Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24034 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24034 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Reggio Calabria ha accolto la richiesta di riparazione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costei subita dal 10 marzo 2016 al 13 marzo 2016 in stato di custodia precautelare e dal 2 aprile 2016 al 2 maggio 2016 in regime di arresti domiciliari, in un procedimento penale concluso con la sentenza di assoluzione.
1.1. La vicenda cautelare si è articolata nel modo seguente:
in data 10 marzo 2015 NOME COGNOME era stata sottoposta a fermo in ordine al reato di esercizio abusivo di attività finanziaria aggravato dall’aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis cod. pen.: il G.I.P. presso il Tribunale di Locri, con ordinanza del 13 marzo 2016, non aveva convalidato il fermo e aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare nei suoi confronti, disponendo, previa dichiarazione di incompetenza, la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso la DDA di Reggio Calabria;
in data 2 aprile 2016, su successiva richiesta del Pubblico Ministero, il G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato nei confronti di Prota la misura degli arresti domicliari in ordine al reato di cui all’art. 416 cod. pen., finalizzato a commettere i reati di cui all’art. 132 d.l gs 1 settembre 1993 n. 385; tale misura era stata sostituita con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con successiva ordinanza del 2 maggio 2016.
1.2. Con successiva sentenza del Tribunale di Locri del 26 luglio 2019, divenuta irrevocabile, NOME COGNOME era stata assolta dai reati a lei ascritti.
1.3. La Corte di Appello, come detto, ha riconosciuto il diritto alla riparazione, ma ha ridotto l’importo dell’indennizzo nella misura del 20 %, ravvisando una colpa lieve nella condotta tenuta dal soggetto istante.
Avverso l’ordinanza ha pro posto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a mezzo dell’A vvocatura dello Stato, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave. Secondo il Ministero la motivazione con cui la Corte aveva escluso la condizione ostativa era apparente, in quanto si limitava a riprodurre lo schema argomentativo della sentenza assolutoria. I Giudici avevano
ritenuto la condotta di COGNOME connotata da colpa lieve e a tal fine avevano richiamato alcuni dialoghi registrati nel corso dei colloqui in carcere con il fratello NOME COGNOME in cui i due avevano discusso della necessità di occultare assegni e/o denaro, osservando che la donna non poteva non essere consapevole del carattere illecito di tale attività. In tal modo, tuttavia, la Corte , da un lato, aveva riconosciuto l’esistenza in capo al richiedente di un profilo di colpa eziologicamente incidente sulla detenzione subita, e, dall’altro, aveva implicitamente qualificato la sua condotta come dolosa.
Peraltro, la stessa Corte di appello, con ordinanza del 25 febbraio 2025, aveva negato a NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME e coimputata nel medesimo procedimento, la riparazione, ravvisando nella condotta della donna, analoga a quella della ricorrente, la condizione ostativa della colpa grave. La posizione di NOME COGNOME, nella ordinanza impugnata, è stata equiparata a quella di NOME COGNOME, in quanto le due donne sono state indicate come facenti parte del gruppo dei congiunti cui NOME COGNOME aveva chiesto di provve dere all’occultamento dei proventi della illecita attività. L’equiparazione tra le condotte delle due imputate emergeva anche dalla motivazione della sentenza di assoluzione del Tribunale di Locri, in cui erano state indicate come coinvolte nelle conversazioni in carcere con NOME COGNOME afferenti alla riscossione delle somme di danaro da lui prestate o alla consegna di assegni postdatati.
Quand’anche si volesse considerare colposo e non doloso il comportamento della richiedente la riparazione -prosegue il Ministero ricorrente- la colpa avrebbe dovuto essere considerata grave e non lieve.
La condotta di chi prende parte a conversazioni concernenti l’occultamento di denaro di provenienza delittuosa, senza prendere le distanze da quanto affermato, ma, anzi, dimostrando disponibilità a realizzare gli intenti del correo, rivela un significativo grado di scostamento rispetto allo standard di diligenza che si richied e all’uomo medio in situazioni del genere.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione nella quantificazione dell’indennizzo.
La Corte non avrebbe indicato gli elementi sulla base dei quali aveva contenuto la riduzione del’indennizzo in conseguenza del riconoscimeto della colpa lieve, nella misura del solo 20 %.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
Il difensore di NOME COGNOME in data 6 giugno 2025, ha depositato una memoria con cui ha chiesto dichiararsi l’ inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al primo assorbente motivo.
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale , ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663).
Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purchè la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (Sez. 4 n. 19180 del 18/2/2016, COGNOME, Rv. 266808) e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti le risultanze istruttorie, con particolare riferimento alla
sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME NOME COGNOME Rv. 276458).
2.1. Per quanto di rilievo in relazione al tema del ricorso, si osserva che il concetto di ostatività della colpa deve essere inteso come una macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, che realizza una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203636-01). Qualora siffatta condotta non si configuri in termini di gravità, si ritiene possa essere dato rilevo, ai fini della determinazione dell’indennizzo, anche ad ipotesi di colpa c.d. lieve.
Deve, invece, qualificarsi come dolosa la condotta volontaria e consapevole che, antecedentemente alla privazione della libertà personale o nel corso di essa, sia valutabile, sulla base delle comuni regole di esperienza, come oggettivamente idonea a creare situazioni atte a determinare interventi coercitivi dell’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, COGNOME, Rv. 242034 -01; Sez. 4, n. 596 del 22/02/1996, Ercole, Rv. 204624 -01).
3.Nella specie il giudice della riparazione ha riconosciuto il diritto all’indennizzo, ma, sulla base delle emergenze istruttorie riepil ogate nella sentenza assolutoria, ha ritenuto storicamente accertato un comportamento della richiedente la riparazione tale da avere influito sull’adozione della misura cautelare. La Corte di appello, infatti, ha dato atto che erano state intercettate presso la casa circondariale di Catanzaro, ove NOME COGNOME era detenuto, alcune conversazioni con la sorella NOME nelle quali si faceva riferimento all’occultamento di denaro e titoli di credito provento del reato. In particolare ha richiamato le conversazioni del 18 e 25 febbraio 2014 fra NOME COGNOME e i familiari NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso delle quali il primo aveva chiesto di essere aiutato nell’attività illecita di occultamento del materiale che, ove rinvenuto, avrebbe potuto essere utilizzato come prova nei suoi confronti, nonché dei proventi del reato e i congiunti si erano dichiarati disponibili ad agire in tale senso.
Dopo aver descritto nei termini anzidetti la condotta della richiedente e avere precisato che ‘ove si fosse trattato di attività lecita non vi sarebbe stata alcuna volontà di occultamento’ e che ‘altrettanto chiara è la consapevolezza da parte della donna dell’oggetto della conversazione’, la Corte è effettivamente incorsa nel lamentato vizio di motivazione, nel qualificare, in maniera apodittica e contraddittoria, come connotato da colpa lieve il comportamento extraprocessuale descritto.
Nella sostanza i giudici hanno ricostruito la condotta di NOME COGNOME come ausilio rispetto all’autore del reato nell’attività di occultamento delle prove e/o di occultamento del profitto del reato, salvo poi qualificarla, in maniera immotivata e antitetica rispetto alla premessa, come solo lievemente colposa.
4.N e consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Alla stessa Corte di appello deve essere demandata la regolamentazione delle spese tra le parti nel presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di Appello di Reggio Calabria, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimità.
Deciso il 11 giugno 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME