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Rinuncia al ricorso: Cassazione su inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società contro un sequestro preventivo. La decisione si fonda sulla rinuncia al ricorso presentata dalla società stessa, motivata dalla sopravvenuta assoluzione degli imputati nel procedimento principale. Questa assoluzione ha fatto venir meno l’interesse a proseguire l’impugnazione. La Corte condanna la ricorrente solo al pagamento delle spese processuali, escludendo la sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, poiché la causa di inammissibilità non è imputabile alla società.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al Ricorso: Quando un’Assoluzione Rende Inutile l’Appello

In ambito processuale, la presentazione di un ricorso è solo l’inizio di un percorso che può subire diverse evoluzioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22571/2024) offre un chiaro esempio di come eventi esterni al giudizio di impugnazione, come un’assoluzione nel processo principale, possano influenzare drasticamente l’esito di un appello. Il caso in esame verte proprio sulla rinuncia al ricorso e sulle sue conseguenze procedurali e patrimoniali.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore energetico aveva impugnato un’ordinanza del Tribunale del Riesame. Quest’ultimo aveva confermato il rigetto di un’istanza di revoca, anche parziale, di un sequestro preventivo. Il sequestro era stato disposto su ingenti somme di denaro, considerate profitto del reato di bancarotta preferenziale.

La società, ritenendo errata la decisione, aveva presentato ricorso per cassazione, sollevando tre motivi principali:
1. Errata applicazione delle norme sull’attualità del pericolo che giustifica la misura cautelare.
2. Vizi nella valutazione del legame tra il presunto profitto del reato e le somme sequestrate.
3. Rigetto della revoca parziale per somme non riconducibili a uno degli imputati.

Tuttavia, mentre il ricorso era pendente in Cassazione, si è verificato un evento decisivo.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Rinuncia al Ricorso

Il difensore della società ricorrente, munito di procura speciale, ha depositato una dichiarazione formale di rinuncia al ricorso. La motivazione di tale atto era chiara e determinante: nel frattempo, il Giudice per l’Udienza Preliminare (G.U.P.) del tribunale competente aveva pronunciato una sentenza di assoluzione nei confronti degli imputati nel procedimento principale.

Di fronte a questa nuova circostanza, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che prendere atto della situazione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per “sopravvenuta carenza di interesse”. L’assoluzione degli imputati ha, di fatto, fatto crollare il presupposto su cui si fondava il sequestro preventivo, rendendo inutile e priva di scopo la prosecuzione del ricorso contro quella misura.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Suprema Corte si articola su due punti fondamentali, strettamente connessi tra loro: l’inammissibilità e la gestione delle spese processuali.

Il primo punto si basa sull’articolo 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale, che individua la rinuncia al ricorso come una causa specifica di inammissibilità. Poiché la società ha formalmente rinunciato, la Corte non è entrata nel merito dei motivi di impugnazione, ma si è fermata a questa constatazione procedurale. La rinuncia è stata la conseguenza logica della “sopravvenuta carenza di interesse”: con l’assoluzione degli imputati, la società non aveva più alcun interesse concreto a ottenere una decisione sul sequestro, che a quel punto era destinato a essere revocato.

Il secondo punto, di grande rilevanza pratica, riguarda le spese. L’articolo 616 del codice di procedura penale prevede che, in caso di inammissibilità, la parte privata che ha proposto l’impugnazione sia condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Tuttavia, la Corte ha applicato un principio consolidato, citando precedenti specifici (Sez. 5, n. 23636/2018 e n. 39521/2018). Quando l’inammissibilità deriva da una causa non imputabile alla parte ricorrente, quest’ultima è tenuta a pagare solo le spese processuali, ma non la sanzione aggiuntiva. In questo caso, la “causa non imputabile” è proprio l’assoluzione, un evento favorevole che ha determinato la scelta, del tutto ragionevole, di rinunciare all’impugnazione. Pertanto, la Corte ha condannato la società al solo pagamento delle spese processuali.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: l’interesse ad agire e a impugnare deve sussistere non solo al momento della proposizione del ricorso, ma per tutta la durata del giudizio. Un evento successivo, come una sentenza di assoluzione nel merito, può estinguere tale interesse, rendendo di fatto inutile la prosecuzione dell’impugnazione.

Dal punto di vista pratico, la decisione insegna che è fondamentale monitorare costantemente l’evoluzione del procedimento principale quando si hanno in corso impugnazioni su misure cautelari o altre questioni accessorie. Di fronte a un esito favorevole come l’assoluzione, la rinuncia al ricorso diventa uno strumento strategico per definire celermente la procedura di impugnazione, evitando ulteriori costi e tempi processuali. Inoltre, la sentenza chiarisce che una tale scelta, se motivata da un evento favorevole e non imputabile al ricorrente, non comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie, limitando le conseguenze economiche della declaratoria di inammissibilità.

Perché il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la società ricorrente ha presentato una formale rinuncia all’impugnazione. Questa rinuncia è stata motivata dalla sopravvenuta carenza di interesse, causata dalla sentenza di assoluzione degli imputati nel procedimento principale.

Qual è l’effetto giuridico di una rinuncia al ricorso?
Secondo l’articolo 591 del codice di procedura penale, la rinuncia al ricorso costituisce una causa di inammissibilità. Ciò significa che il giudice non esamina il merito dei motivi di impugnazione ma si limita a chiudere il procedimento con una declaratoria di inammissibilità.

Perché la società ricorrente non è stata condannata a pagare una sanzione alla Cassa delle ammende?
Nonostante la declaratoria di inammissibilità, la società non è stata condannata al pagamento della sanzione perché la causa dell’inammissibilità (la rinuncia a seguito di assoluzione) non è considerata imputabile a una sua colpa o negligenza. L’assoluzione è un evento favorevole che ha giustificato la rinuncia, pertanto la condanna è stata limitata alle sole spese processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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