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Rilascio passaporto e pena sospesa: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato il divieto di rilascio passaporto per un individuo con una condanna a pena detentiva, anche se l’esecuzione della stessa è stata sospesa. La Corte ha chiarito che la normativa non ammette discrezionalità e che eventuali doglianze sulla durata del divieto devono essere sollevate in sede amministrativa (TAR) e non davanti al giudice dell’esecuzione penale.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rilascio passaporto con pena sospesa: interviene la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia, ha affrontato un’importante questione relativa al rilascio passaporto per chi ha subito una condanna a pena detentiva, la cui esecuzione è stata sospesa. La decisione chiarisce la natura automatica del divieto e individua la corretta sede giurisdizionale per contestarne la durata, confermando un orientamento rigido a tutela dell’eseguibilità della sanzione penale.

I fatti di causa

Il caso riguarda un cittadino destinatario di una sentenza di condanna definitiva a una pena detentiva. L’ordine di esecuzione della pena era stato sospeso ai sensi dell’art. 656 del codice di procedura penale, in attesa della decisione del Tribunale di Sorveglianza su una domanda di ammissione a una misura alternativa alla detenzione.

In questo contesto, l’interessato si vedeva negata la possibilità di ottenere il nulla-osta per il rilascio del passaporto. La difesa sosteneva che tale diniego, protrattosi per un lungo periodo a causa dei ritardi nella fissazione dell’udienza per la misura alternativa, costituisse un’applicazione meccanica della legge e una violazione di diritti fondamentali. Per questo motivo, veniva proposto ricorso per cassazione, chiedendo un’interpretazione più flessibile della norma o, in subordine, la proposizione di un incidente di legittimità costituzionale.

La questione giuridica e il ricorso per il rilascio passaporto

Il nucleo del ricorso si concentrava sull’articolo 3 della legge n. 1185 del 1967, che impedisce il rilascio del passaporto a chi deve espiare una pena restrittiva della libertà personale. La difesa argomentava che un’attesa così lunga (dal 2018) per la decisione sulla misura alternativa rendeva il divieto irragionevole e sproporzionato, ledendo diritti costituzionalmente protetti.

Si chiedeva quindi alla Suprema Corte di interpretare la norma in modo da consentire una valutazione “caso per caso” o, in alternativa, di sollevare una questione di legittimità costituzionale per il presunto contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.

Le motivazioni della sentenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito che la disposizione di cui all’art. 3 della legge n. 1185 del 1967 è una norma di carattere imperativo che non lascia spazio a interpretazioni discrezionali. Il divieto di rilascio passaporto è previsto in tutti i casi in cui debba essere eseguita una pena detentiva, con la sola eccezione delle pene pecuniarie. Lo scopo del legislatore, secondo la Corte, è quello di tutelare l’effettiva “eseguibilità” della sanzione, evitando che il condannato possa sottrarsi alla giustizia espatriando.

Inoltre, la Corte ha specificato un punto cruciale riguardo alla giurisdizione. La doglianza relativa all’eccessiva durata del divieto e alla conseguente violazione dei diritti fondamentali non rientra nella competenza del giudice dell’esecuzione penale. Tale questione, infatti, attiene alla legittimità di un atto amministrativo (il diniego del passaporto) e, come tale, deve essere sollevata nelle sedi appropriate. La via corretta per contestare il provvedimento di diniego non è l’incidente di esecuzione, ma il ricorso in ambito amministrativo, ovvero al Ministero competente o al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). È in quella sede che può essere valutato il bilanciamento tra l’esigenza di esecuzione della pena e il diritto alla libertà di circolazione, anche in relazione a un’eventuale irragionevole durata del procedimento parallelo.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato: la sospensione dell’ordine di esecuzione di una pena detentiva non fa venire meno l’impedimento al rilascio del passaporto. Il divieto opera in modo automatico e non è soggetto a valutazione discrezionale da parte del giudice penale. Per chi si trova in questa situazione, l’unica strada per contestare la legittimità o la durata del diniego del passaporto è quella di adire la giustizia amministrativa, che rappresenta la sede naturale per la tutela degli interessi legittimi del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione.

È possibile ottenere il rilascio del passaporto se l’esecuzione di una pena detentiva è sospesa?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la legge (art. 3 della legge n. 1185 del 1967) pone un divieto assoluto al rilascio del passaporto in tutti i casi in cui una persona debba ancora scontare una pena restrittiva della libertà personale, anche se l’esecuzione è temporaneamente sospesa. L’unica eccezione riguarda le pene pecuniarie.

Cosa si può fare se il divieto di rilascio del passaporto si protrae per un tempo irragionevole?
Secondo la sentenza, la questione della durata eccessiva del divieto e della presunta violazione dei diritti fondamentali non può essere affrontata in sede di esecuzione penale. La sede corretta per proporre tale doglianza è il procedimento giurisdizionale amministrativo, ad esempio tramite un ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale).

Il giudice può valutare “caso per caso” la necessità di negare il passaporto a chi ha una pena sospesa?
No, la disposizione di legge non consente alcuna discrezionalità al giudice. La norma impone un divieto generale e automatico, finalizzato a tutelare la futura eseguibilità della sanzione detentiva, senza possibilità di una valutazione delle circostanze specifiche del singolo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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