Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4900 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/11/2023
SENTENZA
vista la richiesta di rimessione proposta da: COGNOME NOME NOME a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso il provvedimento del 31/05/2023 della CORTE ASSISE di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dell’istanza di rimessione.
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
Con istanza del 22 maggio 2023, NOME COGNOME ha proposto richiesta di rimessione ai sensi dell’art. 45 cod. proc. pen. in relazione al procedimento penale n. 1/23 R.G. pendente davanti alla Corte di assise di Messina allegando l’esistenza di «gravi situazioni locali tali da determinare motivi di legittimo sospetto».
Si tratta di processo pendente in primo grado dopo una sentenza di appello della Corte di assise di appello di Messina dichiarativa della nullità del precedente giudizio di primo grado.
Ha premesso che l’istanza costituisce la riproposizione di altra analoga richiesta dichiarata inammissibile per mancata notifica alla persona offesa, pur se non costituita parte civile.
A supporto ha dedotto l’esistenza del ragionevole dubbio in ordine alla serenità e imparzialità dell’organo giudicante.
La possibile parzialità del giudizio è stata affermata sulla base della pubblicazione di un post su Facebook da parte dell’AVV_NOTAIO, parte civile nel processo, in relazione ad espressioni di solidarietà e ammirazione dalla stessa ricevute a seguito di un incontro casuale con una donna magistrato messinese.
Su tale circostanza era stato chiesto, senza esito, un approfondimento nel corso del primo processo, così come nel corso di quello origiNOME dalla declaratoria di nullità.
In particolare, è stato evidenziato come la condizione di legittimo sospetto discenda dalla mancata identificazione del magistrato che aveva rivolto le espressioni di solidarietà all’AVV_NOTAIO, oltre che degli altri magistrati che, a dire del primo, avrebbero manifestato vicinanza alla stessa.
L’esistenza della descritta condizione ambientale e del conseguente pericolo di parzialità del giudizio deriverebbero anche da specifici elementi desumibili dalla circostanza che i magistrati che compongono la Corte di assise sono i medesimi che normalmente compongono il Tribunale di cui agli artt. 309 e 310 cod. proc. pen.
A tale proposito, ha evidenziato come nel corso del primo processo, più volte, erano state dichiarate inammissibili alcune istanze in punto di revoca della misura cautelare.
In un caso, inoltre, uno dei magistrati componenti la Corte di assise aveva composto il collegio del Tribunale della libertà e il magistrato che aveva emesso la misura cautelare aveva composto il Collegio ex art. 310 cod. proc. pen.
Da qui, pertanto, la denuncia di plurime violazioni dell’obbligo di astensione che, a prescindere dal mancato rilievo del vizio nel singolo procedimento, sarebbero indicative di esercizio poco sereno della giurisdizione.
A tale scopo, quale esempio dell’iniquità del processo, l’istante ha indicato la circostanza che il Presidente della Corte di assise che ha emesso la sentenza annullata ha poi presieduto anche il Collegio ex art. 310 cod. proc. pen. che ha respinto l’appello della difesa.
Ha inoltre lamentato la predisposizione di un calendario delle udienze incompatibile con l’esercizio del diritto di difesa e con la necessità, anche per i giudici popolari, di effettuare il congruo studio della complessa vicenda processuale.
Nonostante la dichiarata nullità del precedente giudizio, gli atti, anziché essere trasmessi al Pubblico ministero, erano stati trattenuti in Cancelleria e ciò in violazione dell’art. 433 cod. proc. pen. con conseguente compromissione della serenità di giudizio.
Anche nel disposto accompagnamento coattivo di alcuni testi sono state individuate «anomalie indicative di un pregiudizio nei confronti dell’imputato».
Ad ulteriore conforto dell’assunto contenuto nell’istanza è stato evidenziato come la stessa conduzione delle indagini da parte del Pubblico ministero abbia determiNOME un «sacrificio inaccettabile del diritto di difesa dell’imputato» e ciò in relazione alle attività poste in essere nel contesto del procedimento parallelo al presente a carico dei medici che ebbero in cura la vittima dell’omicidio contestato all’istante.
