Rimessione nei termini: da quando decorre la conoscenza effettiva del provvedimento?
L’istituto della rimessione nei termini rappresenta un’ancora di salvezza nel processo penale, consentendo di porre rimedio a decadenze incolpevoli. Tuttavia, il suo corretto utilizzo dipende da un presupposto fondamentale: stabilire il momento esatto in cui il termine per agire inizia a decorrere. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale, chiarendo che la decorrenza del termine per la richiesta è legata alla conoscenza effettiva del provvedimento, e non alla sua successiva comprensione mediate un avvocato, anche nel caso di cittadini stranieri.
Il caso: la richiesta di un cittadino straniero
Un cittadino di nazionalità rumena si era visto notificare un provvedimento di revoca di un decreto di sospensione della pena. Decorsi i termini per l’impugnazione, presentava un’istanza di rimessione nei termini, sostenendo che, in quanto straniero, aveva potuto comprendere appieno il contenuto e le conseguenze dell’atto solo dopo che il suo legale di fiducia ne aveva ottenuto una copia e glielo aveva illustrato. Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, dichiarava l’istanza inammissibile per tardività, ritenendo che il ricorrente avesse avuto piena conoscenza del provvedimento già dal momento della notifica, avvenuta in data 10 febbraio 2024.
Contro questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge, proprio in relazione al concetto di ‘conoscenza’ per un soggetto straniero.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione del giudice dell’esecuzione, ribadendo un orientamento giurisprudenziale consolidato. Secondo la Suprema Corte, le doglianze del ricorrente erano manifestamente infondate, in quanto si limitavano a non condividere un principio di diritto correttamente applicato.
Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità del ricorso.
Le motivazioni: conoscenza effettiva e decorrenza dei termini per la rimessione nei termini
Il cuore della motivazione risiede nella definizione di “effettiva conoscenza” del provvedimento. La Corte richiama un precedente (Sez. 1, n. 27141 del 2024), secondo cui il termine per presentare la richiesta di restituzione nel termine decorre dal giorno in cui si ha una “sicura consapevolezza dell’esistenza” del decreto e una “precisa cognizione dei suoi estremi”.
Questo momento, chiarisce la Corte, può essere collegato a due eventi specifici:
1. La comunicazione di un atto formale (come la notifica).
2. Lo svolgimento di un’attività procedimentale che dimostri in modo inequivocabile che la conoscenza si è verificata.
Nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione ha correttamente individuato il momento dell’effettiva conoscenza con la data della notifica della decisione di revoca. A partire da quella data, il ricorrente aveva tutti gli elementi per attivarsi e proporre impugnazione. L’argomentazione basata sulla nazionalità e sulla necessità di una traduzione o spiegazione da parte di un legale è stata ritenuta irrilevante ai fini del calcolo dei termini processuali. La notifica formale è, di per sé, l’atto che garantisce la conoscibilità legale del provvedimento.
Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza consolida un principio fondamentale in materia di termini processuali e diritti della difesa. La decisione sottolinea che la certezza del diritto e la perentorietà dei termini non possono essere subordinate a fattori soggettivi come la comprensione linguistica individuale. La notifica di un atto giudiziario è il momento che fissa la presunzione di conoscenza legale, da cui scaturiscono oneri e facoltà per l’interessato. Per chi riceve un atto, soprattutto se straniero, è quindi essenziale attivarsi immediatamente per comprenderne il significato, rivolgendosi a un legale senza attendere, poiché il tempo per difendersi inizia a scorrere inesorabilmente dal momento della consegna formale del documento.
Da quale momento esatto inizia a decorrere il termine per chiedere la rimessione nei termini?
Il termine decorre dal giorno dell’effettiva conoscenza del provvedimento, che per la Corte coincide con il momento della notifica formale dello stesso, non con la successiva comprensione del suo contenuto tramite un legale.
Il fatto di essere un cittadino straniero e non comprendere la lingua italiana giustifica una decorrenza posticipata dei termini per impugnare?
No, secondo questa ordinanza. La Corte ha ritenuto che la conoscenza effettiva si realizza con la ricezione della notifica, indipendentemente dalla nazionalità del destinatario e dalla sua comprensione della lingua.
Cosa si intende per “effettiva conoscenza” di un provvedimento giudiziario ai fini della rimessione nei termini?
Per “effettiva conoscenza” si intende la sicura consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e la precisa cognizione dei suoi elementi essenziali, che si presume avvenga con la comunicazione di un atto formale (come la notifica) o con lo svolgimento di un’attività processuale che ne dimostri la conoscenza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9783 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9783 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in ROMANIA il 11/11/1956 avverso l’ordinanza del 14/11/2024 del TRIBUNALE di Velletri
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il giudice dell’esecuzione – decidendo ai sensi dell’art. 666 comma 2 cod. proc. pen. – ha dichiarato inammissibile per tardività l’istanza d rimessione nei termini per proporre impugnazione, presentata da NOME COGNOME avendo quei avuto contezza del provvedimento non impugnato sin dal 10/02/2024, momento della ricezione della notifica del provvedimento di revoca di decreto di sospensione, emesso dalla Procura di Velletri il 25/02/2020.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME con atto a firma dell’avv. NOME COGNOME deducendo violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., derivante da errata applicazione della norma di cui all’art. 175 comma 2-bis cod. proc. pen., per non essersi considerato trattarsi di soggetto straniero, in grado di venire a conoscenza del contenuto delle accuse a suo carico solo con l’acquisizione – ad opera di legale di fiducia – di copia della sentenza a suo carico.
Le doglianze difensive sono manifestamente infondate, dovendo trovare applicazione il principio di diritto fissato da Sez. 1, n. 27141 del 30/05/2024, COGNOME, Rv. 286608 – 01, a men della quale: «In tema di restituzione nel termine per proporre opposizione a decreto penale di condanna, il termine di trenta giorni per la presentazione della richiesta decorre dal giorn dell’effettiva conoscenza del decreto, che presuppone la sicura consapevolezza della sua esistenza e la precisa cognizione dei suoi estremi, collegata o alla comunicazione di un atto formale o allo svolgimento di un’attività procedimentale che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si sia verificata». Nel caso di specie, correttamente il giudice dell’esecuzione ha fatto coincidere il momento della effettiva conoscenza dell’esistenza del provvedimento, nonché della precisa cognizione degli estremi dello stesso, con il momento della notifica della decisione di revoca del decreto di sospensione. Il ricorso, invece, si limi non condividere il principio di diritto correttamente applicato dal Tribunale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 febbraio 2025.