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Rinuncia all’impugnazione: inammissibilità e sanzioni

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso a seguito della rinuncia all’impugnazione presentata dal difensore. La sentenza chiarisce che tale atto comporta non solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, in quanto la causa di inammissibilità è direttamente imputabile al ricorrente.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia all’impugnazione: quali sono le conseguenze economiche?

La rinuncia all’impugnazione è un atto processuale che, sebbene possa apparire come una semplice marcia indietro, produce effetti giuridici ed economici ben precisi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 4937/2025) offre un chiaro esempio di come questo gesto non sia privo di conseguenze, confermando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un provvedimento di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero. L’interessato presentava un’istanza al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Firenze per ottenere la restituzione dei beni sequestrati, ma la sua richiesta veniva respinta. Contro questa decisione, il difensore proponeva ricorso per cassazione, lamentando sia vizi di legge (violazione delle norme sulla convalida del sequestro) sia vizi di motivazione (relativamente alla pertinenza e proporzionalità dei beni sequestrati rispetto ai reati ipotizzati).

Tuttavia, prima che la Corte potesse esaminare il merito del ricorso, il difensore depositava in cancelleria un formale atto di rinuncia all’impugnazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

Preso atto della rinuncia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione, di per sé scontata, si sofferma sulle conseguenze giuridiche ed economiche che derivano da tale atto, applicando rigorosamente le disposizioni del codice di procedura penale.

Le Motivazioni della Sentenza e l’impatto della rinuncia all’impugnazione

La Corte ha basato la propria decisione sull’articolo 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, che prevede espressamente la rinuncia all’impugnazione come una delle cause di inammissibilità. Una volta accertata l’inammissibilità, scattano le conseguenze previste dall’articolo 616 dello stesso codice.

Questo articolo stabilisce che la parte che ha proposto l’impugnazione dichiarata inammissibile deve essere condannata:
1. Al pagamento delle spese del procedimento.
2. Al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende.

La Corte ha sottolineato che tale condanna è una conseguenza quasi automatica, a meno che non si dimostri una “sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l’impugnazione per una causa non imputabile al ricorrente”. Nel caso di specie, la rinuncia è un atto volontario e quindi pienamente imputabile alla parte. Non è emerso alcun elemento che potesse giustificare una deroga a questa regola.

Inoltre, richiamando la giurisprudenza consolidata, i giudici hanno ribadito che l’articolo 616 non fa distinzioni tra le varie cause di inammissibilità. Che si tratti di un ricorso presentato fuori termine o, come in questo caso, di una rinuncia, le conseguenze economiche sono le medesime. La Corte ha quindi quantificato la sanzione in via equitativa, fissandola a 3.000 euro, ritenendo che il ricorso non fosse stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”.

Le Conclusioni

La sentenza in esame serve da monito: la decisione di impugnare un provvedimento giudiziario deve essere ponderata, così come quella di rinunciarvi. La rinuncia all’impugnazione non è un atto neutro che semplicemente conclude il procedimento, ma una causa di inammissibilità che fa scattare precisi obblighi economici a carico del ricorrente. Chi intraprende la via del ricorso e poi decide di abbandonarla deve essere consapevole che, salvo rare eccezioni, sarà tenuto a sostenere non solo le spese del giudizio, ma anche una sanzione pecuniaria, il cui importo viene stabilito discrezionalmente dal giudice.

Cosa succede se, dopo aver fatto ricorso in Cassazione, si decide di ritirarlo?
Secondo la sentenza, la presentazione di un atto di rinuncia all’impugnazione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, chiudendo di fatto il procedimento.

Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una sanzione pecuniaria nonostante la rinuncia volontaria?
La legge (art. 616 c.p.p.) prevede che all’inammissibilità del ricorso consegua la condanna alle spese e a una sanzione. La rinuncia è una causa di inammissibilità imputabile al ricorrente, pertanto le conseguenze economiche si applicano automaticamente, a meno che non si dimostri che la rinuncia è dovuta a cause di forza maggiore non attribuibili al ricorrente stesso.

A quanto ammonta la sanzione e come viene decisa?
Nel caso specifico, la sanzione è stata fissata in 3.000 euro. L’importo viene determinato dal giudice in via equitativa, tenendo conto delle circostanze del caso e del principio per cui il ricorso non deve essere stato presentato con colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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