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Rinuncia al ricorso: quando si pagano le spese?

La Cassazione chiarisce le conseguenze della rinuncia al ricorso. Un legale rappresentante, dopo aver impugnato un sequestro preventivo, rinuncia all’appello. La Corte dichiara l’inammissibilità ma lo condanna al pagamento delle spese e di una sanzione, non essendo provata una causa non imputabile per la rinuncia.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Le Conseguenze su Spese e Sanzioni

La rinuncia al ricorso è un atto che pone fine a un’impugnazione, ma quali sono le sue conseguenze economiche? Molti credono che ritirare un appello significhi semplicemente chiudere la partita senza ulteriori costi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, tuttavia, chiarisce che non è sempre così. Analizziamo insieme questo caso per capire quando la rinuncia comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

I Fatti del Caso: Dal Sequestro alla Cassazione

La vicenda ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari su beni e macchinari di una società a responsabilità limitata. L’amministratore unico della società, indagato nel procedimento, proponeva una richiesta di riesame avverso tale provvedimento.

Il Tribunale del riesame, tuttavia, dichiarava la richiesta inammissibile. La motivazione? L’amministratore, pur essendo indagato e legale rappresentante, non era legittimato a proporre l’impugnazione in proprio per beni appartenenti alla società. Secondo il Tribunale, avrebbe dovuto essere la società stessa a impugnare il provvedimento, conferendo una procura speciale al difensore.

Contro questa decisione, i difensori dell’amministratore proponevano ricorso per Cassazione. La svolta, però, avveniva prima della decisione della Suprema Corte: il ricorrente depositava una formale dichiarazione di rinuncia al ricorso.

La Decisione della Cassazione sulla Rinuncia al Ricorso

La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato inammissibile il ricorso, come previsto dall’articolo 591 del codice di procedura penale. La parte più interessante della sentenza, però, riguarda le conseguenze di tale dichiarazione.

L’analisi della Corte sulle conseguenze economiche

Secondo un orientamento consolidato delle Sezioni Unite, la rinuncia all’impugnazione non equivale a una “soccombenza”, ovvero a una sconfitta nel merito. Di conseguenza, in linea di principio, chi rinuncia non dovrebbe essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. Tuttavia, la Corte ha specificato che questa regola non è assoluta.

Nel caso di specie, i giudici hanno stabilito che il ricorrente doveva essere condannato al pagamento delle spese processuali. Perché? Perché non era stata fornita alcuna prova che la rinuncia fosse stata determinata da una “sopravvenuta carenza di interesse derivante da causa non imputabile”. In altre parole, mancava la dimostrazione che il ricorrente avesse rinunciato per un motivo valido e indipendente dalla sua volontà.

In aggiunta, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Questa ulteriore sanzione è stata giustificata sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale, poiché non vi erano elementi per ritenere che il ricorso originario fosse stato presentato “senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su una distinzione cruciale tra la rinuncia come atto processuale e le ragioni che la determinano. L’articolo 616 del codice di procedura penale impone la condanna alle spese in caso di inammissibilità. Se la rinuncia porta all’inammissibilità, la condanna alle spese ne è la conseguenza diretta, a meno che il ricorrente non dimostri che la sua scelta è stata necessitata da eventi esterni e non controllabili.

La Corte sottolinea che l’onere di provare la causa non imputabile della rinuncia spetta al ricorrente stesso. In assenza di tale prova, si presume che la rinuncia sia un atto volontario che non esime dalle responsabilità economiche derivanti dall’aver avviato un’impugnazione poi abbandonata. La condanna alla sanzione pecuniaria, inoltre, agisce come deterrente contro la presentazione di ricorsi temerari o privi di fondamento, che vengono poi ritirati per evitare una pronuncia nel merito sfavorevole.

Conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito: la rinuncia al ricorso non è una via d’uscita priva di conseguenze. Se da un lato pone fine al giudizio di impugnazione, dall’altro non garantisce l’esenzione dalle spese processuali e da eventuali sanzioni pecuniarie. La decisione di rinunciare deve essere attentamente ponderata, poiché, in assenza di una valida giustificazione (una causa non imputabile), il ricorrente sarà tenuto a sostenere i costi del procedimento che ha attivato e poi interrotto. Per evitare addebiti, è fondamentale poter dimostrare che il venir meno dell’interesse a proseguire il giudizio dipende da fattori oggettivi e non da un mero calcolo di convenienza processuale.

La rinuncia al ricorso per cassazione esonera sempre dal pagamento delle spese processuali?
No. Secondo la sentenza, sebbene la rinuncia non configuri una soccombenza, il ricorrente è comunque condannato al pagamento delle spese se non dimostra che la rinuncia è dovuta a una sopravvenuta carenza di interesse per causa a lui non imputabile.

Oltre alle spese, si può essere condannati a pagare altro in caso di rinuncia al ricorso?
Sì. La Corte, basandosi su una sentenza della Corte Costituzionale, ha disposto anche il pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, poiché non vi erano ragioni per ritenere che il ricorso fosse stato presentato senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Chi è legittimato a impugnare un sequestro preventivo su beni di una società?
Anche se la Cassazione non si è pronunciata sul merito di questo punto, la decisione del Tribunale del riesame (impugnata e poi oggetto di rinuncia) aveva ritenuto che il ricorso dovesse essere proposto dalla società, in quanto unico soggetto legittimato, e non personalmente dal suo legale rappresentante, anche se indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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