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Rinuncia ricorso cassazione: niente spese processuali

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un appello contro un sequestro preventivo a seguito della rinuncia al ricorso da parte dell’indagato. La rinuncia è stata motivata da un dissequestro parziale, che ha fatto venir meno l’interesse a proseguire. La Corte ha stabilito che, in questi casi di rinuncia al ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorrente non deve essere condannato al pagamento delle spese processuali né di sanzioni pecuniarie.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Quando Non Si Pagano le Spese

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30663/2024) offre un importante chiarimento su un aspetto cruciale della procedura penale: le conseguenze della rinuncia al ricorso. In particolare, la Corte ha stabilito che se la rinuncia è determinata da un sopravvenuto difetto di interesse, come l’ottenimento di un dissequestro parziale prima della decisione, il ricorrente non è tenuto a pagare le spese processuali. Analizziamo questa pronuncia nel dettaglio.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Cosenza, che aveva confermato un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP locale. Il provvedimento cautelare era stato disposto a carico di un soggetto indagato per reati di falso, nell’ambito di un’indagine più ampia che includeva anche contestazioni di abuso d’ufficio e abuso edilizio.

Contro tale ordinanza, l’indagato aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando diverse violazioni di legge. Tuttavia, prima che si tenesse l’udienza di discussione, accadeva un fatto nuovo e decisivo: l’autorità giudiziaria disponeva il dissequestro parziale dei beni. Di conseguenza, l’indagato, avendo ottenuto in parte ciò che sperava di conseguire con il ricorso, depositava una formale rinuncia, motivata dal “sopravvenuto difetto di interesse a proseguire la causa”.

La Rinuncia al Ricorso e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, preso atto della rituale rinuncia, ha dichiarato il ricorso inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale. Questa norma prevede, appunto, che il ricorso venga dichiarato inammissibile quando vi è una rinuncia.

Il punto centrale della sentenza, tuttavia, non risiede nella dichiarazione di inammissibilità in sé, ma nelle sue conseguenze economiche per il ricorrente. La Corte si è posta il problema se, a fronte della rinuncia al ricorso, l’indagato dovesse essere comunque condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avviene di norma nei casi di inammissibilità.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte Suprema ha dato una risposta negativa, aderendo a un consolidato orientamento delle Sezioni Unite. La motivazione giuridica è chiara: quando il venir meno dell’interesse a ottenere una decisione sopraggiunge dopo la proposizione del ricorso, la dichiarazione di inammissibilità che ne consegue è indipendente dalle cause “originarie” previste dalla legge (artt. 591 e 606 c.p.p.).

In altre parole, la rinuncia al ricorso dettata da un evento favorevole al ricorrente – come il dissequestro – non è assimilabile a un’inammissibilità per vizi originari dell’atto (es. ricorso presentato fuori termine o per motivi non consentiti). Di conseguenza, non scattano le sanzioni accessorie della condanna alle spese e al pagamento della sanzione pecuniaria. La Corte ha richiamato esplicitamente due sentenze fondamentali delle Sezioni Unite (sent. Vitale del 1996 e sent. Chiappetta del 1997) che hanno fissato questo importante principio di diritto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La decisione in commento ha rilevanti implicazioni pratiche. Essa conferma che un imputato o un indagato può decidere di rinunciare al proprio ricorso in Cassazione senza temere conseguenze economiche, a condizione che tale scelta sia giustificata da un evento successivo che renda la decisione della Corte non più necessaria o utile. Questa regola processuale garantisce equilibrio e ragionevolezza, evitando di penalizzare chi, avendo visto soddisfatte le proprie ragioni per altre vie, decide responsabilmente di non gravare ulteriormente il sistema giudiziario con un contenzioso divenuto superfluo.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso per cassazione?
Di norma, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, chiudendo il procedimento senza esaminare il merito della questione.

La rinuncia al ricorso comporta sempre la condanna al pagamento delle spese processuali?
No. Come chiarito dalla sentenza, se la rinuncia è motivata da un “sopravvenuto difetto di interesse” (ad esempio, perché si è ottenuto un dissequestro parziale), il ricorrente non viene condannato al pagamento delle spese del procedimento né al versamento di una sanzione alla Cassa delle ammende.

Che cos’è il “sopravvenuto difetto di interesse” che giustifica la rinuncia?
È una situazione che si verifica quando, dopo aver presentato il ricorso, un evento nuovo rende inutile una decisione da parte della Corte. Nel caso specifico, l’interesse a contestare il sequestro è venuto meno perché i beni sono stati parzialmente restituiti all’indagato prima dell’udienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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