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Rinuncia all’impugnazione: inammissibilità e costi

Un soggetto, dopo aver presentato ricorso in Cassazione contro il diniego di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, decide di rinunciare all’atto. La Corte Suprema di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile a causa della rinuncia all’impugnazione, affermando che tale atto determina una situazione di “soccombenza”. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia all’impugnazione: Quando Ritirarsi Costa Caro

La rinuncia all’impugnazione è un atto processuale con cui una parte decide volontariamente di abbandonare il proprio diritto a contestare una sentenza. Sebbene possa sembrare una semplice ritirata, le conseguenze giuridiche, come dimostra una recente sentenza della Corte di Cassazione, sono tutt’altro che trascurabili. Analizziamo un caso pratico per comprendere perché rinunciare a un ricorso può portare all’inammissibilità e alla condanna alle spese.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla richiesta di un imputato, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per reati gravi tra cui associazione a delinquere e trasferimento fraudolento di valori, di ottenere gli arresti domiciliari. La sua istanza viene respinta prima dal Giudice per le Indagini Preliminari e successivamente, in sede di appello, dal Tribunale competente.

Non arrendendosi, l’imputato, tramite il suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso quest’ultima decisione. Tuttavia, prima che la Corte Suprema possa discutere il caso, il procuratore speciale del ricorrente deposita una dichiarazione formale di rinuncia al ricorso.

La Decisione della Corte di Cassazione

Preso atto della rinuncia, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile. La decisione non entra nel merito delle ragioni per cui erano stati negati gli arresti domiciliari, ma si concentra esclusivamente sulle conseguenze processuali della rinuncia. Oltre alla declaratoria di inammissibilità, la Corte condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di mille euro in favore della Cassa delle Ammende.

Le Motivazioni: Analisi della Rinuncia all’impugnazione

La Corte fonda la sua decisione su principi consolidati della procedura penale. La rinuncia all’impugnazione, ai sensi dell’art. 589 del codice di procedura penale, è una dichiarazione abdicativa, irrevocabile e recettizia. Ciò significa che una volta comunicata, non può essere ritirata e produce i suoi effetti immediatamente.

L’effetto principale della rinuncia è la carenza di interesse a proseguire il giudizio, uno dei requisiti fondamentali per l’ammissibilità di qualsiasi impugnazione, come previsto dall’art. 591 c.p.p. Venendo meno l’interesse, il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.

Un punto cruciale della motivazione riguarda il concetto di “soccombenza”. La Corte chiarisce che l’inammissibilità derivante da una rinuncia volontaria non è equiparabile a un’inammissibilità per cause sopravvenute e non prevedibili. Al contrario, la rinuncia è una scelta della parte che, di fatto, si pone in una posizione di sconfitta processuale. Questa qualificazione come “soccombente” giustifica pienamente la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria, ritenuta equa nel caso di specie.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce una lezione fondamentale per chiunque affronti un percorso giudiziario: la rinuncia a un’impugnazione è un atto giuridico con precise e onerose conseguenze. Non si tratta di un semplice passo indietro a costo zero.

Le implicazioni pratiche sono chiare:
1. Irrevocabilità: La decisione di rinunciare è definitiva e non ammette ripensamenti.
2. Costi: La rinuncia comporta quasi sempre la condanna alle spese processuali e al pagamento di una sanzione, poiché il rinunciante viene considerato legalmente come la parte soccombente (perdente).
3. Formalità: Sebbene la legge non prescriva forme sacramentali per la rinuncia, è sufficiente che la volontà sia espressa in modo chiaro e provenga dal soggetto legittimato (l’imputato o il suo procuratore speciale).

Questa pronuncia serve quindi come monito: prima di procedere con una rinuncia, è essenziale valutarne attentamente tutte le implicazioni, in particolare quelle economiche, con il proprio legale.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per carenza di interesse, poiché la rinuncia è un atto che estingue il diritto di proseguire nel giudizio di impugnazione.

La rinuncia all’impugnazione comporta il pagamento delle spese processuali?
Sì. Secondo la Corte, la rinuncia volontaria pone il ricorrente in una situazione di “soccombenza” (sconfitta processuale), che giustifica la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende.

La dichiarazione di rinuncia deve seguire una forma particolare per essere valida?
No, la sentenza chiarisce che le forme della rinuncia non sono stabilite a pena di inammissibilità. È sufficiente che la provenienza dal soggetto legittimato sia certa e che la volontà di rinunciare sia espressa chiaramente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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