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Rinuncia al ricorso: quando non si pagano le spese?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un appello a seguito di rinuncia al ricorso. La questione centrale riguarda le spese processuali: la Corte stabilisce che, se la rinuncia deriva da una sopravvenuta carenza di interesse non imputabile al ricorrente (in questo caso, la revoca della misura cautelare), non vi è condanna al pagamento delle spese, poiché non si configura un’ipotesi di soccombenza.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Una Guida Pratica alle Spese Processuali

La rinuncia al ricorso è un atto processuale che può avere conseguenze significative, specialmente per quanto riguarda l’addebito delle spese. Molti credono che ritirare un appello comporti automaticamente una condanna ai costi, ma una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce un’importante eccezione. Analizziamo insieme un caso pratico che illustra quando la rinuncia non equivale a una sconfitta e, di conseguenza, non implica il pagamento delle spese.

I Fatti di Causa

Una donna, precedentemente impegnata nella politica locale come vicesindaco e consigliere comunale, veniva coinvolta in un’indagine per reati gravi, tra cui lo scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e l’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale (art. 416 c.p.). Le accuse si riferivano a presunti accordi con esponenti di un clan per ottenere voti in cambio di future utilità durante le elezioni comunali del 2019.

Inizialmente, veniva disposta nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere, successivamente sostituita con gli arresti domiciliari presso una località distante circa 150 km dalla sua città di residenza. L’interessata presentava un’istanza di revoca o sostituzione della misura, che veniva rigettata. Contro tale decisione, proponeva appello al Tribunale del Riesame, il quale confermava la misura degli arresti domiciliari, ritenendo ancora sussistente il pericolo di reiterazione del reato, nonostante le dimissioni da ogni carica pubblica e il trasferimento.

La Svolta Processuale: La Rinuncia al Ricorso in Cassazione

Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame, la difesa presentava ricorso per cassazione. Tuttavia, nelle more del giudizio di legittimità, accadeva un fatto nuovo e decisivo: la misura cautelare degli arresti domiciliari, oggetto del contendere, veniva revocata. A seguito di questo sviluppo, l’imputata, tramite il suo difensore, presentava un valido atto di rinuncia al ricorso, poiché era venuto meno il suo interesse a una decisione nel merito.

La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d) del codice di procedura penale.

Le Motivazioni

Il punto cruciale della sentenza non risiede nella dichiarazione di inammissibilità, che è una conseguenza automatica della rinuncia, ma nella decisione relativa alle spese processuali. La Corte ha stabilito che l’imputata non dovesse essere condannata né al pagamento delle spese processuali né al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.

La motivazione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale (richiamando la sentenza n. 45618/2021), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta a una sopravvenuta carenza di interesse, derivante da una causa non imputabile al ricorrente, non configura un’ipotesi di soccombenza. In altre parole, la rinuncia non è stata un atto di resa di fronte a un ricorso infondato, ma la logica conseguenza di un evento favorevole (la revoca della misura) che ha reso l’impugnazione priva di scopo. Poiché l’interesse a decidere è venuto meno per un fatto esterno e non per una colpa della ricorrente, non è giusto applicare il principio per cui “chi perde paga”.

Le Conclusioni

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica: la rinuncia a un’impugnazione non è sempre sinonimo di sconfitta processuale. Quando la ragione della rinuncia risiede in un evento che soddisfa l’interesse del ricorrente, come la revoca di una misura cautelare, la giurisprudenza tende a escludere la condanna alle spese. Si tratta di una tutela fondamentale che impedisce di penalizzare economicamente una parte che, di fatto, ha visto le sue ragioni sostanzialmente accolte, sebbene per una via diversa da quella della sentenza di merito. La decisione sottolinea la differenza tra una rinuncia tattica e una rinuncia dettata dalla cessazione della materia del contendere.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
In base alla normativa processuale, il ricorso viene dichiarato inammissibile, il che significa che la Corte non entra nel merito della questione ma chiude il procedimento.

La rinuncia al ricorso comporta sempre il pagamento delle spese processuali?
No. Come chiarito dalla sentenza, se la rinuncia è causata da una sopravvenuta carenza di interesse non imputabile a chi ha fatto ricorso (ad esempio, perché la misura contestata è stata nel frattempo revocata), non vi è condanna al pagamento delle spese, in quanto non si configura una vera e propria “soccombenza” (sconfitta).

Per quale motivo, nel caso specifico, l’imputata ha rinunciato al ricorso?
L’imputata ha rinunciato perché, durante l’attesa della decisione della Cassazione, la misura cautelare personale (gli arresti domiciliari) che era l’oggetto del suo ricorso è stata revocata. Di conseguenza, non aveva più alcun interesse a ottenere una sentenza sul punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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