Rinuncia all’impugnazione: quali sono le conseguenze economiche?
La rinuncia all’impugnazione è un atto processuale che, sebbene possa apparire come una semplice marcia indietro, produce effetti giuridici ed economici ben precisi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 4937/2025) offre un chiaro esempio di come questo gesto non sia privo di conseguenze, confermando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da un provvedimento di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero. L’interessato presentava un’istanza al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Firenze per ottenere la restituzione dei beni sequestrati, ma la sua richiesta veniva respinta. Contro questa decisione, il difensore proponeva ricorso per cassazione, lamentando sia vizi di legge (violazione delle norme sulla convalida del sequestro) sia vizi di motivazione (relativamente alla pertinenza e proporzionalità dei beni sequestrati rispetto ai reati ipotizzati).
Tuttavia, prima che la Corte potesse esaminare il merito del ricorso, il difensore depositava in cancelleria un formale atto di rinuncia all’impugnazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
Preso atto della rinuncia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione, di per sé scontata, si sofferma sulle conseguenze giuridiche ed economiche che derivano da tale atto, applicando rigorosamente le disposizioni del codice di procedura penale.
Le Motivazioni della Sentenza e l’impatto della rinuncia all’impugnazione
La Corte ha basato la propria decisione sull’articolo 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, che prevede espressamente la rinuncia all’impugnazione come una delle cause di inammissibilità. Una volta accertata l’inammissibilità, scattano le conseguenze previste dall’articolo 616 dello stesso codice.
Questo articolo stabilisce che la parte che ha proposto l’impugnazione dichiarata inammissibile deve essere condannata:
1. Al pagamento delle spese del procedimento.
2. Al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende.
La Corte ha sottolineato che tale condanna è una conseguenza quasi automatica, a meno che non si dimostri una “sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l’impugnazione per una causa non imputabile al ricorrente”. Nel caso di specie, la rinuncia è un atto volontario e quindi pienamente imputabile alla parte. Non è emerso alcun elemento che potesse giustificare una deroga a questa regola.
Inoltre, richiamando la giurisprudenza consolidata, i giudici hanno ribadito che l’articolo 616 non fa distinzioni tra le varie cause di inammissibilità. Che si tratti di un ricorso presentato fuori termine o, come in questo caso, di una rinuncia, le conseguenze economiche sono le medesime. La Corte ha quindi quantificato la sanzione in via equitativa, fissandola a 3.000 euro, ritenendo che il ricorso non fosse stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”.
Le Conclusioni
La sentenza in esame serve da monito: la decisione di impugnare un provvedimento giudiziario deve essere ponderata, così come quella di rinunciarvi. La rinuncia all’impugnazione non è un atto neutro che semplicemente conclude il procedimento, ma una causa di inammissibilità che fa scattare precisi obblighi economici a carico del ricorrente. Chi intraprende la via del ricorso e poi decide di abbandonarla deve essere consapevole che, salvo rare eccezioni, sarà tenuto a sostenere non solo le spese del giudizio, ma anche una sanzione pecuniaria, il cui importo viene stabilito discrezionalmente dal giudice.
Cosa succede se, dopo aver fatto ricorso in Cassazione, si decide di ritirarlo?
Secondo la sentenza, la presentazione di un atto di rinuncia all’impugnazione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, chiudendo di fatto il procedimento.
Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una sanzione pecuniaria nonostante la rinuncia volontaria?
La legge (art. 616 c.p.p.) prevede che all’inammissibilità del ricorso consegua la condanna alle spese e a una sanzione. La rinuncia è una causa di inammissibilità imputabile al ricorrente, pertanto le conseguenze economiche si applicano automaticamente, a meno che non si dimostri che la rinuncia è dovuta a cause di forza maggiore non attribuibili al ricorrente stesso.
A quanto ammonta la sanzione e come viene decisa?
Nel caso specifico, la sanzione è stata fissata in 3.000 euro. L’importo viene determinato dal giudice in via equitativa, tenendo conto delle circostanze del caso e del principio per cui il ricorso non deve essere stato presentato con colpa.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4937 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4937 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cascina il 11/01/1969
avverso la ordinanza del 25/09/2024 del Tribunale di Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze respingeva la istanza di restituzione presentata nell’interesse di NOME COGNOME in relazione al sequestro probatorio emesso dal P.M.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 255 e 355 cod. proc. pen. per assenza di convalida del sequestro di iniziativa della polizia giudiziaria.
2.2. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 253, 262, 263 cod. proc. pen. e alla pertinenzialità dei beni in sequestro con i reati sub 2) e 6) e alla sproporzione e inadeguatezza del sequestro.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è da dichiararsi inammissibile, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d, cod. proc. pen., in quanto il difensore, munito di procura speciale, ha fatto pervenire in Cancelleria il 18 dicembre 2024 atto di rinuncia all’impugnazione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, deve conseguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, atteso che non consta la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l’impugnazione per una causa non imputabile al medesimo ricorrente (Sez. 5, n. 23636 del 21/03/2018, Rv. 273325) e che l’art. 616 cod. proc. pen., con riferimento alla condanna alla sanzione pecuniaria favore della Cassa delle ammende, non distingue tra le diverse cause che danno luogo alla pronuncia di inammissibilità (Sez. 5, n. 28691 del 06/06/2016, Rv. 267373).
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, quindi, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle – ammende.
Così deciso il 1 01 025.