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Rimessione in termine: quando il ricorso è tardivo

Un individuo, condannato per furto, ha richiesto la rimessione in termine per appellare la sentenza, sostenendo che il suo precedente avvocato non avesse agito. La Corte di Cassazione ha confermato l’inammissibilità della richiesta, evidenziando che l’imputato era a conoscenza della condanna da quasi tre anni, rendendo la sua istanza irrimediabilmente tardiva e priva dei presupposti di legge.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rimessione in Termine: Non Basta Incolpare l’Avvocato se si Attende Troppo

L’istituto della rimessione in termine rappresenta un’ancora di salvezza nel processo penale, consentendo all’imputato di impugnare una sentenza anche dopo la scadenza dei termini. Tuttavia, questa possibilità non è incondizionata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che la conoscenza della condanna fa scattare un onere di diligenza: attendere anni prima di agire rende l’istanza inammissibile, anche se il precedente difensore è stato negligente.

I fatti del caso: la condanna e la richiesta tardiva

Un uomo veniva condannato per furto da un Tribunale di primo grado. Anni dopo, presentava un’istanza di rimessione in termine per proporre appello. A sostegno della sua richiesta, deduceva di aver appreso tardivamente della sentenza e che il suo difensore, pur avendo ricevuto mandato, non aveva mai presentato l’atto di impugnazione. L’imputato aveva anche sporto querela nei confronti del legale per tale omissione.

Tuttavia, la documentazione prodotta dallo stesso ricorrente dimostrava un fatto cruciale: egli era venuto a conoscenza della sentenza di condanna quasi tre anni prima di presentare l’istanza. La Corte d’Appello, investita della questione, aveva dichiarato l’istanza inammissibile proprio a causa di questa eccessiva tardività.

La decisione della Corte d’Appello e il ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta sottolineando come la conoscenza del provvedimento da impugnare, avvenuta in una data certa (20 giugno 2020), rendesse la successiva istanza, presentata circa tre anni dopo, del tutto intempestiva. Secondo i giudici di secondo grado, la consapevolezza della condanna non poteva essere scissa dalla necessità di attivarsi per tutelare i propri diritti.

L’imputato ricorreva quindi per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Sosteneva che la sola conoscenza della sentenza non implicasse la consapevolezza che questa non sarebbe stata impugnata dal suo avvocato. Evidenziava inoltre che ai suoi coimputati era stata concessa la rimessione in termine, creando una presunta disparità di trattamento.

Le motivazioni della Cassazione: la tardività preclude la rimessione in termine

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni dei giudici di legittimità sono state chiare e rigorose. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico, in quanto non si confrontava specificamente con le argomentazioni della Corte territoriale, limitandosi a riproporre le medesime doglianze.

Nel merito, la Cassazione ha evidenziato la contraddizione dell’imputato: lo stesso ricorrente ammetteva, nel suo atto, l’assenza delle condizioni previste dalla legge per la rimessione in termine. Ma il punto decisivo è stato un altro: l’imputato non solo era a conoscenza della condanna, ma aveva avuto contatti con il suo difensore d’ufficio e aveva successivamente nominato un altro legale proprio allo scopo di presentare l’impugnazione. Questo comportamento dimostra una piena consapevolezza della situazione e dell’urgenza di agire.

L’attesa di quasi tre anni dalla conoscenza del provvedimento è stata considerata un lasso di tempo ingiustificabile, che ha vanificato ogni possibilità di ottenere il beneficio. La Corte ha ribadito che la richiesta di rimessione in termine deve essere presentata senza ritardo una volta venuta meno la causa di forza maggiore o appresa la notizia dell’atto da compiere.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la giustizia tutela chi agisce con diligenza. La rimessione in termine è uno strumento eccezionale, non una sanatoria per l’inerzia prolungata. La conoscenza di una sentenza di condanna attiva un onere per l’imputato di informarsi e attivarsi per l’impugnazione. Non è possibile rimanere passivi per anni e poi invocare la negligenza del proprio difensore come unica causa del pregiudizio subito. La decisione insegna che, una volta appresa la notizia di una condanna, è imperativo agire tempestivamente per non precludersi definitivamente la possibilità di far valere le proprie ragioni in un successivo grado di giudizio.

Quando si può chiedere la rimessione in termine per impugnare una sentenza?
La si può chiedere quando si dimostra di non aver potuto rispettare la scadenza per caso fortuito o forza maggiore, ma l’istanza deve essere presentata senza ritardo dal momento in cui si viene a conoscenza dell’atto da compiere o cessa la causa ostativa.

La conoscenza di una sentenza di condanna è sufficiente per far decorrere i termini per l’impugnazione?
Sì, la conoscenza del provvedimento fa sorgere nell’imputato l’onere di attivarsi per impugnarlo. La sentenza chiarisce che un ritardo di quasi tre anni nel presentare l’istanza di rimessione in termine, a fronte di una conoscenza certa della condanna, rende la richiesta inammissibile.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base alla decisione, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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