Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12727 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12727 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
C/0 COGNOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 07/09/1982
avverso l’ordinanza del 21/11/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della decisione impugnata;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di Reggio Calabria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21 novembre 2024 la Corte di appello di Reggio Calabria ha accolto la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia cautelare dal 29 gennaio 2016 – data in cui veniva tratto in arresto – al 6 marzo 2017 – data in cui veniva sottoposto ad una misura non detentiva, per poi essere definitivamente assolto dall’addebito con sentenza emessa dalla stessa Corte di appello di Reggio Calabria in data 1 aprile 2020 (irrev. 20 novembre 2020).
La misura cautelare nei confronti del COGNOME fu disposta in quanto gravemente indiziato del reato di procurata inosservanza di pena, aggravato dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta.
Al COGNOME si contestava di essersi assunto la paternità dell’infrazione al codice della strada in realtà commessa da NOME COGNOME; quest’ultimo stava rientrando da Antibes, dopo aver fatto visita al padre NOME COGNOME – esponente di vertice dell’omonima cosca di ‘ndrangheta durante la sua latitanza.
1.1. Più in particolare, l’ordinanza impugnata ha escluso, in capo al Calabrò, la colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., osservando che già nel corso dell’interrogatorio di garanzia egli confermò la circostanza di non essere presente a bordo dell’autoveicolo, giustificando l’assunzione di responsabilità come un gesto di cortesia nei confronti di NOME COGNOME.
Inoltre, la Corte territoriale ha richiamato la conclusione cui sono giunti i giudici di merito, escludendo che vi fosse la prova della consapevolezza del COGNOME di apportare, con la propria condotta, supporto alla latitanza di NOME COGNOME.
. Nel liquidare l’indennizzo, infine, i giudici della riparazione hanno fatto applicazione del criterio aritmetico, individuando per ogni giorno di custodia subita ingiustamente una somma poi incrementata del 10%, in ragione della incensuratezza del COGNOME.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, lamentando,in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale (art. 314 cod. proc. pen.)› e vizio della motivazione.
I giudici della riparazione sono incorsi in errore nel non ritenere gravemente colposa la condotta del ricorrente, poiché, attraverso una motivazione apparente,
si sono limitati a ripercorrere il ragionamento svolto dal giudice di merito nell’assolvere il COGNOME.
Così facendo, sono stati confusi i piani di valutazione, in quanto nel giudizio ex art. 314 cod. proc. pen. i criteri icinaatri.à applicabili sono diversi rispetto quelli propri del giudizio di cognizione.
Posto che la condotta agevolatrice non è stata esclusa nella sua materialità, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutarla non rispetto al reato per il quale è intervenuta l’assoluzione, ma rispetto alla sua efficienza causale nel trarre in errore l’autorità procedente, quantomeno contribuendo a creare la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale.
Neppure spiega la Corte territoriale come le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio possano avere assunto rilievo nella valutazione ex ante che il giudice della riparazione è chiamata compiere.
2.2. Con il secondo motivo lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale (art. 315 cod. proc. pen.) ye vizio della motivazione.
Innanzitutto, la Corte della riparazione, pur essendovi tenuta, ha mancato di verificare se la condotta del COGNOME potesse essere contrassegnata da colpa lieve, e quindi incidere sul quantum dell’indennizzo.
Inoltre, pur dando atto della assenza di danni patrimoniali, in maniera contraddittoria la Corte ha incrementato del 10% l’indennizzo giornaliero ottenuto attraverso il criterio matematico, senza considerare che la richiamata incensuratezza è condizione da cui può derivage un ordinario pregiudizio già compensato dalla somma determinata con il criterio aritmetico.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Il ricorso, sottoscritto dal Procuratore dello Stato, è ammissibile, dovendosi ritenerne la legittimazione, al pari degli Avvocati dello Stato, ad esercitare il patrocinio innanzi alle magistrature superiori.
La Corte costituzionale ha infatti sottolineato che dall’esame dell’art. 1, comma 2, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, e dell’art. 8, comma 3, I. 3 aprile 1979, n. 103, non è possibile desumere alcuna limitazione per i Procuratori dello Stato, i quali, pertanto, possono esercitare, allo stesso modo degli Avvocati dello Stato, le funzioni anche innanzi alle magistrature superiori (Corte cost., sentenza n. 245 del 24/10/2017).
