Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10878 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10878 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PRATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento del secondo motivo di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, ha condannato NOME COGNOME alla pena di giustizia per il delitto di furto in abitazione, commesso in Campi Bisenzio il 23 ottobre 2019, all’interno dello spogliatoio di una fabbrica.
All’esito del primo giudizio, il Tribunale fiorentino aveva assolto l’imputato non ritenendo superato il dubbio circa il ritrovamento casuale del portafoglio della vittima da parte dell’imputato, che tale tesi aveva sostenuto.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cui all’art. comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, e segnatamente dell’art. 581 cod. proc. pen. e denuncia l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero per genericità dei motivi, che non avrebbero argomentato un giudizio critico su punti specificamente dedotti, limitandosi ad una mera prospettazione alternativa dei fatti.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, e segnatamente dell’art. 603, comma 3 -bis cod. proc. pen.: la Corte di appello è giunta all’affermazione di responsabilità dell’imputato senza rinnovare l’assunzione delle prove dichiarative decisive, quelle cioè su cui si è fondata la ricostruzione del fatto. Richiama i principi contenuti nella sentenza COGNOME delle Sezioni Unite.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del furto in abitazione, in assenza di una spiegazione chiara e logica circa il luogo preciso in cui il furto è avvenuto e circa, in particolare, le caratteristiche di riservatezza che consentirebbero anche a tale luogo, inserito nell’ambito di un ambiente di lavoro, di essere considerato alla stregua di “privata dimora”.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo e previa declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
L’impugnazione è inammissibile quando non sono osservate le disposizioni dell’art. 581 cod. proc. pen.: in tal senso si esprime chiaramente l’art. 591, comma 1 lett. c) cod. proc. pen.
L’art. 581, comma 1, a sua volta, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017 n. 103 (cioè, prima del 3 agosto 2017: cfr. art. 1, comma 95, della medesima legge n. 103/2017), prevedeva nella lettera c) che l’impugnazione dovesse contenere l’enunciazione «dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta».
Sull’interpretazione di tale testo è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite Galtelli (n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017) che, risolvendo un contrasto relativo all’applicabilità della sanzione di inammissibilità per “genericità estrinseca” anche all’appello, ha precisato che i motivi di impugnazione in genere (e dunque anche di appello) sono affetti da “genericità estrinseca” quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. Sono invece affetti “genericità intrinseca” quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile (in tal caso, però, non vi era dubbio sulla possibilità di dichiararne l’inammissibilità, anche prima della citata sentenza).
La ricordata legge n. 103/2017 ha modificato il testo dell’articolo 581, introducendo nella lettera b) un requisito prima non previsto (l’indicazione, cioè, «delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione») e precisando che ciascuno dei requisiti indicati nella norma doveva essere oggetto di «enunciazione specifica». Il testo della lettera c) è stato spostato nella lettera d).
La recente novella introdotta con d.lgs. 150/2022 ha ulteriormente recepito l’esigenza di specificità, introducendo un nuovo comma 1-bis nel testo dell’art. 581, con espresso riferimento all’atto di appello. La nuova norma recita: «L’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione».
L’esigenza di specificità estrinseca è stata dunque recepita in una norma di legge, che però non ha fatto altro che sancire quanto già risultava dalla citata evoluzione giurisprudenziale.
Quando il ricorrente censura che, a suo dire, il pubblico ministero appellante si sarebbe limitato a contrapporre alla ricostruzione del primo giudice una «prospettazione meramente alternativa dei fatti» sta in realtà rivolgendo la sua critica al merito dell’appello, cioè alla fondatezza o meno delle argomentazioni spese dal pubblico ministero, e ne sta implicitamente attestando l’ammissibilità.
Come è evincibile chiaramente dall’atto e anche dallo stesso resoconto fedele del suo contenuto, rinvenibile nella sentenza impugnata, il pubblico ministero si è confrontato con il punto della decisione inerente il dubbio sulla responsabilità dell’imputato e vi ha opposto le proprie argomentazioni contrarie. Che esse fossero fondate o meno era questione da risolvere nel giudizio di appello, ma certo non si può dire che l’atto di gravame fosse inammissibile per genericità (estrinseca).
2. È invece fondato il secondo motivo di ricorso, il cui accoglimento comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Risulta chiaramente che il Tribunale, nel corso del dibattimento, abbia sentito la persona offesa NOME COGNOME, che ha descritto i luoghi e di seguito il ritrovamento del borsellino, nonché il maresciallo COGNOME che ha riferito le attività svolte ed il ritrovamento dell’imputato sul posto; nonché ulteriori due testi (NOME COGNOME e NOME), i quali pure hanno descritto il ritrovamento del borsello rubato e dell’imputato, da loro riconosciuto.
