Rinuncia al ricorso per carenza d’interesse: quando non si pagano le spese
Cosa accade quando si presenta un’impugnazione in Cassazione ma, prima della decisione, la situazione cambia a proprio favore, rendendo di fatto inutile il giudizio? La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 3503/2024, chiarisce un importante principio riguardante la rinuncia al ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse e le sue conseguenze sulle spese processuali. La decisione conferma un orientamento consolidato: se l’interesse a proseguire l’azione viene meno per una causa non imputabile al ricorrente, quest’ultimo non deve essere condannato al pagamento delle spese né della sanzione pecuniaria.
I fatti del caso: dalla richiesta di misure alternative alla Cassazione
La vicenda ha origine dalla richiesta di una persona, in stato di detenzione, di essere ammessa a misure alternative come l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava tali istanze. Contro questa decisione, veniva proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio procedurale: il giudice aveva deciso senza acquisire la necessaria relazione informativa dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), come previsto dalla legge per l’affidamento in prova.
Tuttavia, mentre il ricorso era pendente davanti alla Suprema Corte, accadeva un fatto nuovo e decisivo: lo stesso Tribunale di Sorveglianza, con un successivo provvedimento, ammetteva la ricorrente alla detenzione domiciliare. A questo punto, l’interesse a ottenere una pronuncia dalla Cassazione sul ricorso originario veniva completamente a mancare.
La rinuncia al ricorso e la decisione della Cassazione
Preso atto del nuovo provvedimento favorevole, il difensore della ricorrente, munito di procura speciale, depositava una formale rinuncia al ricorso. La motivazione era chiara: la sua assistita aveva già ottenuto un risultato positivo (la detenzione domiciliare), e dunque non vi era più alcun interesse concreto a proseguire il giudizio di legittimità.
La Corte di Cassazione, di conseguenza, ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio per ‘sopravvenuta carenza d’interesse’. La questione centrale, però, non era tanto la chiusura del procedimento, quanto le sue conseguenze economiche. Di norma, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione a favore della Cassa delle Ammende.
Le motivazioni: il principio della non imputabilità della carenza d’interesse
La Corte ha deciso di derogare alla regola generale, basando la propria decisione su un principio di equità e logica giuridica ormai consolidato, sancito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza Marinaj del 2011). Il ragionamento è il seguente: la condanna alle spese ha una natura sanzionatoria, volta a punire chi ha avviato un’impugnazione infondata.
In questo caso, tuttavia, la rinuncia al ricorso e la conseguente inammissibilità non derivano da un errore o dalla temerarietà del ricorrente. Al contrario, sono la conseguenza di un evento favorevole – l’ottenimento della detenzione domiciliare – che è del tutto estraneo alla sua volontà e non gli è in alcun modo imputabile. Imporre una sanzione economica sarebbe stato illogico e ingiusto, poiché la fine del processo è stata determinata da uno sviluppo positivo della vicenda esecutiva.
Il Collegio ha quindi ribadito che ‘Nel caso di inammissibilità del ricorso per cassazione a causa di rinuncia per sopravvenuta carenza d’interesse determinata da una causa non imputabile al ricorrente non deve essere pronunciata la condanna alle spese ed alla sanzione pecuniaria’.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale di giustizia procedurale. Chi intraprende un’azione legale per tutelare un proprio diritto non deve essere penalizzato se, nel corso del giudizio, raggiunge il suo obiettivo per altre vie. La decisione della Cassazione garantisce che la rinuncia al ricorso, quando motivata da eventi positivi e non colposi, non si traduca in un onere economico per il cittadino. Si tratta di una tutela importante che incentiva l’efficienza processuale, evitando la prosecuzione di giudizi ormai superflui senza per questo punire chi ha legittimamente agito per difendere le proprie ragioni.
 
Se rinuncio a un ricorso in Cassazione devo sempre pagare le spese processuali?
No. Secondo la Corte, se la rinuncia è determinata da una ‘sopravvenuta carenza d’interesse’ per una causa non imputabile al ricorrente (come l’ottenimento di un beneficio nel frattempo), non deve essere pronunciata la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria.
Cosa significa ‘sopravvenuta carenza d’interesse’ in questo caso specifico?
Significa che l’interesse a proseguire il ricorso è venuto meno perché la persona ha ottenuto, con un altro provvedimento, la misura alternativa della detenzione domiciliare. Poiché lo scopo principale del ricorso era ottenere una misura del genere, la sua prosecuzione non avrebbe più portato alcun vantaggio pratico.
Perché il ricorso è stato dichiarato ‘inammissibile’ e non si è semplicemente preso atto della rinuncia?
La rinuncia è l’atto che ha manifestato la mancanza di interesse. La conseguenza giuridica di questa mancanza d’interesse, quando si verifica dopo la proposizione del ricorso, è la declaratoria di inammissibilità, come previsto dal codice di procedura penale. L’effetto pratico è la chiusura definitiva del procedimento.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3503 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 3503  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME aveva proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo, con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva rigettato le sue istanza di affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare in relazione a pene concorrenti in corso di espiazione in regime carcerario e, con l’unico motivo, denunciava che il giudice specializzato aveva negato l’accesso al beneficio dell’affidamento in prova senza acquisire la relazione dell’Uepe al fine della redazione della relazione che deve precedere l’adozione della misura alternativa alla detenzione, come espressamente richiesto dall’art. 47 legge 26 luglio 1975 n. 354, in relazione all’art. 678 cod. proc. pen.;
rilevato che successivamente il difensore della ricorrente, munito di procura speciale, ha proposto rinuncia al ricorso per carenza di interesse avendo COGNOME, medio tempore, con provvedimento del Tribunale di sorveglianza, ottenuto l’ammissione alla misura alternativa della detenzione domiciliare;
ritenuto che alla rituale rinunzia al ricorso, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 589, commi 2 e 3, e 591, comma 1, let. d), cod. proc. pen., consegue l’inammissibilità del ricorso;
rilevato, quanto alla condanna alle spese del procedimento e al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di dover aderire e dover consolidare l’orientamento secondo cui « Nel caso di inammissibilità del ricorso per cassazione a causa di rinuncia per sopravvenuta carenza d’interesse determinata da una causa non imputabile al ricorrente non deve essere pronunciata la condanna alle spese ed alla sanzione pecuniaria prevista, in via ordinaria, dall’art. 616 cod. proc.pen.» (Sez. 4, n. 45618 del 11/11/2021, COGNOME, Rv. 282549; Sez. 3, n. 29593 del 26/5/2021, COGNOME, Rv. 281785; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, Reznnives, Rv. 272308; Sez. 6, n. 19209 del 31/1/2013, COGNOME, Rv. 256225; Sez. 6, n. 22747 del 6/3/2003, COGNOME, Rv. 226009; Sez. 1, n. 1695 del 19/3/1998, COGNOME, Rv. 210561), e autorevolmente riconducibile al decisum delle Sezioni Unite di questa Corte COGNOME del 2011 (Sez. Un., n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251694); 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse. Così deciso il 16 novembre 2023
Il Consigliere estensore
GLYPH Il Presidente