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Rinuncia all’impugnazione: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che sosteneva una tacita rinuncia all’impugnazione da parte del pubblico ministero. La Corte ha ribadito che la rinuncia all’impugnazione è un atto formale che deve essere espresso in modo chiaro ed inequivocabile, non potendo essere desunto dalle conclusioni formulate in udienza.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia all’impugnazione: un atto formale, non un’ipotesi

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 12162/2025 offre un importante chiarimento su un aspetto cruciale della procedura penale: la rinuncia all’impugnazione. La Corte ha stabilito che tale atto non può mai essere implicito o desunto dal comportamento processuale, ma deve sempre rivestire una forma espressa e inequivocabile. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di primo grado che aveva escluso la punibilità di un imputato ai sensi dell’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto). La Corte di Appello, accogliendo il gravame, aveva riformato la decisione e condannato l’imputato.

L’imputato, tramite il suo legale, ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di ultrapetizione. Secondo la difesa, durante la discussione in appello, il rappresentante della pubblica accusa avrebbe insistito solo sulla riqualificazione del fatto in un reato meno grave (incauto acquisto ex art. 712 c.p.), rinunciando così implicitamente al motivo di appello principale relativo alla condanna per ricettazione. Di conseguenza, la Corte di Appello, condannando per ricettazione, sarebbe andata oltre le richieste effettive della pubblica accusa.

L’Analisi della Corte e la natura della rinuncia all’impugnazione

La Suprema Corte ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella natura giuridica della rinuncia all’impugnazione. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: la rinuncia è un atto abdicativo formale, disciplinato rigorosamente dall’articolo 589 del codice di procedura penale.

Questo significa che non sono ammessi equipollenti. La volontà di abbandonare un’impugnazione deve essere manifestata in modo chiaro, esplicito e non ambiguo. Non può, pertanto, essere dedotta dal tenore delle richieste conclusive formulate dal procuratore generale durante l’udienza. La requisitoria finale del PM rappresenta l’esercizio del suo ufficio nel dibattimento, ma non può essere interpretata come un atto dispositivo che modifica i termini dell’appello originariamente presentato.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su una solida base normativa e giurisprudenziale. L’art. 589 c.p.p. delinea con precisione legittimazione, modalità e termini per la presentazione della rinuncia. Ammettere una rinuncia ‘implicita’ o ‘desunta’ creerebbe incertezza giuridica, minando la stabilità del processo e i diritti di tutte le parti coinvolte. La Corte ha richiamato precedenti pronunce conformi (tra cui Cass. n. 35267/2021 e Cass. n. 23404/2017), che hanno costantemente affermato come la manifestazione di volontà del PM debba essere espressa, fino all’apertura del dibattimento, in modo inequivocabile.

La Corte di Appello, quindi, non è incorsa in alcun vizio di ultrapetizione. Essa ha correttamente deciso sull’intero perimetro dei motivi di appello originariamente proposti dal pubblico ministero, senza essere vincolata dalle sole argomentazioni finali sviluppate in udienza. La manifesta infondatezza del motivo di ricorso ha portato, di conseguenza, alla declaratoria di inammissibilità.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale per la correttezza del processo penale: gli atti processuali che dispongono di un diritto, come la rinuncia all’impugnazione, richiedono una forma solenne e non possono essere lasciati all’interpretazione del comportamento delle parti. Per avvocati e operatori del diritto, ciò significa che non si può fare affidamento su presunte rinunce tacite, ma è necessario che ogni atto processuale sia compiuto nel rispetto delle forme prescritte dalla legge. Per l’imputato, la decisione comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a testimonianza della gravità di un ricorso basato su argomentazioni palesemente prive di fondamento giuridico.

Le conclusioni orali del pubblico ministero in udienza possono valere come rinuncia a un motivo di appello?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la rinuncia all’impugnazione è un atto formale che non ammette equipollenti e non può essere desunta dal tenore delle richieste conclusive formulate in udienza.

Quali sono le caratteristiche della rinuncia all’impugnazione secondo la legge?
Deve essere un atto abdicativo di carattere formale, disciplinato dall’art. 589 del codice di procedura penale. La manifestazione di volontà deve essere espressa dal pubblico ministero che ha proposto l’impugnazione (o da quello presso il giudice dell’impugnazione) in modo chiaro e inequivoco prima dell’inizio della discussione.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione è giudicato manifestamente infondato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, se si ravvisano profili di colpa, anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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