In tal senso anche le vicende procedimentali concernenti alcuni testimoni per i quali erano stati iscritti procedimenti per il reato di false informazioni al Pubblico ministero.
Si tratta dei testi COGNOME e COGNOME per i quali sono stati emessi, rispettivamente, la richiesta di archiviazione e l’avviso di conclusione indagini ex art. 415bis cod. proc. pen.
Il difensore ha chiesto procedersi a discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La richiesta è inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte, in tema di rimessione, esprime un orientamento piuttosto consolidato e univoco.
E’ stato, infatti, affermato che «la “grave situazione locale” di cui all’art. 45
cod. proc. pen. è configurabile in presenza di un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità dell’ufficio giudiziario della sede in cui si celebra il processo, ovvero di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse integrare il presupposto per la rimessione l’adozione, in un diverso procedimento celebrato a carico del medesimo imputato, di un’ordinanza ex art. 521, cod.proc.pen., con la quale il tribunale aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, il tutto in un contesto in cui il pubblico ministero d’udienza aveva dichiarato il proprio pregiudizio nei confronti dell’imputato e di tutto il distretto giudiziario ne quale quest’ultimo aveva in precedenza svolto le funzione di presidente di tribunale)» (Sez. 6, n. 29413 del 06/06/2018, Boccalatte, Rv. 273560; Sez. 3, n. 24050 del 18/12/2017, dep. 2018, Ierbulla Rv. 273116).
E’ stato precisato, altresì, che l’istituto in rilievo costituisce «strumento processuale eccezionale che tutela l’imparzialità e la serenità del giudizio sul piano oggettivo, preservandolo da un rischio concreto, non opinabile ed attuale di essere inquiNOME da fattori esterni all’ufficio giudiziario chiamato a svolgere la sua funzione giurisdizionale» (Sez. 3, n. 24050 del 2017, dep. 2018, Ierbulla, cit.).
Alla luce di tali principi, risulta evidente la genericità e l’inconsistenza del pregiudizio addotto in ragione della manifestazione di solidarietà espressa da una, non meglio identificata, magistrata in servizio a Messina nei confronti della parte civile del processo.
Dalla circostanza, siccome prospettata, non emerge in alcun modo quale possa essere, in relazione al processo de quo il danno all’imparzialità e alla serenità di giudizio.
Peraltro, quanto esposto non integra, in alcun modo, una situazione esterna alla dialettica processuale.
Quest’ultima deve, parimenti, essere esclusa per quanto riguarda le allegazioni riferite ai profili di incompatibilità di alcuni magistrati che si son succeduti nella trattazione del procedimento.
L’istanza fa riferimento anche a magistrati che hanno concorso a trattare il giudizio successivamente oggetto della declaratoria di nullità e, quindi, diverso da quello nel quale è stata presentata la richiesta di rimessione.
Ad ogni buon conto, sul punto, va ribadito il principio per cui i motivi di legittimo sospetto devono riguardare l’ufficio giudiziario nel suo complesso e «non i singoli giudici o magistrati del pubblico ministero, giacché, in quest’ultima
eventualità, l’osservanza delle regole del giusto processo può essere assicurata mediante l’astensione e la ricusazione, senza necessità del trasferimento del processo ad altro ufficio giudiziario. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che costituisse motivo di legittimo sospetto la circostanza che il ricorrente si fosse dovuto confrontare con magistrati asseritamente incompatibili per le loro pregresse funzioni o per le relazioni familiari o amicali con amministratori del comune in cui si erano svolti i fatti)» (Sez. 6, n. 13419 del 05/03/2019, NOME COGNOME, Rv. 275366).
Neppure integrano una «grave situazione locale esterna alla dialettica processuale» le allegazioni riferite a provvedimenti assunti dall’organo giudicante ovvero dal Pubblico ministero in relazione a procedimenti connessi con quello di interesse in quanto trattasi di profili che riguardano l’ordinaria dialettica processuale rispetto ai quali possono essere attivati tutti i rimedi interni al procedimento senza richiederne la celebrazione in altra sede giudiziaria.
Sulla base delle considerazioni che precedono la richiesta di rimessione deve essere, pertanto, dichiarata inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile la richiesta di rimessione e condanna il richiedente al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03/11/2023