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Rinuncia al ricorso: costi e sanzioni in Cassazione

Una cittadina, dopo aver impugnato un’ordinanza che confermava la demolizione di un immobile acquistato anni prima, ha presentato una rinuncia al ricorso in Cassazione. La Corte Suprema, prendendo atto della rinuncia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 500 euro, applicando il principio secondo cui la rinuncia al ricorso non esonera da tali oneri.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Non è Mai a Costo Zero

Quando si presenta un’impugnazione in Cassazione, la decisione di fare marcia indietro può sembrare una via d’uscita semplice. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che la rinuncia al ricorso non è un atto privo di conseguenze. Anche se volontaria, essa comporta costi e sanzioni ben precise. Analizziamo una vicenda che, pur partendo da una questione edilizia, si conclude con un’importante lezione di procedura penale.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla richiesta di una cittadina di revocare un ordine di demolizione relativo a un immobile. La ricorrente aveva acquistato l’abitazione nel 1998, ignara del fatto che fosse stata costruita abusivamente circa sette anni prima dal precedente proprietario. Anni dopo, nel 2016, era riuscita anche a ottenere i permessi di costruire in sanatoria.

Nonostante ciò, l’ordine di demolizione, derivante da una vecchia sentenza di condanna a carico del costruttore originario, era rimasto in piedi. La proprietaria aveva quindi avviato un incidente di esecuzione per ottenerne la revoca, sostenendo che la demolizione le avrebbe causato un danno grave e irreparabile, privandola della sua abitazione legittimamente acquistata. Il Tribunale, tuttavia, aveva respinto la sua istanza. Contro questa decisione, la signora aveva proposto ricorso per Cassazione.

La Svolta: La Rinuncia al Ricorso e la Decisione della Cassazione

Il colpo di scena arriva prima ancora che la Corte possa esaminare le ragioni della ricorrente. Tramite il suo difensore, la donna deposita un atto formale di rinuncia al ricorso proposto. Questo atto, definito dalla Corte come ‘negoziale processuale abdicativo, irrevocabile e recettizio’, cambia completamente le sorti del procedimento.

La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, non può fare altro che dichiarare il ricorso inammissibile ai sensi dell’articolo 591, lettera d), del codice di procedura penale. La questione, quindi, non viene decisa nel merito, ma si chiude per una ragione puramente procedurale.

Le Motivazioni: Perché la Rinuncia al Ricorso Comporta una Sanzione?

La parte più interessante della sentenza risiede nelle motivazioni che seguono la declaratoria di inammissibilità. La Corte spiega che, secondo un orientamento consolidato, la dichiarazione di inammissibilità – anche quando causata da una rinuncia – comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Questa conseguenza è prevista dall’articolo 616 del codice di procedura penale. La norma, infatti, non fa distinzioni tra le diverse cause che portano all’inammissibilità. Che il ricorso sia tardivo, privo dei requisiti di legge o volontariamente ritirato, l’esito non cambia. La logica del legislatore è che, una volta attivato il complesso meccanismo della giustizia di ultima istanza, la sua conclusione anomala non può essere priva di costi.

La Corte richiama anche una sentenza della Corte Costituzionale (n. 186/2000), che ha confermato la legittimità di questo automatismo, a meno che non si dimostri che il ricorso sia stato proposto ‘senza versare in colpa’. In questo caso specifico, non essendo emersi elementi di questo tipo, la condanna a una sanzione di 500 euro, oltre alle spese, è stata ritenuta una conseguenza inevitabile.

Conclusioni

La sentenza offre un chiaro monito: la rinuncia al ricorso è una decisione strategica che deve essere ponderata attentamente. Non si tratta di un’uscita di scena ‘neutra’, ma di un atto che chiude definitivamente la porta a ogni ulteriore esame della questione e, soprattutto, attiva automaticamente l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria. Chiunque intraprenda la via dell’impugnazione deve essere consapevole che un eventuale ripensamento comporterà comunque dei costi, come stabilito in modo inequivocabile dalla legge e confermato dalla giurisprudenza.

Cosa succede se si presenta un ricorso in Cassazione e poi si decide di ritirarlo?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, senza esaminare il merito della questione, a causa della rinuncia volontaria.

La rinuncia al ricorso comporta delle conseguenze economiche per chi l’ha proposto?
Sì, la dichiarazione di inammissibilità per rinuncia comporta la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 500 euro.

Perché si deve pagare una sanzione anche se si rinuncia volontariamente al ricorso?
Perché l’articolo 616 del codice di procedura penale non distingue tra le diverse cause di inammissibilità. La sanzione è prevista come conseguenza automatica della pronuncia di inammissibilità, indipendentemente dal fatto che derivi da un vizio originario dell’atto o da una successiva rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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