiche e modalità del bando di gara, note a COGNOME, nonostante fossero coperte da segreto; aveva intrattenuto rapporti confidenziali e stretti con COGNOME, in violazione delle regole in materia di buona fede e correttezza e di quelle previste dalla legge n. 231/2001 relative ai modelli organizzativi e di gestione, per le quali chi riveste cariche rappresentative in un’impresa interessata a partecipare ad una gara è tenuto a non instaurare rapporti preferenziali con pubblici ufficiali addetti all’espletamento di tale gara. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.1.11 percorso argomentativo adottato è coerente con i dati di fatto e rispettoso dei principi di diritto elaborati dalla corte di legittimità, sia sotto il p dell’ individuazione della condotta, sia sotto il profilo della ritenuta incidenz causale di tale condotta nella creazione dell’apparenza di reato e, quindi, nella instaurazione della detenzione.
In primo luogo, in ossequio al principio per cui il giudice della riparazione non può valorizzare elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez, 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 27435), la Corte ha preso in esame proprio le condotte che in sede di cognizione erano state accertate nel loro accadimento fattuale, a nulla rilevando che tali condotte siano state ritenute penalmente irrilevanti. Sotto tale profilo, la doglianza del ricorrente per cui il compendio probatorio su cui si era fondata l’assoluzione fosse lo stesso sulla base del quale il giudice della cautela aveva applicato la misura cautelare, è priva di pregio, poiché in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente.
Quanto al merito, la motivazione operata dalla Corte in ordine al carattere gravemente colposo delle condotte di COGNOME, in quanto non manifestamente illogica nell’ individuazione della regola cautelare violata e nella valutazione della significativa divergenza fra la regola e il comportamento tenuto, non è sindacabile. La Corte di legittimità ha, infatti, osservato che il giudice di merito può valorizzare, quale condotta ostativa, anche scorretti comportamenti deontologici, quando questi, uniti ad altri elementi, configurino una situazione obiettiva idonea ad evocare, secondo un canone di normalità, una fattispecie di reato (Sez. 4 n. 26925 del 15/0572019, COGNOME Giovanni, Rv. 276293; Sez.4 n. 52871 del 15/11/2016, COGNOME, Rv. 268685, proprio in fattispecie relativa ad un appartenente alle forze dell’ordine).
Il rilievo del ricorrente, per cui le condotte individuate come gravemente colpose fossero state ritenute insufficienti a fondare una pronuncia di condanna, è, come visto, inconferente, posto che nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati ne giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del
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provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito (Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 28024).
Infine, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la previsione di cause ostative all’indennizzo non è in contrasto con l’art. 5 CEDU, secondo cui «Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione». Tale norma, nella sua formulazione testuale, si riferisce alle ipotesi di cosidetta ingiustizia formale, ovvero ai casi di restrizione della libertà adottata quando non sussistevano ab origine le condizioni di applicabilità della misura cautelare. Il nostro legislatore, con la previsione di cui all’art. 314 comma 1 cod,. proc. pen., ha disciplinato il diritto alla riparazione anche in caso di detenzione legittima, risultata ingiusta solo all’esito del giudizio di merito, superando, così, lo stesso paradigma dell’art. 5 CEDU (Sez. 4, n. 14686 del 6/4/2021, n.m. in cui si è precisato che non si pone in contrasto con l’art. 5, par. 5 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, il quale prevede l’obbligo dell’indennizzo a seguito di detenzione illegittima, la previsione dell’art. 314 cod. proc. pen. che esclude dall’equa riparazione chi abbia dato causa, per dolo o colpa grave, alla custodia cautelare subita, posto che tale ultima norma finisce con l’attribuire addirittura un diritto ulteriore rispetto a quell previsto dall’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ovvero quello ad un ristoro patrimoniale anche nelle ipotesi di detenzione preventiva formalmente legittima, con la conseguenza che le limitazioni previste dal legislatore nazionale non sono in contrasto con la disciplina convenzionale).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U., n. 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713).
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Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al GLYPH pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese al Ministero resistente.
Deciso il 31 ottobre 2024
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