Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23167 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23167 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN GIOVANNI ROTONDO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/04/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME NOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge in relazione al mancato accoglimento del motivo di appello con cui si è lamentato che all’udienza del 22/4/2021, in primo grado, il processo non fu rinviato in quanto l’imputato era detenuto per altra causa. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione)
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno motivatamente confutato la doglianza già proposta in quella sede relativa al fatto che all’udienza del 22 aprile 2021, fissata per l’esame dell’imputato, il primo giudice, ignorando la PEC inviata il giorno prima dal nuovo difensore per comunicare lo stato detentivo del proprio assistito e chiederne la traduzione, abbia proceduto in assenza dell’COGNOME alla definizione del giudizio, in tal modo violando le prerogative difensive dell’imputato e determinando la nullità assoluta e insanabile della sentenza.
Come si rileva in sentenza, risulta tuttavia dai decreto di rinvio a giudizio, emesso il 5 febbraio 2020 dal G.U.P. del Tribunale di Bari all’esito dell’udienza preliminare, che in tale fase del procedimento l’imputato era detenuto ed assente per rinuncia.
Alla luce di tale ultima circostanza, la doglianza riproposta in questa sede risulta manifestamente infondata. Diversamente da quello che rileva il ricorrente non risulta che sia stato mai portato a conoscenza del giudice del merito, né documentato, che l’imputato era stato poi scarcerato
Pertanto, la sentenza impugnata opera un buon governo dell’orientamento richiamato secondo cui la rinuncia a comparire all’udienza da parte del detenuto –
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a seguito della quale l’imputato è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato dal difensore – ha effetto non soltanto per l’udienza in relazione alla quale essa è formulata, ma anche per quelle successive; e ciò tanto in caso di costante restrizione in esecuzione del medesimo titolo quanto nel caso in cui tra le due udienze intervenga una nuova forma di restrizione per altra causa (Sez. 4, n. 50444 del 10/12/2019, Stafa, Rv. 277950 – 01; Sez. 4, n. 27974 del 26/03/2014, COGNOME, Rv. 261567 – 01).
Corretto appare anche il rilievo che non può fondatamente sostenersi che la richiesta avanzata tramite EMAIL dal difensore abbia comportato la revoca della rinuncia a suo tempo comunicata dall’imputato, in quanto per condivisibile giurisprudenza di legittimità gli effetti della rinuncia a comparire in udienza, resa palese dall’imputato detenuto, permangono fino al momento della revoca espressa ditale rinuncia, ossia fino a quando l’interessato non manifesti, nelle forme e termini di legge, la sua volontà di essere nuovamente presente e di mettere nel nulla il precedente consenso alla celebrazione del dibattimento in sua assenza; sicché è onere dell’imputato detenuto concorrere alla chiarezza delle modalità di espressione delle proprie dichiarazioni, facendo sì che esse si formalizzino in un atto ricevuto dal direttore del carcere ai sensi dell’art. 123 cod. proc. pen. senza che tale atto possa essere surrogato da equipollenti (Sez. 6, n. 914, del 11/12/2014, dep. 2015, Pascarella, Rv. 262056 – 01). E, dunque, che nessuna lesione del diritto di difesa dell’imputato è stata dunque posta in essere nel corso del presente procedimento.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024