Rinuncia al Ricorso: Le Conseguenze Economiche secondo la Cassazione
Presentare un ricorso e poi cambiare idea può sembrare una scelta priva di conseguenze, ma non è sempre così. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la rinuncia al ricorso non solo ne determina l’inammissibilità, ma comporta anche precise responsabilità economiche per chi la effettua. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale della procedura penale: l’attivazione della macchina della giustizia ha un costo, e le ritirate strategiche non esentano dal pagamento di sanzioni.
I Fatti del Caso: Dal Ricorso alla Rinuncia
La vicenda ha origine dal ricorso presentato da un individuo avverso un’ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Tuttavia, prima che la Corte di Cassazione potesse esaminare il merito della questione, lo stesso ricorrente ha trasmesso una comunicazione formale, manifestando espressamente la volontà di rinunciare al proprio ricorso. Questo atto ha cambiato radicalmente il corso del procedimento, spostando l’attenzione della Corte dalla questione originaria alle conseguenze procedurali della rinuncia stessa.
La Decisione della Corte e le conseguenze della rinuncia al ricorso
Di fronte alla comunicazione del ricorrente, la Corte di Cassazione ha agito in modo consequenziale. Con l’ordinanza del 7 marzo 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione giuridica di tale decisione risiede nella “sopravvenuta carenza di interesse”. In altre parole, nel momento in cui il ricorrente rinuncia, viene meno il suo interesse a ottenere una sentenza, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio. Ma la decisione non si è fermata qui. La Corte ha altresì condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: L’Applicazione dell’Art. 616 c.p.p.
La Corte ha motivato la condanna economica basandosi sull’articolo 616 del codice di procedura penale. Questo articolo stabilisce che, in caso di dichiarazione di inammissibilità di un ricorso, la parte privata che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. Il punto cruciale, evidenziato dalla Cassazione richiamando una propria precedente sentenza (n. 28691/2016), è che la norma non fa distinzioni tra le diverse cause che portano all’inammissibilità. Che si tratti di un vizio formale, di un’impugnazione tardiva o, come in questo caso, di una rinuncia al ricorso, la sanzione pecuniaria è una conseguenza diretta e obbligatoria. La rinuncia, infatti, fa venire meno l’interesse all’impugnazione, che è un presupposto essenziale per la sua ammissibilità. La sua mancanza, seppur sopravvenuta, conduce inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità con tutti gli effetti previsti dalla legge.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza ribadisce un principio importante per chiunque intenda intraprendere un percorso giudiziario. La decisione di presentare un ricorso deve essere ponderata, poiché una successiva rinuncia al ricorso non è un atto neutro. Sebbene ponga fine al procedimento, non cancella le conseguenze economiche. La condanna al pagamento delle spese e della sanzione alla Cassa delle ammende serve a responsabilizzare le parti e a disincentivare ricorsi presentati con leggerezza o per scopi meramente dilatori. Pertanto, prima di abbandonare un’impugnazione, è fondamentale essere consapevoli che questa scelta comporterà costi certi, indipendentemente dalle ragioni che la motivano.
Cosa succede se si rinuncia a un ricorso già presentato in Cassazione?
La rinuncia porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ponendo fine al procedimento.
La rinuncia a un ricorso comporta sempre il pagamento di una sanzione pecuniaria?
Sì, secondo l’ordinanza, la rinuncia è una causa di inammissibilità. L’articolo 616 del codice di procedura penale prevede che alla dichiarazione di inammissibilità consegua la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Perché la Cassazione ha condannato il ricorrente nonostante la sua rinuncia?
Perché la legge non distingue tra le diverse cause di inammissibilità. La rinuncia, causando l’inammissibilità del ricorso, fa scattare automaticamente l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 616 c.p.p., a prescindere dal motivo specifico della rinuncia stessa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12122 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12122 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FORMIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Considerato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, a seguito della espressa rinuncia allo stesso effettuata da NOME COGNOME in data 8 febbraio 2024 e trasmessa per via telematica;
Ritenuto che alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ex art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma, ritenuta equa, di euro duemila a favore della Cassa delle ammende, (l’art. 616 cod. proc. pen., nello stabilire l’applicazione di detta sanzione, non distingue tr diverse cause che danno luogo alla pronuncia di inammissibilità: Sez. 5, n. 28691 del 06/06/2016, Arena, Rv. 267373);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta rinuncia e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.