LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Rinuncia al ricorso: Cassazione su inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso a seguito della formale rinuncia presentata dalla difesa. La rinuncia è stata motivata da una carenza di interesse sopravvenuta, poiché la misura cautelare oggetto del contendere era stata nel frattempo revocata. In virtù di questa circostanza, la Corte ha stabilito che non dovesse seguire la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali o di sanzioni pecuniarie.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 5 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia al ricorso: quando l’appello diventa inammissibile senza spese

La rinuncia al ricorso è un istituto fondamentale della procedura penale che può determinare la conclusione anticipata di un giudizio di impugnazione. Con la sentenza n. 9963 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulle conseguenze di tale atto, chiarendo in quali circostanze esso non comporti l’addebito delle spese processuali a carico del rinunciante. La decisione offre importanti spunti sulla valutazione della “carenza sopravvenuta di interesse” come giusta causa per l’abbandono del gravame.

I Fatti del Caso: Una Misura Cautelare Controversa

La vicenda processuale trae origine da una misura cautelare non detentiva, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, applicata a due indagati. Tale misura, secondo un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, avrebbe dovuto cessare per decorrenza dei termini massimi. Tuttavia, il Presidente del Tribunale, con un proprio provvedimento, ne aveva di fatto disposto il ripristino.

La difesa degli indagati aveva impugnato questo provvedimento dinanzi al Tribunale del riesame, il quale, però, aveva dichiarato l’appello inammissibile. Secondo il Tribunale, l’atto del Presidente non era una vera e propria ordinanza in materia di libertà personale, ma una mera nota a contenuto dichiarativo, e come tale non era suscettibile di appello ai sensi dell’art. 310 del codice di procedura penale. Avverso questa decisione, la difesa aveva quindi proposto ricorso per Cassazione.

La Rinuncia al Ricorso per Cassazione

Il colpo di scena è avvenuto prima della discussione in Cassazione. Il difensore degli imputati ha comunicato formalmente la volontà di rinunciare al ricorso. La motivazione addotta era una “carenza sopravvenuta di interesse”. In particolare, un nuovo provvedimento del giudice procedente aveva, nel frattempo, revocato la misura coercitiva non detentiva oggetto dell’intera controversia. Di conseguenza, non vi era più alcun interesse concreto a ottenere una pronuncia sull’impugnazione originaria.

L’Inammissibilità come Conseguenza della Rinuncia al Ricorso

La Corte di Cassazione, preso atto della comunicazione, ha applicato il dettato normativo. La rinuncia all’impugnazione è una dichiarazione abdicativa, irrevocabile e formale, che non ammette equipollenti. Quando viene correttamente formulata da un soggetto legittimato (in questo caso, il difensore munito di procura speciale), la legge ricollega ad essa un effetto automatico: la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d), del codice di procedura penale. Questo impedisce alla Corte di entrare nel merito dei motivi di doglianza.

le motivazioni

Il cuore della decisione della Suprema Corte risiede non tanto nella dichiarazione di inammissibilità, che è una conseguenza diretta della rinuncia, quanto nella statuizione sulle spese. Di norma, all’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Tuttavia, in questo caso, la Corte ha derogato a tale principio. La motivazione della rinuncia, ossia la “carenza di interesse sopravvenuta” a seguito della revoca della misura cautelare, è stata ritenuta una giusta causa. La Corte ha riconosciuto che la rinuncia non derivava da una valutazione di infondatezza del ricorso, ma da un evento esterno che aveva reso la decisione della Corte non più necessaria per tutelare gli interessi degli imputati.

Richiamando consolidati principi giurisprudenziali, i giudici hanno affermato che quando la rinuncia è tempestiva e trova ragione in una oggettiva carenza di interesse, non deve conseguire la condanna al pagamento delle spese né della sanzione amministrativa. La decisione è quindi improntata a un principio di equità processuale, evitando di penalizzare una parte che, responsabilmente, decide di non proseguire un giudizio divenuto ormai inutile.

le conclusioni

La sentenza n. 9963/2024 ribadisce un importante principio di procedura penale: la rinuncia al ricorso, sebbene porti all’inammissibilità dell’impugnazione, non comporta automaticamente conseguenze economiche negative per il ricorrente. Se la rinuncia è giustificata da una comprovata e sopravvenuta carenza di interesse, come la revoca del provvedimento impugnato, il giudice può escludere la condanna alle spese. Questa pronuncia tutela la parte che agisce per economia processuale, evitando di gravare su di essa costi legati a un giudizio che ha perso la sua ragion d’essere per eventi esterni al suo controllo.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
La rinuncia è un atto formale e irrevocabile che comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, impedendo alla Corte di esaminare il merito della questione.

Se si rinuncia a un ricorso per ‘carenza sopravvenuta di interesse’, si devono pagare le spese processuali?
No. La sentenza chiarisce che se la rinuncia è tempestiva e motivata da una reale carenza di interesse sopravvenuta (come la revoca del provvedimento impugnato), non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali né della sanzione alla Cassa delle ammende.

La Corte si è espressa sulla legittimità del provvedimento del Presidente del Tribunale che aveva ripristinato la misura cautelare?
No. A causa della rinuncia al ricorso, la Corte ha dichiarato l’impugnazione inammissibile e non ha potuto esaminare il merito della questione, lasciando quindi irrisolta la problematica giuridica originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati