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Rinuncia a comparire: la revoca deve essere formale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che lamentava la mancata traduzione in aula. L’imputato, detenuto, aveva precedentemente espresso una rinuncia a comparire. La Corte ha stabilito che tale rinuncia resta valida per l’intero processo, a meno che non venga espressamente e formalmente revocata dall’imputato stesso secondo le modalità previste dalla legge. La semplice comunicazione via PEC del difensore non è stata ritenuta un atto idoneo a revocare la precedente volontà dell’assistito.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinuncia a comparire: senza revoca formale, vale per tutto il processo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23167/2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di procedura penale: la rinuncia a comparire formulata da un imputato detenuto ha effetto per tutte le udienze successive, a meno che non sia espressamente revocata nelle forme previste dalla legge. Una semplice comunicazione del difensore non è sufficiente a tal fine. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imputato che, durante la fase preliminare del procedimento, trovandosi in stato di detenzione, aveva formalizzato la sua rinuncia a presenziare in aula. Successivamente, in vista di un’udienza di primo grado, il suo nuovo difensore comunicava via Posta Elettronica Certificata (PEC) al tribunale che l’assistito era nuovamente detenuto per altra causa, chiedendone la traduzione per consentirgli di partecipare al dibattimento.

Il giudice di primo grado, tuttavia, procedeva in assenza dell’imputato, ritenendo valida la precedente rinuncia. La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello, spingendo l’imputato a presentare ricorso per Cassazione, lamentando la violazione del suo diritto di difesa.

L’Analisi della Cassazione sulla validità della rinuncia a comparire

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno sottolineato come i motivi del ricorso fossero una mera riproposizione delle doglianze già esaminate e respinte nei gradi di merito, senza un’adeguata critica alla motivazione della sentenza d’appello.

Il punto centrale della decisione si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale. La rinuncia a comparire espressa da un imputato detenuto non si esaurisce nella singola udienza per cui è formulata, ma estende i suoi effetti a tutto il procedimento. Questo vale sia che l’imputato rimanga detenuto per lo stesso titolo, sia che, come nel caso di specie, intervenga un nuovo stato di detenzione per altra causa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che la rinuncia a presenziare è un atto personale dell’imputato che manifesta una sua precisa volontà processuale. Per annullare gli effetti di tale atto, è necessaria una manifestazione di volontà contraria, altrettanto chiara ed espressa: la revoca.

Secondo la giurisprudenza citata, la revoca non può essere implicita o veicolata tramite mezzi informali. La richiesta avanzata dal difensore via PEC non è stata ritenuta idonea a costituire una valida revoca della rinuncia. La legge, infatti, richiede che la volontà dell’imputato detenuto di essere nuovamente presente sia formalizzata in un atto ricevuto dal direttore del carcere, ai sensi dell’art. 123 del codice di procedura penale. Questo formalismo garantisce la certezza e l’autenticità della volontà dell’interessato. In assenza di una tale revoca formale, l’imputato è legittimamente considerato assente e rappresentato dal suo difensore, senza alcuna lesione del diritto di difesa.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un principio di estrema importanza per la difesa tecnica. Un imputato detenuto che desideri partecipare a un’udienza dopo aver precedentemente rinunciato a comparire, deve attivarsi personalmente per revocare tale rinuncia. La revoca deve essere espressa e formalizzata secondo le modalità previste dal codice, tipicamente attraverso una dichiarazione resa al direttore dell’istituto penitenziario.

Gli avvocati devono essere consapevoli che una loro comunicazione, anche se formale come una PEC, non può surrogare la volontà personale e diretta del loro assistito in questo specifico ambito. La decisione riafferma la centralità della volontà dell’imputato e la necessità di rispettare le forme processuali a garanzia di tutte le parti. La conseguenza per il ricorrente è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Un imputato detenuto che ha rinunciato a comparire in un’udienza, deve ripetere la rinuncia per le udienze successive?
No. Secondo la Corte, la rinuncia a comparire formulata dall’imputato detenuto ha effetto non solo per l’udienza per cui è stata fatta, ma anche per tutte quelle successive, fino a revoca espressa.

La comunicazione via PEC dell’avvocato è sufficiente per revocare la precedente rinuncia a comparire del suo assistito detenuto?
No. La Corte ha stabilito che la richiesta del difensore via PEC non costituisce una valida revoca. La volontà di essere nuovamente presente deve essere manifestata dall’imputato personalmente, nelle forme previste dalla legge, come una dichiarazione ricevuta dal direttore del carcere (art. 123 c.p.p.).

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e, se non si ravvisa un’assenza di colpa, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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