Rinuncia al ricorso: Quando l’imputato fa un passo indietro
Nel complesso iter della giustizia penale, la presentazione di un ricorso rappresenta un momento cruciale per la difesa. Tuttavia, può accadere che l’imputato decida di interrompere questo percorso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, fa luce sulle conseguenze dirette di una rinuncia al ricorso, un atto che, seppur semplice, innesca precise conseguenze giuridiche ed economiche.
Il caso in esame: una dichiarazione dal carcere
La vicenda processuale ha origine dal ricorso presentato dall’avvocato di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Successivamente, però, è lo stesso imputato a cambiare rotta. Con un atto formale, sottoscritto e proveniente dalla casa di reclusione dove si trovava, ha dichiarato in modo inequivocabile di voler rinunciare all’impugnazione precedentemente proposta.
Questo atto volontario ha posto fine alla pendenza del giudizio davanti alla Suprema Corte, che non ha potuto fare altro che prenderne atto e procedere con le determinazioni di legge.
La decisione della Corte sulla rinuncia al ricorso
La Corte di Cassazione, una volta ricevuta la dichiarazione di rinuncia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non è un giudizio nel merito della questione, ma una presa d’atto formale che il processo di impugnazione si è concluso per volontà della parte.
Di conseguenza, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, ha disposto il versamento di una somma di 500,00 euro a favore della Cassa delle Ammende. Questa seconda sanzione pecuniaria è una conseguenza diretta della natura volontaria della rinuncia, che viene ricondotta a una forma di ‘colpa’ processuale.
Le motivazioni giuridiche dell’ordinanza
La decisione dei giudici si fonda su precise norme del codice di procedura penale. In primo luogo, l’articolo 591, comma 1, lettera d), stabilisce che il ricorso è inammissibile quando vi sia stata una rinuncia. La rinuncia, se effettuata secondo le forme previste dalla legge (‘rituale’), è un atto che estingue il diritto a proseguire l’impugnazione.
Per quanto riguarda la condanna al pagamento della somma a favore della Cassa delle Ammende, la Corte ha richiamato un importante principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000. Secondo la Consulta, quando l’inammissibilità è dovuta a una causa riconducibile alla volontà, e quindi alla colpa, del ricorrente (come appunto la rinuncia), è legittima l’applicazione di una sanzione pecuniaria. La somma di 500,00 euro è stata ritenuta ‘equa e congrua’ in relazione al caso specifico.
Conclusioni: implicazioni pratiche della decisione
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale penale: la rinuncia al ricorso è un atto definitivo con conseguenze inevitabili. Chi decide di rinunciare a un’impugnazione deve essere consapevole che tale scelta comporta non solo la fine del procedimento, ma anche l’obbligo di sostenere i costi generati fino a quel momento e di pagare una sanzione aggiuntiva. Questa previsione normativa serve a responsabilizzare le parti processuali e a scoraggiare impugnazioni presentate e poi abbandonate senza una seria ponderazione, garantendo così il corretto funzionamento della macchina giudiziaria.
Cosa succede se un imputato rinuncia al ricorso in Cassazione?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che la Corte non esamina il merito della questione e il procedimento di impugnazione si conclude definitivamente.
Perché chi rinuncia al ricorso deve pagare le spese processuali e una sanzione?
Perché la rinuncia è un atto volontario che determina l’inutilità dell’attività giudiziaria svolta fino a quel momento. La legge riconduce questa scelta a una ‘colpa’ del ricorrente, che deve quindi farsi carico dei costi del processo e versare una somma alla Cassa delle Ammende, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
La rinuncia al ricorso deve avere una forma particolare?
Sì, il provvedimento specifica che la rinuncia è stata ‘rituale’. Questo implica che deve essere fatta secondo le forme previste dalla legge, solitamente con una dichiarazione scritta e sottoscritta dalla parte o dal suo difensore munito di procura speciale, per garantire la certezza e l’autenticità della volontà.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36701 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36701 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NETTUNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/09/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata, visti i motivi di ricorso proposti mezzo del difensore da COGNOME NOME.
Rilevato che, con atto sottoscritto dall’imputato proveniente dalla casa di reclusione in cui trovasi ristretto, COGNOME NOME ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
Ritenuto che il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. attesa l’intervenuta, rituale, rinuncia al ricorso.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: Corte Cost. n.186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 500 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso il 17 settembre 2024