Rinuncia al ricorso: quando un passo indietro conviene
La rinuncia al ricorso è un atto processuale che può chiudere una vicenda giudiziaria. Tuttavia, le conseguenze economiche di tale scelta non sono sempre scontate. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7416/2025, offre un importante chiarimento su quando la rinuncia non comporta l’addebito delle spese processuali, introducendo il concetto di “sopravvenuta carenza di interesse” per causa non imputabile al ricorrente.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) di un tribunale costiero. A seguito di una sentenza di patteggiamento per vari reati a carico di un imprenditore, il G.I.P., su richiesta di chiarimenti, aveva esteso la confisca a quote societarie e compendi aziendali. Tali beni, sebbene formalmente intestati a due familiari dell’imprenditore, erano stati ritenuti nella sua effettiva disponibilità.
Contro questa estensione della misura ablativa, l’imprenditore e i suoi familiari, in qualità di terzi interessati, avevano proposto ricorso in Cassazione. Essi lamentavano l’anomalia del provvedimento, emesso in assenza di una richiesta del pubblico ministero e dopo che la sentenza di patteggiamento era diventata definitiva. Inoltre, sottolineavano come un altro procedimento avesse già accertato la loro titolarità effettiva dei beni.
La Svolta Processuale e la Rinuncia al Ricorso
Il colpo di scena avviene durante la pendenza del ricorso in Cassazione. Il medesimo G.I.P. che aveva emesso l’ordinanza impugnata, con un nuovo provvedimento, ne disponeva la revoca. Venendo a mancare l’oggetto stesso della contesa, il difensore dei ricorrenti depositava un atto formale di rinuncia al ricorso.
Questa mossa strategica si è rivelata fondamentale. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, infatti, ha richiesto che i ricorsi fossero dichiarati inammissibili proprio a causa della rinuncia intervenuta.
Le motivazioni della Corte sulla rinuncia al ricorso
La Corte di Cassazione ha accolto la richiesta, dichiarando i ricorsi inammissibili. La motivazione, tuttavia, è di grande interesse pratico e si basa sull’articolo 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale. I giudici hanno stabilito che la rinuncia era una conseguenza diretta della “sopravvenuta carenza di interesse” dei ricorrenti.
In parole semplici, dal momento che il provvedimento dannoso era stato annullato dalla stessa autorità che lo aveva emesso, i ricorrenti non avevano più alcun interesse concreto a ottenere una pronuncia dalla Cassazione. La causa di questa carenza di interesse (la revoca dell’ordinanza) non era in alcun modo colpa loro.
Proprio questo punto è cruciale. La Corte, richiamando un suo precedente orientamento (sentenza n. 15908/2024), ha specificato che quando l’inammissibilità deriva da una sopravvenuta carenza di interesse per causa non imputabile al ricorrente, non si deve applicare la condanna al pagamento delle spese processuali né il versamento di una somma alla Cassa delle ammende. I ricorrenti, pur avendo attivato la macchina della giustizia, non sono stati sanzionati perché la loro iniziativa ha perso di scopo per un evento esterno alla loro volontà.
Conclusioni
Questa sentenza ribadisce un principio di equità processuale fondamentale: la rinuncia al ricorso, se motivata da eventi che risolvono la controversia a monte e non dipendono dal ricorrente, non deve tradursi in un onere economico. Si tratta di una tutela importante per chi si trova a dover impugnare un provvedimento e vede le proprie ragioni riconosciute, anche indirettamente, nel corso del giudizio. La decisione sottolinea come il sistema giudiziario debba tener conto delle dinamiche processuali, evitando di penalizzare le parti quando il motivo del contendere viene meno per ragioni indipendenti dalla loro condotta.
Cosa succede se il provvedimento che ho impugnato viene revocato mentre il mio ricorso è pendente?
In questo caso, viene meno il tuo interesse ad ottenere una decisione, poiché il problema è stato risolto. Di conseguenza, il tuo ricorso può essere dichiarato inammissibile per “sopravvenuta carenza di interesse”.
La rinuncia al ricorso comporta sempre la condanna a pagare le spese processuali?
No. Come chiarito dalla sentenza, se la rinuncia è conseguenza di una sopravvenuta carenza di interesse per una causa non imputabile a chi ha fatto ricorso (ad esempio, la revoca del provvedimento impugnato), non vi è condanna al pagamento delle spese processuali né al versamento di ammende.
Perché la Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili invece di prendere semplicemente atto della rinuncia?
La Corte ha qualificato la rinuncia come una conseguenza della carenza di interesse. La declaratoria di inammissibilità ai sensi dell’art. 591 c.p.p. è la formula processuale corretta per chiudere il procedimento in questi casi, specificando che tale esito non comporta oneri economici per i ricorrenti, proprio perché la causa dell’inutilità del ricorso non dipende da loro.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7416 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7416 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a TERAMO il 05/09/1953
NOMECOGNOMENOME COGNOME
COGNOME NOME
avverso l’ordinanza del 19/09/2023 del GIP TRIBUNALE di RIMINI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME che ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi per intervenuta rinuncia.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il G.i.p. del Tribunale di Rimini, a seguito della richiesta di chiarimenti trasmessagli dalla p.g. delegata per l’esecuzione della confisca disposta con la sentenza di applicazione della pena emessa nei confronti di COGNOME NOME, ha esteso la misura ablativa anche alle quote societarie della Nazioni s.r.lRAGIONE_SOCIALE e della Toro s.r.lRAGIONE_SOCIALE e ai relativi compendi aziendali in quanto ritenuti nella disponibilità del COGNOME, già imputato anche per il reato di cui all’art. 512-bis c.p.
Avverso l’ordinanza ricorrono con atti autonomi a firma del comune difensore e nella sostanza sovrapponibili COGNOME Mauro e, in qualità di terzi interessati in quanto intestatari dei beni oggetto di ablazione, COGNOME NOME e COGNOME NOME eccependo l’abnormità della decisione impugnata, rilevando come il G.i.p. abbia proceduto in assenza di richiesta del pubblico ministero e successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, disponendo peraltro la confisca di beni che non erano stati oggetto di sequestro nei confronti dell’imputato, bensì delle altre ricorrenti, e di cui la sentenza pronunziata in separato procedimento celebrato con rito abbreviato nei confronti di queste ultime ha accertato l’effettiva e non solo formale titolarità da parte delle medesime.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve prendersi atto che il difensore dei ricorrenti ha depositato il 9 ottobre 2024 atto di rinunzia ai ricorsi ritualmente sottoscritta da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e, anche per autentica delle firme dei propri assistiti, dallo stesso difensore, nel quale viene evidenziato come, successivamente alla proposizione dell’impugnazione, il G.i.p. del Tribunale di Rimini, con provvedimento del 11 luglio 2024, ha disposto la revoca dell’ordinanza impugnata.
Ne deriva che deve essere dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d), c.p.p. per sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti alla loro decisione per causa agli stessi non imputabile e conseguentemente la declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna degli stessi ricorrenti al pagamento delle spese processuali, né al versamento di una somma in favore della Cassa per le ammende (ex multis Sez. 1, n. 15908 del 22/02/2024, Sorti, Rv. 286244).
Dichiara inammissibili i ricorsi.
Così deciso il 20/11/2024