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Rinuncia al ricorso: quando non si pagano le spese

Un imputato, dopo aver presentato ricorso in Cassazione contro un’ordinanza di rinvio a giudizio, effettua una rinuncia al ricorso. Tale rinuncia è motivata dal fatto che, nel frattempo, un altro giudice ha annullato l’atto impugnato. La Suprema Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso ma, accogliendo un principio consolidato, esclude la condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria. La motivazione risiede nel fatto che il venir meno dell’interesse alla decisione non configura una soccombenza, neppure virtuale.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al ricorso: quando è possibile evitare la condanna alle spese

La rinuncia al ricorso per Cassazione è un atto formale con cui una parte decide di non proseguire con l’impugnazione presentata. Solitamente, un ricorso dichiarato inammissibile comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2771/2025, ribadisce un importante principio: se la rinuncia è causata dal venir meno dell’interesse a ottenere una decisione, non vi è alcuna condanna alle spese. Analizziamo insieme questo interessante caso di procedura penale.

I Fatti del Caso

Un imputato era stato rinviato a giudizio dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Roma per l’ipotesi di omicidio colposo. Ritenendo il provvedimento abnorme, il suo difensore aveva proposto ricorso per cassazione.

Successivamente, prima ancora che la Cassazione potesse decidere, si verificava un fatto nuovo e decisivo: il Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP), investito della questione, accoglieva la richiesta di nullità della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla difesa. Questo evento, di fatto, risolveva la questione a favore dell’imputato, rendendo inutile la pronuncia della Suprema Corte.

Di conseguenza, l’imputato presentava una formale rinuncia al ricorso, motivandola proprio con il venir meno della materia del contendere e, quindi, del suo interesse a “coltivare” l’impugnazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato inammissibile il ricorso. La parte più significativa della decisione, tuttavia, riguarda le conseguenze economiche di tale declaratoria. Invece di applicare la regola generale che prevede la condanna alle spese e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, la Corte ha stabilito che nulla era dovuto dal ricorrente.

Le Motivazioni: la rinuncia al ricorso e la mancanza di soccombenza

Il cuore della motivazione risiede in un principio di diritto consolidato, citato ampiamente dalla Corte. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, alla dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per cassazione, dovuta al venir meno dell’interesse alla decisione sopraggiunto dopo la sua proposizione, non consegue la condanna del ricorrente alle spese del procedimento né al pagamento della sanzione pecuniaria.

La ragione è logica e giuridicamente fondata: in una situazione del genere, non si configura una “soccombenza” della parte, neppure in senso “virtuale”. L’imputato non ha perso la sua battaglia legale; al contrario, il suo obiettivo è stato raggiunto per altra via, rendendo superfluo il giudizio di cassazione. La rinuncia non è stata un atto di resa, ma una presa d’atto che la controversia si era già risolta a suo favore.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza conferma un importante principio di equità processuale. Stabilisce che un cittadino non deve essere penalizzato economicamente per aver rinunciato a un’azione legale diventata inutile a causa di un evento favorevole e indipendente dalla sua volontà. La rinuncia al ricorso, quando motivata dalla cessazione della materia del contendere, è vista come un atto che contribuisce all’economia processuale, evitando un’inutile pronuncia del giudice. Per i legali e i loro assistiti, ciò significa che è possibile e doveroso rinunciare a un’impugnazione divenuta superflua, senza il timore di subire conseguenze economiche negative, a condizione che il venir meno dell’interesse sia chiaramente documentato e motivato.

Chi rinuncia a un ricorso per cassazione deve sempre pagare le spese processuali?
No. Se la rinuncia al ricorso è determinata dal venir meno dell’interesse a una decisione perché la questione è stata risolta in altro modo a favore del ricorrente, la Corte di Cassazione può non condannare al pagamento delle spese e della sanzione pecuniaria.

Cosa significa “venir meno dell’interesse alla decisione”?
Significa che un evento, accaduto dopo la proposizione del ricorso, ha reso la pronuncia del giudice inutile o priva di scopo. Nel caso specifico, l’annullamento dell’atto impugnato da parte di un altro giudice ha soddisfatto la pretesa del ricorrente, facendo cessare il suo interesse a proseguire il giudizio in Cassazione.

Perché in questo caso non si applica la condanna alle spese?
La condanna alle spese non si applica perché, secondo la giurisprudenza consolidata, non si configura una “soccombenza” (cioè una sconfitta processuale), neppure virtuale. La rinuncia è la conseguenza di un esito favorevole per il ricorrente, quindi mancano i presupposti giuridici per porre a suo carico i costi del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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