Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CATANIA il 28/10/1966
avverso l’ordinanza del 04/07/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Genova :ha rigettato l’istanza con la quale il difensore di COGNOME NOME (al quale era stata riconosciuta una riparazione da errore giudiziario siccome assolto in sede di revisione), aveva chiesto la modifica del provvedimento di parziale accoglimento della domanda, sulla scorta dello ius superveniens che, modificando l’art. 314, cod. proc. pen., aveva eliminato ogni rilevanza assegnata ai fini del riconoscimento dell’indennizzo per la ingiusta detenzione all’esercizio della facoltà di non rispondere da parte dell’interessato.
In particolare, i giudici territoriali hanno precisato che la domanda di riparazione per errore giudiziario era stata ritenuta fondata quanto all’an, ma non integralmente con riferimento al quantum debeatur: l’errore giudiziario, nella specie, era consistito nell’errata valutazione di un atto di polizia relativo a un controllo subito dall’interessato, laddove, nel procedere alla liquidazione, si era ritenuto di conteggiare solo i quattro giorni intercorrenti tra l’esecuzione della misura e l’interrogatorio nel quale tale COGNOME si era avvalso della facoltà di non rispondere, circostanza che non era stata però correlata all’errore giudiziario con riferimento al periodo precedente all’errore stesso, mentre aveva avuto rilevanza sul protrarsi della detenzione, richiamando il provvedimento reso su tale domanda, divenuto irrevocabile il 3 gennaio 2018.
Sotto altro profilo, la Corte territoriale ha osservato che la richiesta era intesa a modificare un provvedimento divenuto definitivo cinque anni prima, sulla base di una modifica che aveva riguardato il diverso istituto della riparazione per ingiusta detenzione e non l’errore giudiziario, in quel provvedimento essendosi operato un rinvio all’art. 314, cod. proc. pen. ai soli fini della quantificazione del danno, posto che, nella specie, il presupposto del diritto azionato non era stato una sentenza assolutoria, bensì l’assoluzione conseguita a un procedimento di revisione.
Infine, quei giudici hanno precisato che la novella che ha riguardato l’art. 314, cod. proc. pen. non potrebbe disporre che per il futuro, in assenza di una norma transitoria, non potendo trovare
applicazione, in un procedimento contenzioso a carattere risarcitorio, i principi fissati dalla giurisprudenza per l’esecuzione della pena.
Avverso l’ordinanza GLYPH ha proposto ricorso la difesa di COGNOME NOMECOGNOME formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, rilevando che il provvedimento che aveva negato il risarcimento per la carcerazione subita per l’intero periodo era stato reso sulla base dei principi che in allora attribuivano rilevanza all’esercizio della facoltà di non rispondere e che la novella che aveva riguardato l’art. 314 cod. proc. pen., superando GLYPH quell’orientamento GLYPH giurisprudenziale, GLYPH avrebbe GLYPH reso ammissibile la richiesta di integrazione del provvedimento, nonostante la sua definitività. A differenza di quanto sostenuto dai giudici territoriali, secondo la difesa non opererebbe in tal caso la preclusione del giudicato, conseguente al principio generale del divieto di bis in idem e afferente al dedotto e non anche al deducibile, atteso che, nella specie era stato allegato il novum rappresentato dallo ius superveníens.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo, avendo la difesa proposto una lettura delle norme richiamate contraria alla loro costante interpretazione.
L’art. 11 delle preleggi disciplina la successione delle leggi nel tempo fissando il principio generale di irretroattività («La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo»).
A sua volta, l’art. 2, cod. pen. disciplina la successione delle leggi nel tempo in materia penale, in applicazione del principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost., per il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso) e gli effetti del novum atto a incidere sul diritto penale sostanziale, cosicché, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applicano le disposizioni più favorevoli, in deroga al principio generale di irretroattività, salvo sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (art. 2, comma 4, cod. pen.) e
salva l’abolitio criminis espressamente disciplinata dall’art. 2, comma 2, cod. pen. La norma, com’è noto, è considerata una regola cardine del sistema penale, vero e proprio strumento interno di attuazione del principio sovranazionale della retroattività della lex mitior, capace di riflettersi sulla legalità della condanna e, dunque, della pena, in quest’ultima definizione dovendosi ricomprendere, alla stregua del diritto vivente e dei principi di matrice sovranazionale, tutte quelle “sanzioni” di natura sostanzialmente penale. La regola, tuttavia, riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano, solo in quei casi ponendosi l’ulteriore problema dei rapporti tra lex mitior e intoccabilità del giudicato.
Nel caso all’esame, non si verte in ambito penalistico, essendosi definitivamente chiarito, in base al diritto vivente, che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione ha natura civile anche se inserito in una procedura che si svolge innanzi al giudice penale (Sez. U, n. 1 del 6/3/1992, COGNOME, Rv. 191149-01; sez. 4, n. 36968 del 9/6/2021, COGNOME, Rv. 282053-01, in cui si è precisato che il procedimento ha natura civil-processualistica ed è del tutto diverso dal processo penale da cui trae origine, principio affermato in un caso nel quale la Corte ha ritenuto non applicabili ad esso le situazioni di incompatibilità determinate da atti compiuti nel procedimento previste dall’art. 34 cod. proc. pen.; sez. 3, n. 33810 del 4/5/2021, COGNOME, Rv. 282236-01).
Ne deriva l’impossibilità di accedere alla interpretazione proposta a difesa, esulando il procedimento di cui all’art. 314, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 4, d. Igs. n. 188 del 2021, dall’ambito penalistico, al quale accede il principio generale contenuto nell’art. 2, comma 4, cod. pen.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 12 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
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NOME COGNOME
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Salvat GLYPH