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Rinuncia al ricorso: conseguenze e inammissibilità

Un soggetto, sottoposto a custodia cautelare in carcere per reati legati agli stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Tuttavia, prima della decisione della Corte, il suo difensore ha formalizzato una rinuncia al ricorso. La Suprema Corte ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, chiarendo che tale condanna si applica a tutte le forme di inammissibilità, inclusa la rinuncia.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Analisi di una Decisione della Cassazione

Nel complesso mondo della procedura penale, la rinuncia al ricorso rappresenta un atto formale con cui una parte decide di non proseguire un’impugnazione già presentata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito le conseguenze dirette di tale scelta, confermando non solo l’inevitabile declaratoria di inammissibilità, ma anche le implicazioni economiche a carico del rinunciante. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere la logica del legislatore nel sanzionare l’abbandono di un’iniziativa processuale.

Il Contesto Processuale del Caso

La vicenda trae origine da un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari che disponeva la misura della custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di gravi reati in materia di stupefacenti (artt. 73 e 80 D.P.R. 309/90). L’indagato si rivolgeva al Tribunale del Riesame, il quale però confermava la misura restrittiva.

Contro questa decisione, il difensore proponeva ricorso per Cassazione, articolando quattro distinti motivi:

1. Violazione di legge sull’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni.
2. Vizio di motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per uno dei capi d’imputazione.
3. Analogo vizio di motivazione per un secondo capo d’imputazione.
4. Violazione di legge riguardo alle esigenze cautelari e alla proporzionalità della misura detentiva.

Si trattava, quindi, di un ricorso strutturato che mirava a smontare l’impianto accusatorio alla base della misura cautelare.

La Rinuncia al Ricorso come Causa di Inammissibilità

L’elemento decisivo che ha determinato l’esito del procedimento è intervenuto prima che la Corte potesse esaminare nel merito i motivi proposti. Il difensore dell’indagato, munito di procura speciale, ha depositato un atto di rinuncia al ricorso. Questo atto unilaterale ha radicalmente cambiato il corso del giudizio. La rinuncia, infatti, è una delle cause di inammissibilità dell’impugnazione espressamente previste dall’art. 591 del codice di procedura penale. Di fronte a tale atto, il giudice non ha altra scelta se non quella di prendere atto della volontà della parte e dichiarare il ricorso inammissibile, senza alcuna valutazione sulle ragioni che hanno portato a tale scelta o sulla fondatezza dei motivi originariamente sollevati.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della Corte sono state lineari e strettamente ancorate al dato normativo. I giudici hanno semplicemente constatato l’avvenuta presentazione di un atto formale di rinuncia da parte di un difensore legittimato a farlo tramite procura speciale. Di conseguenza, hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso. Il fulcro della decisione, tuttavia, risiede nelle conseguenze di tale declaratoria.

La Corte ha applicato l’articolo 616 del codice di procedura penale, che disciplina la condanna alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria in caso di rigetto o inammissibilità del ricorso. Il punto chiave sottolineato nella sentenza è che la norma non opera distinzioni tra le diverse cause di inammissibilità. Che essa derivi da un vizio originario dell’atto (es. presentazione fuori termine) o da un atto successivo come la rinuncia, la conseguenza non cambia.

Le Conclusioni

La conclusione della Suprema Corte è netta: la rinuncia al ricorso comporta non solo la chiusura del procedimento, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, quantificata in questo caso in cinquecento euro. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’attivazione del sistema giudiziario, in particolare del giudizio di legittimità, ha un costo per la collettività. Anche quando la parte decide di fare un passo indietro, l’ordinamento prevede una sanzione per aver comunque avviato un procedimento che viene poi abbandonato. Questa decisione serve da monito sulla serietà e ponderazione necessarie prima di intraprendere un’azione legale, ricordando che anche la rinuncia ha delle conseguenze giuridiche ed economiche precise.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso già presentato in Cassazione?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile. Questo significa che il caso non viene esaminato nel merito e la decisione impugnata diventa definitiva.

Chi rinuncia a un ricorso deve pagare delle sanzioni?
Sì. La sentenza stabilisce che la dichiarazione di inammissibilità dovuta a rinuncia comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende.

Perché si viene condannati a una sanzione pecuniaria anche in caso di rinuncia volontaria?
La legge (art. 616 c.p.p.) non distingue tra le varie cause di inammissibilità. La condanna è prevista in tutti i casi in cui un ricorso non viene esaminato nel merito, inclusa la rinuncia, per disincentivare impugnazioni presentate senza la dovuta ponderazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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