Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 42478 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 42478 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/10/2024
SENTENZA
vista la richiesta di rimessione proposta da:
C.D. COGNOME nata a Bari il 07/12/1976
avverso l’ordinanza del 29/05/2022 del Tribunale di Bari
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t, •
e.
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta nella quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso GLYPH FUNZKYNAP.P 1) IL
lAulici udito il difensore avvocato COGNOME COGNOME in difesa di GLYPH C.D. GLYPH , che si e riportato alla memoria depositata e insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e di rimessione del processo.
RITENUTO IN FATTO
Con due ricorsi, depositati rispettivamente il 3 luglio e 6 agosto 2024, C.D. , ai sensi degli artt. 45 e 46 cod. proc. pen., ha proposto personalmente richiesta di rimessione con riferimento al processo pendente a suo carico presso il Tribunale di Bari, avente ad oggetto due delitti di cui agli artt. 110 600-ter, comma primo, n. 1, cod. pen. commessi a Bari, in epoca anteriore e prossima al 24 agosto 2021.
1.1 A sostegno della richiesta, l’imputata assume che lo svolgimento del processo è turbato da gravi e non eliminabili situazioni locali per essere stata
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va vittima, nel 2021 e tuttora, nella citta di Bari del fenomeno c.d di “revenge porn”, ossia di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, «con una diffusione virale e una portata lesiva di proporzioni abnormi ed esasperate, in quanto coinvolti anche soggetti minorenni (ultraquattordicenni) in attività di sesso di gruppo, creando scalpore e pettegolezzi in grado di turbare profondamente nell’animo i cittadini di Bari, i rappresentanti delle istituzioni e la serenità d stessi magistrati degli uffici giudiziari baresi»; aggiunge di essere stata vittima di una feroce gogna mediatica locale messa in atto da un giornalista barese, «che ha determinato un gravissimo turbamento in tutta la città di Bari e sull’intero ufficio giudiziario del Tribunale di Bari, compresa la polizia giudiziaria che ha poi svolto le indagini con l’unico scopo di incastrare la sottoscritta, determinando una grave situazione locale assolutamente abnorme, nel quale la sottoscritta è diventata oggetto di pregiudizio di forte impatto sociale, che ha avuto la capacità di condizionare emotivamente le valutazioni e i comportamenti dell’autorità giudiziaria (PM e giudici) nei confronti della sottoscritta…»; afferma che l’inoltro da parte di alcuni genitori dei ragazzi mediante l’applicativo WhatsApp dei video e la successiva diffusione degli stessi da parte del giornalista, con articoli scandalistici pubblicati su giornali onlíne sono stati all’origine di aggressioni verbali pubbliche ai danni dell’imputata e sono state poi utilizzate dai magistrati per l’emissione del provvedimento cautelare degli arresti domiciliari e per il successivo decreto di giudizio immediato cautelare, nonostante quei video, proprio in ragione del continuo inoltro, fossero stati irrimediabilmente alterati, tanto da divenire dei falsi, e la polizia giudiziaria non avesse proceduto al sequestro del cellulare detenuto da una delle madri, sentita a sommarie informazioni, nonostante la delega in tal senso da parte della Procura; deduce inoltre l’illegittimità dell’ispezione e delle successive operazioni compiute sui propri dispositivi informatici dalla polizia giudiziaria. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A corredo delle istanze e nel rappresentare che in data 23 luglio 2024, nonostante la presentazione della prima istanza, di cui il giudice veniva notizialto in quella stessa udienza dalla cancelleria e dal difensore, e senza alcuna previa sospensione (avendo il giudice procedente rilevato che alcuna notifica e,to comunicazione gli era pervenuta da parte di questa Corte), il processo di primo grado è andato avanti e si è concluso con la lettura del dispositivo di condanna alla pena di anni sette e mesi tre di reclusione, la parte ha allegato «le denunce, esposti, istanze presente in questo processo che permettono di capire la situazione di totale anomali dovuta a mancanza di imparzialità dei giudici» ed ha quindi chiesto di rimettere il giudizio ad altro ufficio giudiziario, in ossequio al dispos degli artt. 11 cod. proc. pen. e 1 disp. att. cod. proc. pen., nonché di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado emessa nonostante fosse stata già presentata
istanza di rimessione del processo, formulando, contestualmente, richiesta di sospensione del processo, con conseguente sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare.
