Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6797 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6797 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PAOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/05/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/kentit8 le conclusioni del PG GLYPH 4A2.4 GLYPH tA. GLYPH ,,L et GLYPH AT9 GLYPH ‘
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da COGNOME NOME, in riferimento alla custodia cautelare e domiciliare sofferta in relazione al reato di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, 309 (capo C della rubrica). La vicenda che aveva visto coinvolto il COGNOME si collocava tra le attività del clan RAGIONE_SOCIALE il quale attraverso la su ramificazione, aveva esteso le proprie attività illecite, tra le quali rientra traffico di sostanze stupefacenti, sulla costa tirrenica, in particolare territorio di NOME, riuscendo ad imporre la sua assoluta prevalenza rispetto ad altre realtà criminali. In particolare, il Giudice per le indagini prelimina nell’ordinanza cautelare, aveva evidenziato che il sottogruppo capeggiato da COGNOME NOME aveva instaurato in NOME una fitta rete di spaccio di sostanze stupefacenti, venuta in evidenza attraverso l’attività intercettiva svolta d Carabinieri della Compagnia di NOME.
1.2. GLYPH Con sentenza del 18/12/2017, divenuta irrevocabile il 30/10/2018, la Corte di assise di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputato dal predetto reato per non aver commesso il fatto. il giudice del gravame escludeva la certa rilevanza probante di dialoghi intercettati. Pur ritenendo, inoltre, che il COGNOME fosse per ce dedito all’attività di spaccio di sostanza stupefacente, non ha ritenuto esser prova certa della penale responsabilità di questi in ordine al delitto associativ considerando che lo stesso COGNOME (divenuto nelle more collaboratore di giustizia) lo indicava quale suo collaboratore esterno, così confermando, comunque, la sussistenza delle frequentazioni illecite mantenute dal COGNOME con soggetti ritenuti intranei all’associazione. La discontinuità e l’occasionali dei rapporti illeciti del COGNOME con il COGNOME ed altri membri dell’associazio non è stata pertanto ritenuta sufficiente a fondare la condanna del primo in relazione al diritto di partecipazione all’associazione di cui al capo C).
Il Giudice della riparazione ha negato l’invocato indennizzo, in particolare osservando che l’anzidetta «valutazione, effettuata dal giudice della cognizione in termini di insufficienza probatoria degli elementi emersi a carico dell’istante, non impedisce a questa Corte di ritenere che i ripetuti contatti mantenuti dal COGNOME con soggetti risultati condannati nello stesso processo per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 e certamente dediti in via professionale e stabile al traffico di sostanze stupefacenti, primo tra tutti
proprio il COGNOME costituiscono quantomeno colpa grave ostativa riconoscimento della domanda».
Avverso l’ordinanza del Giudice della riparazione ricorrono i difensori dell’istante che deducono, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla domanda di equa riparazione. Il Giudice della riparazione non si è adeguatamente confrontato con le motivazioni a sostegno della sentenza assolutoria perché ha posto ha fondamento della propria decisione elementi fattuali di segno negativo, la cui sussistenza risulta gi esclusa nella sentenza assolutoria. Non si comprende dalla lettura della sentenza quali siano stati i comportamenti pacificamente attribuibili al COGNOME e se questi potessero essere male interpretati dagli investigatori L’ordinanza impugnata fa riferimento alle frequentazioni ambigue di soggetti coinvolti in traffici illeciti senza nulla spiegare delle relazioni che l’istante a con la criminalità organizzata né, tanto meno, dell’eventuale comportamento negligente o imprudente dallo stesso tenuto.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
È tempestivamente pervenuta memoria dell’Avvocatura generale dello Stato che, in via pregiudiziale, chiede che il ricorso sia dichiara inammissibile; in via subordinata, che sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto alla custodia cautelare subita dall’interessato. È noto, infatti, che materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misur restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo qua condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la
“colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’idquodplerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, non quindi come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’Autorità giudiziaria. È sufficiente, pertanto, considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto d equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo. Va, inoltre, considerato che i giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbi dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante -e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’Autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082). La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso e autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, avendo egli, in relazione a tale aspetto della decisione, piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positiv che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep.1996, COGNOME ed altri). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel provvedimento impugnato è stato congruamente e correttamente posto in rilievo come vi siano stati comportamenti del ricorrente che hanno concorso a dar causa al provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti. Al riguardo, il Giudice della riparazione ha richiamato quanto ha affermato la stessa Corte di appello in sede di cognizione, laddove questa ha dato coerente rilievo al fatto che il COGNOME, «fosse, per certo, dedito alle attività di spaccio di sostanza stupefacente, indicando a pag. 228 anche le fonti di prova di tale circostanza, …» e avesse frequentato, «primo tra tutti» il COGNOME (il quale in sua presenza aveva redarguito/intimato il Serpa). Così facendo, l’ordinanza impugnata ha correttamente applicato il principio, reiteratamente affermato
da questa Corte di legittimità, secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue con soggetti condannati nel medesimo procedimento possono integrare un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate (Sez. 4, n. 29550 del 05/06/2019, COGNOME NOME, Rv. 277475); integrano invero gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reat contestati in concorso, abbia tenuto, consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, COGNOME NOME, Rv. 280547).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Le spese in favore del Ministero ricorrente non sono dovute, atteso che, in applicazione del condiviso principio di diritto, già enunciato dalle sentenze delle Sezioni Unite con riguardo alla parte civile (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME NOME; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo), in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase legittimità in favore dell’Avvocatura generale dello Stato non è dovuta, perché essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, ovvero il suo rigetto, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese in favore del Ministero.
Così deciso il 13 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente