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Rinuncia al ricorso: conseguenze e sanzioni pecuniarie

Una proprietaria di immobile ha impugnato un’ordinanza che negava la revoca di una demolizione. Successivamente, ha presentato una formale rinuncia al ricorso in Cassazione. La Corte, prendendo atto della rinuncia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 500 euro, in applicazione delle norme procedurali che sanzionano l’inammissibilità derivante da un atto di rinuncia.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Un Atto dalle Conseguenze Predefinite

La rinuncia al ricorso è un istituto processuale che, sebbene possa sembrare una semplice ritirata, nasconde conseguenze giuridiche ed economiche ben precise. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha ribadito come questo atto, definito “negoziale processuale abdicativo”, comporti inevitabilmente la declaratoria di inammissibilità e l’applicazione di sanzioni. Analizziamo il caso per comprendere a fondo le implicazioni di tale scelta.

Il Contesto: Un Ordine di Demolizione Impugnato

La vicenda trae origine dalla richiesta di una cittadina di revocare un ordine di demolizione relativo a un immobile di sua proprietà. La ricorrente aveva acquistato l’abitazione nel 1998, molti anni dopo la commissione dell’abuso edilizio da parte del precedente proprietario, contro cui era stata emessa la condanna e il conseguente ordine di demolizione. Nel 2015, la nuova proprietaria era riuscita a ottenere un permesso di costruire in sanatoria.

Di fronte al rigetto della sua istanza di revoca da parte del Tribunale, la donna aveva proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’ordine di demolizione fosse illegittimo perché colpiva un soggetto estraneo all’illecito. Inoltre, aveva invocato il principio di proporzionalità (art. 8 CEDU), evidenziando il grave danno che avrebbe subito con la perdita della propria casa, regolarmente acquistata e successivamente sanata.

Lo Svolgimento Processuale: Dal Ricorso alla Rinuncia

Nonostante le argomentazioni presentate, il percorso processuale ha subito una svolta decisiva. Prima che la Corte potesse esprimersi nel merito, il difensore della ricorrente ha depositato in cancelleria un formale atto di rinuncia al ricorso, sottoscritto anche dalla sua assistita. Questo atto ha cambiato radicalmente l’esito del procedimento.

La Corte di Cassazione ha qualificato la rinuncia come un atto negoziale processuale abdicativo, irrevocabile e recettizio. Ciò significa che, una volta comunicata, la rinuncia produce effetti giuridici automatici e non può essere ritirata. L’effetto principale, come stabilito dall’articolo 591 del codice di procedura penale, è la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la propria decisione sulla natura stessa della rinuncia al ricorso. Una volta formalizzata, essa preclude qualsiasi esame sul merito delle questioni sollevate. Il giudizio si arresta a una valutazione puramente procedurale: l’impugnazione non è più sostenuta dalla volontà della parte e, pertanto, non può essere decisa.

Di conseguenza, la Suprema Corte ha applicato l’articolo 616 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. La Corte ha sottolineato che la legge non fa distinzioni tra le diverse cause di inammissibilità. Che derivi da un vizio formale o da una rinuncia volontaria, il risultato non cambia: la sanzione è dovuta.

Citando una sentenza della Corte Costituzionale (n. 186/2000), i giudici hanno ribadito che la sanzione può essere evitata solo se si dimostra che il ricorso è stato proposto “senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”. Nel caso di una rinuncia volontaria, tale condizione non può ovviamente sussistere. La somma è stata quindi equitativamente fissata in 500 euro.

Conclusioni

Questa pronuncia conferma un principio fondamentale del diritto processuale: la rinuncia al ricorso non è un atto neutro, ma una decisione che chiude definitivamente la porta a un esame di merito e attiva precise conseguenze economiche. Chi intraprende un’azione legale deve essere consapevole che il ritiro dell’impugnazione comporta non solo l’accettazione della decisione precedente, ma anche l’onere delle spese del procedimento e il pagamento di una sanzione pecuniaria. La sentenza serve da monito sull’importanza di ponderare attentamente ogni passo all’interno di un contenzioso giudiziario.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso per cassazione?
In seguito alla rinuncia, il ricorso viene dichiarato inammissibile. Questa declaratoria impedisce alla Corte di esaminare le questioni di merito e comporta la condanna della parte rinunciante al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La rinuncia al ricorso è un atto reversibile?
No. La Corte di Cassazione definisce la rinuncia come un atto “irrevocabile e recettizio”. Una volta che è stato depositato e portato a conoscenza dell’autorità giudiziaria, non può essere ritirato e i suoi effetti sono automatici e definitivi.

Perché chi rinuncia al ricorso deve pagare una sanzione oltre alle spese?
Perché l’articolo 616 del codice di procedura penale prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria in tutti i casi di inammissibilità del ricorso, senza distinguere la causa specifica. La rinuncia è una delle cause che portano all’inammissibilità, e la legge non prevede esenzioni per questa circostanza, a meno che non si provi l’assenza di colpa, cosa impossibile in caso di atto volontario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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