2 Con requisitoria scritta, alla quale si è riportato, il Pubblico Ministero, i persona del Sost. Procuratore generale, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Ha depositato memoria l’avv.to NOME COGNOME difensore di RAGIONE_SOCIALE
, con la quale ha illustrato i motivi di legittimo sospetto per le condotte violente subite dalla parte; per l’aggressiva campagna stampa locale; per gli atti ritenuti illegittimi e le omissioni compute nel procedimento penale, che hanno fondato la richiesta di ricusazione dei giudici e di denuncia degli stessi, insistendo nell’accoglimento dell’istanza di rimessione.
Ha presentato conclusioni scritte l’avvocato NOME COGNOME difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALESRAGIONE_SOCIALE> chiedendo l’inammissibilità della richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
In via preliminare occorre dare atto che la richiesta pervenuta in data 6 agosto 2024 è stata trasmessa in unione agli atti del presente procedimento, instaurato a seguito della presentazione di analoga richiesta del 3 luglio 2024, essendo entrambe relative al medesimo processo penale di cui si chiede la rimessione ex art. 46 cod. proc. pen.
Ancora, e sempre in via preliminare, si osserva, che la parte che presenta istanza di rimessione del processo ha l’onere, ai sensi dell’art. 46, comma 1, cod. proc. pen. di notificare, entro sette giorni dal suo deposito in cancelleria, l richiesta alle altre parti e tale onere, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, non viene meno per il semplice fatto che il giudice, cui l’istanza sia stata presentata, abbia irritualmente provveduto su di essa; la parte che intenda insistere nella richiesta deve comunque provvedere a tale incombenza (Sez. U, n. 6925 del 12/05/1995 – dep. 16/06/1995, COGNOME, Rv. 201300; in senso conforme Sez. 2, n. 45333 del 28/10/2015 – dep. 13/11/2015, COGNOME, Rv. 264960-01 e, più di recente, Sez. 3, n. 31235 del 13/06/2019, COGNOME).
In particolare, come di recente affermato da Sez. 2, n. 31553 del 26/06/2019, COGNOME Rv. 276580-01 la notifica alle altre parti della richiesta di rimessione del processo costituisce una condizione indefettibile di ammissibildtà della stessa, che non consente equipollenti, sicché, in mancanza di essa, l’istanza deve dichiararsi inammissibile, ancorché depositata in udienza.
3.1 Nel caso in esame, la parte ha depositato in udienza e quindi in cancelleria il 3 luglio 2024 la prima istanza e il 6 agosto 2024 in cancelleria la seconda istanza: dalla documentazione trasmessa in allegato dalla parte interessata, presente comunque agli atti, risulta che tanto la prima richiesta del 3 luglio 2024, quanto quella del 6 agosto 2024 sono state notificate nei termini alle altre parti, con ciò assolvendosi all’onere previsto a pena di inammissibilità che incombe sulla parte richiedente.
Nel merito la richiesta è manifestamente infondata.
