Rinuncia al ricorso: quando non si pagano le spese processuali?
La rinuncia al ricorso è un atto che chiude un capitolo processuale, ma quali sono le sue conseguenze economiche? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 44248/2024) chiarisce un principio fondamentale: se la rinuncia è dettata da una sopravvenuta carenza di interesse, il ricorrente non deve essere condannato al pagamento delle spese. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
La vicenda riguarda un individuo sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Ritenendo illegittimo il provvedimento, decideva di presentare ricorso presso il Tribunale competente. Tuttavia, mentre il ricorso era in attesa di essere discusso, la stessa misura cautelare veniva revocata per altre vie.
A questo punto, l’interesse a proseguire con l’impugnazione veniva meno: l’obiettivo del ricorrente, ovvero la fine della misura restrittiva, era stato già raggiunto. Di conseguenza, il suo difensore comunicava formalmente la rinuncia al ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
La Decisione della Corte sulla rinuncia al ricorso
La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La questione centrale, però, non era tanto la declaratoria di inammissibilità – un esito scontato data la rinuncia – quanto la decisione sulle conseguenze economiche per il ricorrente.
In base alla normativa processuale, l’inammissibilità di un ricorso comporta solitamente la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria. In questo caso, però, la Suprema Corte ha derogato a questa regola generale.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte ha fondato la sua decisione su un’attenta analisi delle ragioni che hanno portato alla rinuncia. La sentenza spiega che la rinuncia al ricorso, in questo specifico contesto, non deriva da un ripensamento infondato o da una valutazione di probabile sconfitta, ma da un evento esterno e favorevole al ricorrente: la revoca della misura cautelare.
Questo evento ha fatto sì che l’interesse ad agire, requisito fondamentale di qualsiasi azione giudiziaria, venisse meno. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata dalla Corte, in questi casi non si può parlare di “soccombenza”, neppure in senso virtuale. La soccombenza implica una sconfitta nel merito, una situazione che qui non si è verificata perché il merito del ricorso non è mai stato discusso.
Inoltre, i giudici hanno sottolineato che non è possibile ravvisare alcuna “colpa” nella proposizione del ricorso. Al momento della sua presentazione, l’interesse a contestare la misura cautelare era concreto e attuale. Il fatto che il risultato desiderato sia stato ottenuto “aliunde”, cioè per un’altra via, non rende colpevole la scelta iniziale di impugnare.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
La sentenza stabilisce un principio di equità di grande importanza pratica. La rinuncia al ricorso non è un atto che comporta automaticamente sanzioni economiche. È necessario valutarne le motivazioni. Se un cittadino rinuncia a un’impugnazione perché il suo obiettivo è stato raggiunto prima della decisione del giudice, non deve essere penalizzato. Questa decisione protegge il diritto di difesa, evitando che il timore di una condanna alle spese possa scoraggiare la proposizione di ricorsi legittimi, anche quando la situazione di fatto potrebbe evolversi favorevolmente nel corso del procedimento.
Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
La rinuncia porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il che significa che la Corte non esaminerà la questione nel merito e il procedimento si conclude.
La rinuncia al ricorso comporta sempre la condanna al pagamento delle spese processuali?
No. Come chiarito dalla sentenza, se la rinuncia è motivata da una sopravvenuta carenza di interesse (ad esempio, perché la misura contestata è stata revocata), non consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento né di una sanzione pecuniaria.
Perché in questo caso il ricorrente non è stato condannato alle spese?
Perché la revoca della misura cautelare ha eliminato il suo interesse a proseguire il ricorso. Non si è configurata una “soccombenza” (sconfitta nel merito) e non è stata ravvisata alcuna colpa nell’aver proposto l’impugnazione, dato che l’esito favorevole era già stato raggiunto per altra via.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44248 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44248 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di: NOME NOMECOGNOME nato ad Avellino, il 10/08/1977, avverso la ordinanza del 12/07/2024 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso, attesa la sopravvenuta rinunzia per carenza di interesse;
lette le conclusioni trasmesse a mezzo p.e.c. dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per la rinuncia al ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso in esame va dichiarato inammissibile per rinunzia (in data 8 ottobre 2024 a firma del procuratore speciale, in ragione della dichiarata carenza di interesse, per l sopravvenuta revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari in corso di esecuzione alla data di presentazione del ricorso).
1.1. La rinunzia al ricorso, atto potestativo di natura abdicativa personalissimo ad efficacia immediata (Sez. U., 12602, del 17/12/2015, Rv. 266821), è infatti causa di inammissibilità della proposta impugnazione, ai sensi degli artt. 589, comma 2, 591, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. .
All’inammissibilità del ricorso per rinunzia, motivata dalla sopravvenuta carenza di interesse, in ragione della revoca della misura cautelare in essere all’atto del presentazione dell’impugnazione, non consegue la condanna del ricorrente, né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende: non si configura, infatti, in tal caso, un’ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Rv. 208166; Sez. 2, n. 4452 del 08/01/2019, Rv. 274736; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, Rv. 272308; Sez. 6, n. 44723/2021); né, alla luce del risultato favorevole conseguito aliunde, è possibile riconoscere profili di colpa nella proposizione della impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 novembre 2024.