A fronte di ciò, il Tribunale ha ritenuto di non poter superare il dubbio indotto dalle dichiarazioni dell’imputato, che ha affermato di essersi recato sul posto per cercare un lavoro e di essersi imbattuto nel borsello, poi gettato, per paura, alla vista del cittadino cinese.
La Corte di appello, nell’accogliere l’impugnazione del pubblico ministero, ha superato il dubbio, dando per assodata la ricostruzione fattuale emergente dalle prove dichiarative rese nel primo giudizio e non riassunte in secondo grado; prove che sono state in talune parti oggetto di espresso richiamo (come laddove, a pagina 9, la Corte cita taluni passaggi della verbalizzazione della testimonianza resa in primo grado dalla persona offesa).
È dunque evidente che la ricostruzione del fatto che la Corte ha qualificato come furto deriva inevitabilmente dalle dichiarazioni dei citati testi, che la Corte però non ha riassunto, in violazione della regola di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Come è noto, sul punto l’elaborazione interna ha subito una forte spinta in avanti per l’interazione e le ricadute della giurisprudenza delle Corti europee, ed in particolare della Corte EDU, di seguito soprattutto alla decisione Dan c. Moldavia del 05/11/2011 (che in realtà è stata preceduta da altre pronunce, a partire dal caso COGNOME c. Belgio del 07/07/1989, e poi, tra le tante, COGNOME c. Romania del 27/06/2000; NOME COGNOME c. Islanda del 15/07/2003; COGNOME c. Francia del 18/05/2004; Garda Ruiz c. Spagna del 21/01/2006), secondo cui l’affermazione nel giudizio di appello della responsabilità dell’imputato prosciolto in primo grado sulla base di prove dichiarative è consentita solo previa nuova assunzione diretta dei testimoni nel giudizio di impugnazione, a pena di
violazione dell’art. 6 CEDU e in particolare del comma 3, lett. d), che assicura il diritto dell’imputato di «esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico» (cfr. pure le sentenze COGNOME c. Romania del 05/03/2013; COGNOME c. Romania del 09/04/2013; COGNOME c. Moldavia del 28/02/2017; COGNOME c. Italia del 29/06/2017). Nella scia di tale giurisprudenza, e soprattutto della citata sentenza Dan c. Moldavia, le Sezioni Unite hanno stabilito che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 267487). La sentenza di condanna emessa in violazione di tale obbligo di rinnovazione è affetta da vizio di motivazione per violazione del canone di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 267492; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269785), ciò perché la presunzione di innocenza costituzionalmente tutelata impone, al fine di giungere alla riforma in senso di condanna, la scelta del metodo di acquisizione probatoria epistemologicamente più affidabile per l’apprezzamento della prova dichiarativa, e cioè quello che si basa sui principi di oralità e immediatezza.
Costituiscono prove orali decisive quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna (Sez. U, n. 27620/2016, cit., Rv. 267491).
Dunque, appare chiaro dalla stessa lettura della sentenza impugnata, che pure ad alcune dichiarazioni fa espresso riferimento, come la ricostruzione dei fatti passi necessariamente attraverso le dichiarazioni dei testi che hanno assistito alle fasi immediatamente precedenti e successive al prelievo del portafogli, e che, rispetto a tali dichiarazioni tutt’altro che indifferenti rispetto alla decisione, l’imputato abbi diritto di confrontarsi con la fonte.
Né a mutare la prospettiva, nel senso dell’esclusione della necessità di rinnovazione, basta la considerazione che sembra fare la Corte fiorentina, laddove dà per “assodato” il fatto, evidentemente ritenendo fuori discussione profili di
attendibilità dei dichiaranti. Infatti, «ai fini della rinnovazione dell’istruttori appello ex art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa devono intendersi non solo quelli concernenti l’attendibilità dei dichiaranti, ma, altresì, tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, posto che il loro contenuto – salvo non attenga ad un oggetto del tutto definito o ad un dato storico semplice e non opinabile – è frutto della percezione soggettiva del dichiarante, onde il giudice del merito è inevitabilmente chiamato a “depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, in modo da pervenire ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”» (Sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020, NOME, Rv. 279146; conf. Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 279425 e Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019, 0., Rv. 276987)
Le prove dichiarative costituite dalle testimonianze della persona offesa e di chi era informato sui fatti sono dunque “decisive” nel senso sopra precisato.
Pertanto, si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, affinché il giudice del rinvio proceda alla necessaria rinnovazione istruttoria ed al conseguente giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Così deciso il 21/02/2024