Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Analisi di una Recente Ordinanza
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito le dirette conseguenze processuali ed economiche che derivano dalla rinuncia al ricorso. Questo atto, apparentemente semplice, chiude la porta a ogni ulteriore esame del merito della controversia e comporta sanzioni pecuniarie a carico di chi lo compie. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni della Suprema Corte.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da una condanna per il reato previsto dall’art. 73 del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/1990). La sentenza, emessa dal Tribunale di Prato e successivamente confermata dalla Corte di Appello di Firenze, aveva inflitto all’imputato una pena di 4 anni e 2 mesi di reclusione, oltre a una multa di 20.000,00 euro.
Contro questa decisione, l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, sollevando due questioni: una relativa alla qualificazione giuridica del fatto e l’altra riguardante la legittimità della ritenuta recidiva.
La Decisione della Corte sulla Rinuncia al Ricorso
Il percorso processuale ha subito una svolta decisiva prima ancora che si arrivasse alla discussione in udienza. Il difensore dell’imputato, munito di procura speciale, ha trasmesso via Posta Elettronica Certificata (PEC) un atto formale di rinuncia al ricorso.
Di fronte a tale atto, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che prenderne atto e dichiarare il ricorso inammissibile. La rinuncia, infatti, è una delle cause di inammissibilità espressamente previste dal Codice di procedura penale.
Le Motivazioni della Condanna Accessoria
La Corte non si è limitata a dichiarare l’inammissibilità. Ha specificato che tale esito era direttamente riconducibile alla volontà, e quindi alla colpa, del ricorrente. Richiamando un importante principio sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000, i giudici hanno sottolineato che, in casi come questo, la legge impone la condanna del ricorrente a due tipi di pagamenti:
1. Le spese processuali sostenute.
2. Una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende.
La Corte ha ritenuto equo e congruo determinare quest’ultima somma in 3.000,00 euro. La decisione finale è stata quindi di dichiarare il ricorso inammissibile e di condannare il ricorrente al pagamento delle spese e della suddetta somma.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame è un chiaro promemoria delle implicazioni legali della rinuncia al ricorso. Questa scelta non è neutra: essa pone fine irrevocabilmente al procedimento di impugnazione, rendendo definitiva la condanna precedente. Inoltre, fa scattare un meccanismo sanzionatorio di natura economica a carico del ricorrente. La decisione di rinunciare a un’impugnazione deve essere, pertanto, attentamente ponderata con il proprio legale, tenendo conto non solo della chiusura del caso ma anche dei costi certi che ne derivano.
Cosa succede se si rinuncia a un ricorso per cassazione?
La rinuncia determina la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, il processo si conclude e la sentenza precedentemente impugnata diventa definitiva e non più modificabile.
La rinuncia al ricorso comporta sempre delle spese per chi la presenta?
Sì. Secondo quanto stabilito nell’ordinanza, quando l’inammissibilità è causata da un atto volontario del ricorrente, come la rinuncia, egli viene condannato per legge al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
A quanto ammonta la somma da versare alla Cassa delle ammende in caso di rinuncia?
L’importo non è fisso, ma viene determinato discrezionalmente dal giudice. In questo specifico caso, la Corte di Cassazione ha ritenuto equa e congrua una somma pari a 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18886 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 11/04/2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18886 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 40813/2024
NOME COGNOME
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME nato in Nigeria l’11/04/1989, avverso la sentenza del Tribunale di Firenze del 14/12/2023 visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Prato in data 18/04/2023, che aveva condannato NOME NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, la pena di anni 4 e mesi 2 di reclusione e 20.000,00 euro di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, in cui lamenta, con un primo motivo, di legge e vizio di motivazione con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto e, con un secondo motivo, violazione di legge in relazione alla ritenuta recidiva.
Il ricorso Ł inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d), c.p.p., attesa l’intervenuta rinuncia al ricorso (trasmessa tramite PEC in data 11/02/2025) sottoscritta dal difensore munito di procura speciale, pervenuta prima dell’udienza di discussione.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue, per legge, tenuto conto anche della sentenza della Corte costituzionale n. 186/2000, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente, la condanna dello stesso al versamento, a favore della Cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME