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Rinuncia al ricorso: quando si evita la condanna

Una società ha presentato ricorso in Cassazione contro un’ordinanza di sequestro preventivo. Successivamente, ha effettuato una rinuncia al ricorso. La Corte ha dichiarato l’appello inammissibile, specificando che, a causa di una sopravvenuta carenza di interesse non imputabile al ricorrente (il dissequestro delle somme), non era dovuta la condanna al pagamento di sanzioni o spese processuali.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Come Evitare la Condanna alle Spese

La rinuncia al ricorso è un atto processuale che può avere conseguenze significative, non solo sull’esito del giudizio ma anche sui costi a carico della parte. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7441/2024, chiarisce un aspetto fondamentale: in quali circostanze la rinuncia non comporta la condanna al pagamento di sanzioni e spese. Il caso analizzato offre spunti pratici di grande rilevanza per chi affronta un contenzioso penale.

I Fatti del Caso

Una società si era vista notificare un decreto di sequestro preventivo per una somma superiore a 100.000 euro, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari. Il provvedimento era legato a una serie di reati contestati, tra cui falsità e illeciti di natura tributaria. La società aveva impugnato il decreto davanti al Tribunale del riesame, ma la sua istanza era stata rigettata.

Contro questa decisione, la società aveva proposto ricorso per cassazione, articolando diverse censure, tra cui la violazione di norme procedurali e sostanziali, nonché la mancanza di motivazione sul periculum in mora, ovvero il rischio che il ritardo potesse causare un danno irreparabile.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il colpo di scena è avvenuto durante il giudizio di legittimità: la società ricorrente ha formalmente rinunciato al ricorso. Di fronte a tale atto, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che prenderne atto e dichiarare l’impugnazione inammissibile.

La questione centrale, tuttavia, non era tanto la dichiarazione di inammissibilità in sé, quanto le sue conseguenze economiche. L’articolo 616 del codice di procedura penale prevede, infatti, che in caso di inammissibilità del ricorso, la parte privata venga condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha derogato a questa regola generale, basandosi su un principio consolidato in giurisprudenza. I giudici hanno osservato che, oltre alla rinuncia, era emersa una “sopravvenuta carenza di interesse” da parte della società. Questo significa che, nel corso del giudizio, era venuto meno l’interesse concreto a ottenere una pronuncia sul dissequestro. La ragione, come si evince dal testo, era che le somme erano state nel frattempo dissequestrate.

Il punto cruciale della motivazione risiede nel fatto che questa nuova situazione (il dissequestro) non era conosciuta al momento della proposizione del ricorso e, soprattutto, non era attribuibile a una colpa del ricorrente. Poiché l’interesse ad agire è venuto meno per eventi successivi e indipendenti dalla volontà della società, la Corte ha ritenuto che non fosse equo applicare la sanzione prevista dall’art. 616 c.p.p. In altre parole, l’inammissibilità derivava da una circostanza oggettiva che rendeva l’impugnazione inutile, e non da una negligenza o da un’iniziativa processuale infondata sin dall’origine.

Conclusioni

La sentenza offre un’importante lezione strategica: la rinuncia al ricorso è un’opzione da considerare attentamente, specialmente quando cambiano le circostanze di fatto. La decisione dimostra che l’ordinamento tutela la parte che agisce in giudizio quando il suo interesse viene meno per cause non imputabili. In questo caso, il venir meno dell’oggetto del contendere (il sequestro) ha permesso alla società di uscire dal processo senza subire ulteriori conseguenze economiche. Questo principio protegge il ricorrente da condanne che sarebbero ingiuste, qualora il proseguimento del giudizio sia divenuto, per fatti sopravvenuti, privo di scopo.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
Di norma, il ricorso viene dichiarato inammissibile, il che significa che la Corte non esamina il merito della questione e il procedimento si conclude.

La rinuncia al ricorso comporta sempre la condanna al pagamento di spese e sanzioni?
No. Come stabilito in questa sentenza, se l’inammissibilità è dovuta a una sopravvenuta carenza di interesse basata su nuovi elementi di fatto non conosciuti al momento del ricorso e non imputabili a colpa del ricorrente (come il dissequestro dei beni), la condanna al pagamento di spese e sanzioni a favore della Cassa delle ammende può essere evitata.

Qual è la differenza tra rinuncia e sopravvenuta carenza di interesse nel caso di specie?
La rinuncia è un atto volontario e formale con cui il ricorrente abbandona l’impugnazione. La sopravvenuta carenza di interesse è una situazione di fatto che rende inutile la prosecuzione del giudizio (in questo caso, l’avvenuto dissequestro delle somme). La Corte ha rilevato che in questo caso sussistevano entrambe le condizioni, e la seconda ha giustificato la non applicazione delle sanzioni economiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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