La Corte distrettuale ha ritenuto di escludere la colpa grave ostativa alla riparazione sottolineando la giustificazione offerta dal COGNOME durante l’interrogatorio di garanzia (p. 6 ordinanza impugnata).
A tale esito decisorio si è giunti nel duplice presupposto che non fu raggiunta la prova della consapevolezza del COGNOME di apportare, con la propria condotta, aiuto o supporto al latitante, né della esistenza del “nesso causale” tra la condotta dell’istante e l’ausilio al ricercato a sottrarsi all’esecuzione della pena (pp. 5 e ordinanza impugnata).
2.1. Così argomentando, il giudice della riparazione ha erroneamente operato una valutazione delle condotte analoga a quella relativa all’accertamento della responsabilità penale, già esclusa dai giudici della cognizione e che costituisce, invece, il presupposto per ottenere l’indennizzo.
Non è questa la regola di valutazione che occorre applicare per affermare od escludere la colpa grave, risultato a cui giunge, invece, il provvedimento impugnato.
Più in particolare, il giudice della riparazione avrebbe dovuto stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si<tas poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione" (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203638 – 01; conf., Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01).
La valutazione richiesta deve essere effettuata ex ante, ricalca quella eseguita al momento dell'emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell'autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l'apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall'esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
I giudici della riparazione, quindi, non hanno motivato in ordine alla sussistenza della predetta condizione ostativa, che invece, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice / come ripetutamente affermato da queste Corte regolatrice (Sez. 4, n. 39634 del 02/10/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 39186 del 19/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 33137 del 10/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 4106 del 13/01/2021, M., Rv. 280390-01; Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, COGNOME, Rv. 226004; Sez. 4, n. 1558 del 18/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197378 – 01).
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Più in particolare, dopo aver ricordato le ragioni che hanno condotto alla assoluzione del Calabrò, i giudici della riparazione si sono limitati ad affermare che il richiedente, fin dall'interrogatorio, diede una spiegazione alla sua condotta, e che egli non fosse consapevole dell'ausilio fornito al latitante.
I giudici della riparazione, nel valutare il comportamento del ricorrente, avrebbero invece dovuto tener conto del fatto che la nozione di colpa è data dall'art. 43 cod. pen., e del consolidato principio di dirittok secondo il quale deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del primo comma dell'art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 1002 del 9/10/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 46588 del 27/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 43302 del 23/1072008, COGNOME, Rv. 242034 – 01).
Tuttavia, e diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa, secondo il costante insegnamento di questa Corte, non si identifica con la "colpa penale", venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell'id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell'autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 44997 del 19/11/2024, Marino, non mass.; Sez. 4, n. 41209 del 9/07/2024, Terlizzi, non mass.; Sez. 4, n. 37752 del 26/09/2024, Balilla, non mass.; Sez. 4, n. 28243 del 16/12/2021, dep. 2022, Cosmo, non mass.), pur se tesa, in concreto, al perseguimento di altri risultati.
Anche il giudizio sulla prevedibilità – mancato nell'ordinanza impugnata – va formulato con criterio ex ante, ed in una dimensione oggettiva, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro della comune esperienza, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell'autorità giudiziaria.
È sufficiente, pertanto, analizzare quanto compiuto dal richiedente sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell'indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo.
Si tratta di principi ai quali l'ordinanza impugnata non si è attenuta.
Limitandosi a richiamare le considerazioni espresse dal giudice di merito per addivenire al giudizio di assoluzione, e considerando le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, senza valutare se la condotta accertata – il dichiarare falsamente
di essere stato alla guida del mezzo condotto dal figlio del latitante NOME contribuito a creare la falsa apparenza dell’illecito penale, i giudici della riparazione non hanno fatto buon governo di tali principi.
2.2. Il secondo motivo, nella parte relativa alla determinazione della somma liquidata a titolo di indennizzo, è assorbito.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Reggio Calabria, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 4 marzo 2025
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Il President