4.1. Occorre in primo luogo sottolineare che l’istituto della rimessione ha carattere eccezionale, in quanto implica una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la necessità di un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la “translatio iudicii”, sicchè, come costantemente affermato da questa Corte, con argomentazioni condivisibili, la “grave situazione locale” di cui all’art. 45 cod. proc. pen. va interpretata non già come situazione endoprocessuale, ma come fenomeno esterno, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da una tale e manifesta abnormità da costituire fonte di reale rischio di parzialità dell’uffici giudiziario procedente (inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) ovvero di reale lesione, o pericolo di lesione, della libera determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo: solo in presenza di una grave situazione locale quale quella descritta e solo come conseguenza di essa, possono configurarsi i motivi di legittimo sospetto (cfr Sez. 3, n. 24050 del 18/12/2017, dep. 2018, Rv. 273116, Sez. 2, n. 55328 del 23/12/2016, Rv. 268531 e Sez. 3, n. 23962 del 12/05/2015, Rv. 263952-01; Sez. 6, n. 11499 del 21/10/2013, dep 2014, Guerra, Rv. 260888-01; Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, Berlusconi, Rv. 223638-01) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2 In applicazione dei principi di diritto indicati, non vi sono margini pe l’accoglimento dell’istanza, dovendosi escludere che nel caso di specie sia ravvisabile una “grave situazione locale” che legittimi lo spostamento del processo.
4.3 Quanto al comportamento assunto dal giornalista – nominativamente indicato nelle richieste – che avrebbe contribuito alla diffusione virale dei video, con una serie di articoli scandalistici pubblicati su giornali online, va rilevato che, secondo il costante orientamento di questa Corte ripetuti articoli giornalistici, e persino una vera e propria campagna di stampa, pur continua ed animosa, non assumono di per sé rilievo ai fini della “translatio iudicii”, in mancanza di elementi concreti che rivelino una coeva potenziale menomazione dell’imparzialità dei giudici locali. (Sez. 6, n. 11499 del 21/10/2013, dep 2014, Guerra, Rv. 26088901, in termini conformi Sez. 3, n. 45310 del 07/10/2009, COGNOME, Rv. 245215-01),
che nel caso di specie non è dato rilevare in quanto, alla luce del contenuto della richiesta e della sequenza degli atti processuali, l’intervento dei giudici è successivo e mancano del tutto elementi concreti che rilevino una antecedente imparzialità dei giudici, tali non potendosi ritenere i riferimenti che la parte assume essere contenuti in una pagina della ordinanza di applicazione della misura cautelare e dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di riesame, che, anche a volerli ritenere sussistenti, non denotano né parzialità né abnormità.
4.4 Egualmente, deve escludersi una “grave situazione locale” in quelle che anche nella memoria vengono presentate dalla difesa come “condotte violente subite dalla C.D. “, ascritte invero ad un paio di persone, per altro coinvolte nel processo, perché persone offese o legate a vincoli con esse, con ciò dovendosi escludere del tutto un reale rischio di parzialità dell’ufficio giudiziario procedente.
4.5 L’istante lamenta, altresì, nelle due richieste presentate, una serie di comportamenti, a suo dire non imparziali e comunque illegittimi, relativi ai video e foto inoltrati su chat WhatsApp prodotti come prova dei fatti contestati, acquisiti senza sequestrare alcun cellulare, comportamenti attribuiti ad un determinato ufficiale di polizia giudiziaria, ad un pubblico ministero – che non avrebbe inoltre esaminato le persone offese minorenni – e infine al presidente del collegio giudicante. A prescindere dalla fondatezza di tali doglianze, è assorbente rilevare che si tratta di vicende puramente endoprocessuali che la richiedente non indica come specificamente incidenti sulla situazione locale e che non appaiono sintomatici di una mancanza di imparzialità dell’ufficio giudicante nella sede di svolgimento del processo e collegati da un nesso di causalità ad una grave situazione locale, da intendersi come fenomeno esterno alla dialettica processuale (Sez. 3, n. 24050 del 18/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273116-01; Sez. 2, n. 2565 del 19/12/2014, dep. 2015, Sigmund, Rv. 262278-01; Sez. 6, n. 15741 del 28/03/2013, Conte, Rv. 255844-01; Sez. 4, n. 4170 del 07/11/2007, dep. 2008, Giuliano, Rv. 238670-01).
Anche sotto questo profilo, dunque, la richiesta risulta inammissibile, appunto per manifesta infondatezza.
