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Rinnovazione prova dichiarativa: obbligo in appello

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per ricettazione emessa in appello in riforma di una precedente assoluzione. Il motivo è la mancata rinnovazione della prova dichiarativa, ovvero il riesame dell’imputato. La Suprema Corte ha ribadito che, se un giudice d’appello vuole condannare un imputato assolto in primo grado basandosi su una diversa valutazione delle sue dichiarazioni, ha l’obbligo di sentirlo nuovamente, come previsto dall’art. 603, comma 3-bis del codice di procedura penale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rinnovazione prova dichiarativa: perché è obbligatoria per condannare in appello

La rinnovazione prova dichiarativa è un principio cardine del nostro ordinamento processuale penale, a garanzia del giusto processo e del diritto di difesa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza questo principio, annullando una condanna d’appello perché i giudici di secondo grado avevano ribaltato un’assoluzione senza prima riesaminare l’imputato. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

In primo grado, un uomo era stato assolto dall’accusa di ricettazione di un motociclo e di una macchina agricola. Il Tribunale aveva ritenuto credibile la sua versione dei fatti: egli sosteneva di aver acquistato i beni da un conoscente, pagandoli a rate, e di aver scoperto la loro provenienza illecita solo al momento di un controllo da parte delle forze dell’ordine. La sua versione era stata considerata ‘non inverosimile’ e, pertanto, era stata pronunciata una sentenza di assoluzione con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’.

L’Appello e la Riforma della Sentenza

Il Pubblico Ministero, non condividendo la valutazione del Tribunale, aveva impugnato la sentenza di assoluzione. La Corte d’appello, accogliendo il ricorso, aveva completamente ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado avevano proceduto a una nuova e diversa valutazione delle dichiarazioni rese dall’imputato durante il primo processo, definendo la sua versione ‘del tutto generica’ e ‘oltremodo inverosimile’. Sulla base di questa differente interpretazione, la Corte d’appello aveva condannato l’uomo a due anni e due mesi di reclusione e 800 euro di multa per i reati di ricettazione.

Il Principio sulla rinnovazione prova dichiarativa e il Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione di una norma fondamentale del codice di procedura penale: l’articolo 603, comma 3-bis. Questa disposizione stabilisce un obbligo preciso per il giudice d’appello: nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione, se la decisione si basa sulla valutazione di una prova dichiarativa, il giudice deve disporre la rinnovazione prova dichiarativa. In parole semplici, se la Corte d’Appello intende basare la sua decisione su una diversa valutazione della credibilità di un testimone o, come in questo caso, delle dichiarazioni dell’imputato, deve prima sentirlo di persona.

le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendo in pieno la tesi difensiva. Gli Ermellini hanno chiarito che il sintagma ‘prove dichiarative’ si riferisce a tutte le prove che provengono da un dichiarante, senza alcuna distinzione. Ciò include, quindi, anche le dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del proprio esame. La Corte d’appello di Reggio Calabria, nel rivalutare l’attendibilità delle dichiarazioni dell’imputato ritenendole non credibili (a differenza del giudice di primo grado), avrebbe dovuto obbligatoriamente procedere a un nuovo esame dello stesso. Non avendolo fatto, ha violato la legge. La decisione si fonda sulla necessità di garantire il principio dell’oralità e dell’immediatezza: il giudice che condanna deve aver assistito direttamente alla formazione della prova dichiarativa su cui basa il suo convincimento di colpevolezza.

le conclusioni

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna e ha disposto il rinvio a un’altra sezione della Corte d’appello per un nuovo giudizio. In questo nuovo processo, i giudici dovranno, prima di ogni altra valutazione, procedere alla rinnovazione dell’esame dell’imputato. Questa sentenza riafferma un’importante garanzia per l’imputato: una condanna in appello, che ribalta un’assoluzione, non può fondarsi su una ‘lettura’ diversa delle carte processuali, ma richiede un contatto diretto e orale con la fonte di prova dichiarativa, specialmente quando si tratta della versione dei fatti fornita dall’imputato stesso.

Quando un giudice d’appello è obbligato a rinnovare l’esame dell’imputato?
Quando il pubblico ministero appella una sentenza di assoluzione per motivi legati alla valutazione della prova dichiarativa, e il giudice d’appello intende ribaltare tale assoluzione basandosi su un diverso apprezzamento delle dichiarazioni rese dall’imputato, è obbligato a disporre un nuovo esame di quest’ultimo.

L’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa vale anche per le dichiarazioni dell’imputato?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’espressione ‘prove dichiarative’, contenuta nell’art. 603, comma 3-bis c.p.p., si riferisce a tutte le prove provenienti da un dichiarante, comprese le dichiarazioni che l’imputato rende nel corso del proprio esame.

Cosa accade se la Corte d’Appello condanna un imputato senza procedere alla rinnovazione dell’esame quando era obbligatoria?
La sentenza di condanna è viziata da una violazione di legge. Di conseguenza, deve essere annullata dalla Corte di Cassazione con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello, la quale dovrà celebrare un nuovo giudizio rispettando l’obbligo di rinnovare l’esame prima di decidere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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