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Rinuncia al ricorso: inammissibilità e condanna spese

Un soggetto, sottoposto agli arresti domiciliari per estorsione, ha proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Tuttavia, prima della decisione, ha presentato una formale rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8122/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio a causa della rinuncia, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, ribadendo l’automatismo di tali conseguenze procedurali.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Analisi della Sentenza n. 8122/2024

La rinuncia al ricorso è un atto processuale dalle conseguenze nette e immediate. Con la sentenza n. 8122 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: chi rinuncia a un’impugnazione non solo ne determina l’inammissibilità, ma va incontro a precise conseguenze economiche. Analizziamo questa decisione per comprendere le implicazioni pratiche di tale scelta.

I Fatti del Processo

La vicenda ha origine da un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari che disponeva la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un individuo per diversi reati, tra cui un’ipotesi di estorsione. L’indagato proponeva istanza di riesame al Tribunale competente, il quale non solo confermava la misura cautelare, ma procedeva a una riqualificazione del reato di estorsione da tentato a consumato, aggravando di fatto la posizione giuridica dell’interessato.

Contro questa decisione, la difesa presentava ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorso si fondava su tre motivi principali:

1. Carenza di motivazione: Si contestava la mancanza di argomentazioni concrete sulle esigenze cautelari, in particolare sul pericolo di inquinamento delle prove.
2. Mancanza di attualità del pericolo: La difesa sosteneva che il pericolo di reiterazione del reato fosse stato desunto solo dalle modalità dei fatti, senza considerare nuove emergenze investigative.
3. Violazione del divieto di reformatio in pejus: Il motivo più tecnico riguardava la riqualificazione del reato da estorsione tentata a consumata operata dal Tribunale del Riesame. Secondo la difesa, tale modifica peggiorativa violava il principio che vieta al giudice dell’impugnazione di peggiorare la posizione del solo ricorrente.

La Svolta Processuale: La Rinuncia al Ricorso

Prima che la Corte di Cassazione potesse esaminare nel merito i motivi sopra elencati, è intervenuto un fatto decisivo: il ricorrente, tramite il suo difensore, ha depositato un atto formale con cui dichiarava di rinunciare al ricorso proposto. Questo atto ha cambiato radicalmente la direzione del procedimento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte non è entrata nel vivo delle questioni sollevate dalla difesa. L’analisi dei giudici si è concentrata esclusivamente sull’atto di rinuncia. La Corte ha applicato in modo rigoroso le disposizioni del codice di procedura penale.

In base all’art. 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, la rinuncia all’impugnazione è una delle cause che determina l’inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, l’art. 616 dello stesso codice stabilisce che, in caso di dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La Corte ha sottolineato che la legge non opera distinzioni tra le diverse cause di inammissibilità. Pertanto, anche l’inammissibilità derivante dalla rinuncia al ricorso comporta automaticamente l’applicazione di queste sanzioni pecuniarie. Non è necessario, né possibile, per il giudice valutare le ragioni che hanno spinto il ricorrente a rinunciare. L’unica eccezione, non riscontrata nel caso di specie, è quella di una completa mancanza d’interesse per causa sopravvenuta e non imputabile al ricorrente.

Le Conclusioni

La sentenza è un chiaro monito sulle conseguenze della rinuncia al ricorso. Sebbene possa essere una scelta strategica ponderata (ad esempio, per evitare una decisione potenzialmente sfavorevole nel merito o per accedere a benefici alternativi), non è un atto privo di costi. La decisione di rinunciare chiude definitivamente la porta a una revisione della decisione impugnata e comporta l’obbligo automatico di sostenere le spese processuali e il pagamento di una sanzione pecuniaria. Questa pronuncia evidenzia l’importanza di una valutazione attenta e consapevole, da parte della difesa, prima di intraprendere un passo processuale così definitivo.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
La rinuncia comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questo significa che la Corte non esaminerà i motivi dell’impugnazione e la decisione precedente diventerà definitiva.

Ci sono conseguenze economiche in caso di rinuncia al ricorso?
Sì. Secondo la sentenza, la rinuncia porta all’inammissibilità del ricorso, che a sua volta obbliga il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (nel caso specifico, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La Corte valuta i motivi della rinuncia prima di condannare alle spese?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’applicazione della sanzione pecuniaria e la condanna alle spese sono una conseguenza automatica della dichiarazione di inammissibilità, indipendentemente dalla causa che l’ha determinata, inclusa la rinuncia volontaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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