4.6 Quanto, infine, alla richiesta, formulata solo nella seconda istanza presentata dalla parte personalmente, e non rinnovata nella memoria depositata dal difensore, di declaratoria di nullità della sentenza di primo grado emessa nonostante fosse stata già presentata la richiesta di rimessione del processo, rileva questa Corte che la stessa è inammissibile.
Premesso che in questa sede la Corte è chiamata (ed è tenuta) a valutare solo la richiesta di rimessione del processo e non anche vizi di nullità degli atti del processo rispetto al quale la richiesta viene formulata, essendo gli stessi eventualmente sindacabili in altra sede, va comunque precisato che, a norma
dell’art. 47, comma 2, cod, proc. pen. «Il giudice deve comunque sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e non possono essere pronunciati il decreto che dispone il giudizio o la sentenza quando ha avuto notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite ovvero a sezione diversa dall’apposita sezione di cui all’art. 610, comma 1.». Ebbene, l’interpretazione letterale della disposizione porta a ritenere che il giudice non possa pronunciare sentenza solo se ha avuto notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta è stata assegnata alle sezioni unite ovvero a sezione diversa dalla settima; diversamente, ossia se non ha avuto notizia dalla Corte di cassazione della assegnazione della richiesta o se ha avuto notizia dalla Corte che la richiesta è stata assegnata alla settima sezione (cui vengono assegnati i ricorsi rispetto ai quali si rilevi una causa di inammissibilità), legislatore non sembra imporre al giudice di non pronunciare sentenza.
Nel caso in esame la parte notiziava il giudice procedente della pendenza in Corte della richiesta di rimessione all’udienza del 23 luglio 2024 fissata per la decisione ed anzi, come risulta dagli atti, sollecitava questa Corte nella mattinata di quella stessa udienza a dare comunicazione dell’assegnazione della istanza al giudice procedente; questa Corte comunicava l’assegnazione a questa sezione della richiesta di rimessione alla cancelleria del Tribunale di Bari il 24 luglio 2024, ossia il giorno seguente rispetto a quello in cui è stata pronunciata sentenza.
Ne consegue che alla data fissata per la decisione il giudice procedente non aveva avuto notizia della assegnazione della richiesta a questa sezione – come per altro riportato nella richiesta presentata – e non era dunque tenuto a non pronunciare la sentenza; di qui l’inammissibilità di qualunque doglianza sul punto.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, la parte va condannata al versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate.
Si ritiene invece che alla declaratoria di inammissibilità non consegua, nel caso di specie, l’onere per la ricorrente del pagamento delle spese del procedimento.
Sul punto, questo Collegio – pur consapevole dell’orientamento contrario secondo cui, in tema di rimessione del processo, se la Corte di Cassazione rigetta
o dichiara inammissibile l’istanza deve condannare l’imputato che l’ha proposta al pagamento delle spese processuali, in applicazione del principio generale espresso nella disposizione di cui all’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., che si applica a tutti i giudizi, principali o incidentali, dinanzi alla giudice di legittimità (di r Sez. 5, n. 33226 del 16/04/2019, Urgo, Rv. 276929-01; Sez. 5, Sentenza n. 49692 del 04/10/2017, C., Rv. 271438-01) – aderisce a quello espresso in ultimo da Sez. 6, n. 43540 del 19/09/2023, Testiera, Rv. 285359-01 in base al quale la declaratoria di inammissibilità della richiesta non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, nulla prevedendo al riguardo l’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. e non potendosi integrare tale disposizione, in considerazione della peculiare natura dell’istituto e dell’atto introduttivo de relativo procedimento incidentale, con la previsione generale di cui all’art. 616 cod. proc. pen. (in termini conformi, anche Sez. 5, n. 16553 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284451-01; Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017, COGNOME, Rv. 269969-01).
6. Si dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52, d.lgs. n. del 2003 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/10/2024.