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Rinuncia al ricorso: quando l’appello è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un appello relativo a una misura cautelare per tentato omicidio a seguito della formale rinuncia al ricorso da parte dell’indagato. La decisione si fonda sulla sopravvenuta carenza di interesse, poiché la misura cautelare era nel frattempo cessata. Di conseguenza, la Corte non ha applicato la condanna alle spese processuali.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al ricorso: effetti e conseguenze nel processo penale

La rinuncia al ricorso è un atto processuale che può determinare l’esito di un giudizio di impugnazione. Con la sentenza n. 7878/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i principi che regolano questo istituto, chiarendo le conseguenze sulla declaratoria di inammissibilità e sulla condanna alle spese. Il caso analizzato offre spunti importanti sulla gestione della strategia difensiva quando mutano le condizioni di fatto, come la cessazione di una misura cautelare.

I fatti di causa: dal tentato omicidio al ricorso in Cassazione

La vicenda trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale nei confronti di un individuo, una guardia giurata, accusato di tentato omicidio aggravato da futili motivi. Secondo la ricostruzione, durante un alterco notturno, l’indagato avrebbe prima colpito un sacerdote con un pugno e, successivamente all’intervento degli amici di quest’ultimo, avrebbe prelevato la sua pistola di servizio dall’auto esplodendo alcuni colpi verso la vittima, ferendola alle gambe. Solo l’inceppamento dell’arma avrebbe impedito conseguenze peggiori.

Il Tribunale del Riesame, adito dalla difesa, confermava la misura cautelare, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza basati sulle dichiarazioni della vittima, dei testimoni e sulle registrazioni delle telecamere di sorveglianza. Veniva inoltre confermato il pericolo di reiterazione del reato.

I motivi del ricorso e la successiva rinuncia

La difesa proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata. In particolare, si sosteneva che il Tribunale avesse trascurato elementi favorevoli all’indagato, come il fatto che le immagini video avrebbero mostrato un tentativo di aggressione iniziale da parte del sacerdote. Inoltre, si contestava la sussistenza dell’ animus necandi (l’intenzione di uccidere), evidenziando che i colpi erano stati esplosi verso il basso da un tiratore esperto.

Tuttavia, prima dell’udienza in Cassazione, si verificava un fatto nuovo e decisivo: il GIP, con un successivo provvedimento, dichiarava la cessazione dell’efficacia della misura cautelare. A fronte di questa novità, l’indagato, tramite i suoi difensori, depositava un atto formale di rinuncia al ricorso, motivata dalla sopravvenuta carenza di interesse a una decisione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, investita della questione, non è entrata nel merito dei motivi di ricorso, ma si è concentrata esclusivamente sugli effetti processuali della rinuncia. I giudici hanno qualificato la rinuncia all’impugnazione come una dichiarazione abdicativa, irrevocabile e recettizia, che deve essere espressa in un atto formale secondo le regole del codice di procedura penale.

Nel caso specifico, la Corte ha verificato la sussistenza di tutti i requisiti formali: la dichiarazione di rinuncia era stata presentata personalmente dall’indagato, con firma autenticata dai difensori, e trasmessa ritualmente alla cancelleria. La presenza di questi elementi ha portato la Corte a dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Un punto cruciale della decisione riguarda le spese processuali. In linea generale, la parte il cui ricorso è dichiarato inammissibile viene condannata al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. Tuttavia, la Corte ha specificato che questa regola non si applica quando l’inammissibilità deriva da una rinuncia al ricorso motivata da una sopravvenuta carenza d’interesse per causa non imputabile al ricorrente. Poiché la cessazione della misura cautelare era un evento indipendente dalla volontà dell’indagato, la Corte ha escluso qualsiasi condanna economica a suo carico.

Le conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio fondamentale della procedura penale: la rinuncia formale all’impugnazione ne determina l’inammissibilità, precludendo al giudice ogni valutazione di merito. Al contempo, chiarisce che le conseguenze economiche di tale inammissibilità non sono automatiche. Se la rinuncia è giustificata da un evento sopravvenuto non imputabile al ricorrente, che fa venir meno il suo interesse a una decisione, non vi è luogo per la condanna alle spese. Questa pronuncia sottolinea l’importanza di una valutazione strategica continua nel corso del processo, adattando le azioni difensive al mutare delle circostanze di fatto e di diritto.

Cosa succede se un imputato rinuncia al ricorso in Cassazione?
La rinuncia formale e rituale al ricorso ne determina l’inammissibilità. Ciò significa che la Corte di Cassazione non esamina il merito delle questioni sollevate e il procedimento di impugnazione si conclude.

Chi rinuncia a un ricorso deve sempre pagare le spese processuali?
No. Secondo la sentenza, se la rinuncia è dovuta a una sopravvenuta carenza di interesse per una causa non imputabile al ricorrente (come la cessazione della misura cautelare decisa autonomamente dal giudice), non consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento né di sanzioni pecuniarie.

Quali sono i requisiti per una valida rinuncia al ricorso?
La rinuncia deve essere un atto processuale formale. Deve essere formulata secondo le forme e i termini stabiliti dall’art. 589 del codice di procedura penale, garantendo la provenienza dal soggetto legittimato (l’imputato o il suo procuratore speciale) e la sua ricezione da parte dell’organo competente. Nel caso di specie, la dichiarazione è stata fatta personalmente dall’imputato con firma autenticata dai difensori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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