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Rinuncia al ricorso: inammissibilità e condanna

Un individuo, condannato per vendita di beni contraffatti, presenta ricorso in Cassazione ma in seguito vi rinuncia tramite il proprio difensore. La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, dichiara il ricorso inammissibile a causa della rinuncia al ricorso. Di conseguenza, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, chiarendo che questa è la conseguenza automatica prevista dalla legge per ogni forma di inammissibilità.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Le Conseguenze Economiche della Scelta Processuale

La presentazione di un ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio per chi intende contestare una condanna. Ma cosa accade se, dopo aver intrapreso questa strada, si decide di fare un passo indietro? La rinuncia al ricorso non è un atto privo di conseguenze, come chiarisce un’importante ordinanza della Corte di Cassazione. Questo provvedimento sottolinea come la rinuncia comporti non solo la fine del processo, ma anche precise responsabilità economiche a carico del ricorrente.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna per i reati di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.). L’imputato, ritenuto colpevole sia in primo che in secondo grado, decideva di presentare ricorso per cassazione. La sua difesa lamentava vizi di motivazione e violazione di legge, sostenendo che la condanna si basasse su prove incerte: in particolare, si contestava la mancata esecuzione di una perizia tecnica che accertasse con assoluta sicurezza la contraffazione dei beni, dato che il principale testimone li aveva definiti solo “presumibilmente” contraffatti.

Tuttavia, in un momento successivo, il difensore dell’imputato, munito di apposita procura speciale, depositava un atto di rinuncia al ricorso, cambiando di fatto la rotta del procedimento.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Rinuncia al Ricorso

A fronte della rinuncia formalizzata, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che prenderne atto e agire di conseguenza. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. È fondamentale comprendere che tale declaratoria non entra nel merito dei motivi di appello; il giudice non valuta se le doglianze fossero fondate o meno. L’atto di rinuncia, infatti, blocca il processo sul nascere, impedendo alla Corte di esaminare la questione. La decisione si è quindi concentrata sulle conseguenze procedurali ed economiche di tale atto.

Le Motivazioni: Perché la Rinuncia al Ricorso Porta a una Condanna Pecuniaria

Il punto centrale dell’ordinanza risiede nella spiegazione delle conseguenze economiche legate all’inammissibilità del ricorso. La Corte ha applicato rigorosamente quanto previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, in caso di inammissibilità di un ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La difesa della Corte si basa su un principio chiaro: la legge non fa distinzioni tra le diverse cause di inammissibilità. Che un ricorso sia inammissibile perché manifestamente infondato, presentato fuori termine o, come in questo caso, per avvenuta rinuncia, il risultato non cambia. L’articolo 591 del codice di procedura penale elenca la rinuncia al ricorso tra le cause di inammissibilità, e l’articolo 616 collega a tutte le forme di inammissibilità, senza eccezioni, le medesime conseguenze sanzionatorie. Citando anche un precedente giurisprudenziale (Sez. 2, n. 45850 del 15/09/2023), i giudici hanno ribadito che la condanna economica è un effetto automatico e inderogabile della declaratoria di inammissibilità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza offre un’importante lezione pratica: la scelta di rinunciare a un ricorso per cassazione è una decisione strategica che deve essere ponderata attentamente, tenendo conto delle sue inevitabili conseguenze economiche. Rinunciare non significa semplicemente porre fine alla controversia senza costi. Al contrario, la legge prevede un meccanismo sanzionatorio volto a scoraggiare impugnazioni presentate con leggerezza e poi abbandonate. Per l’imputato, quindi, la rinuncia chiude definitivamente la partita legale, rendendo irrevocabile la condanna subita, ma comporta anche un onere economico certo e definito dal giudice, che nel caso di specie è stato quantificato in tremila euro oltre alle spese processuali.

Cosa succede se, dopo aver presentato ricorso per cassazione, si decide di rinunciare?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile. Ciò significa che il procedimento si conclude senza che i giudici esaminino nel merito i motivi dell’impugnazione, e la sentenza impugnata diventa definitiva.

La rinuncia al ricorso comporta delle spese per chi lo ha presentato?
Sì, la rinuncia porta a una declaratoria di inammissibilità, che a sua volta obbliga il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., a pagare sia le spese processuali sia una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

C’è differenza, ai fini delle sanzioni, tra un ricorso inammissibile perché manifestamente infondato e uno inammissibile per rinuncia?
No. Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nel provvedimento in esame, la legge non prevede distinzioni. Tutte le cause di inammissibilità, inclusa la rinuncia, comportano la medesima conseguenza: la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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