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Rifiuto esecuzione pena: la residenza di 5 anni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino albanese, condannato in Germania, che chiedeva di scontare la pena in Italia. La decisione si fonda sulla mancata dimostrazione del requisito della residenza continuativa di almeno cinque anni sul territorio nazionale, elemento essenziale per il rifiuto esecuzione pena. La Corte ha stabilito che promesse di lavoro future o la disponibilità all’ospitalità da parte di familiari non sono sufficienti a integrare tale presupposto.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rifiuto Esecuzione Pena: La Residenza Quinquennale è Requisito Essenziale

Il rifiuto esecuzione pena emessa da un’autorità giudiziaria estera è una facoltà concessa dalla legge italiana a precise condizioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza uno dei pilastri di questa disciplina: il requisito della residenza o dimora continuativa per almeno cinque anni in Italia. Il caso analizzato riguarda un cittadino straniero, colpito da un mandato di arresto europeo emesso in Germania, che si è visto negare la possibilità di scontare la pena nel nostro Paese proprio per la mancanza di questo legame territoriale consolidato.

I Fatti del Caso

Un cittadino albanese veniva condannato dal Tribunale di Berlino a tre anni di reclusione per possesso e traffico di sostanze stupefacenti. A seguito della condanna, l’autorità giudiziaria tedesca emetteva un mandato di arresto europeo per l’esecuzione della pena. Rintracciato in Italia, l’uomo, tramite il suo difensore, chiedeva alla Corte di Appello di Napoli di poter scontare la pena detentiva in Italia, invocando la normativa che permette il rifiuto esecuzione pena all’estero in presenza di un radicamento nel territorio italiano. A sostegno della sua richiesta, presentava una dichiarazione della moglie, disponibile a ospitarlo, e una di una società pronta ad assumerlo come dipendente. La Corte di Appello, tuttavia, rigettava la richiesta e disponeva la consegna del condannato alla Germania.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Rifiuto Esecuzione Pena

Contro la decisione della Corte di Appello, la difesa proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’errata valutazione degli elementi che, a suo dire, dimostravano il radicamento dell’uomo in Italia. La Suprema Corte, però, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in pieno la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che la documentazione prodotta non era idonea a soddisfare i requisiti di legge, in quanto non provava una residenza stabile e continuativa per il periodo minimo richiesto.

Le Motivazioni della Sentenza

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005. Questa norma consente alla Corte di Appello di rifiutare la consegna di una persona se questa risiede o dimora legittimamente ed effettivamente in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, disponendo che la pena sia eseguita in Italia. La Corte di Cassazione ha sottolineato che tale presupposto deve essere dimostrato con elementi concreti che attestino una situazione passata e consolidata. Nel caso di specie, lo stesso interessato aveva ammesso di vivere in Italia da soli due anni. Le prove offerte, ovvero la disponibilità all’ospitalità da parte della moglie e una promessa di assunzione, sono state giudicate irrilevanti. Queste, infatti, attengono a prospettive future e non possono in alcun modo comprovare il requisito del radicamento quinquennale già maturato al momento della richiesta. La legge richiede una valutazione retrospettiva di un legame effettivo e duraturo con il Paese, non una previsione basata su intenzioni future.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di mandato di arresto europeo e cooperazione giudiziaria: la possibilità di scontare in Italia una pena inflitta all’estero non è un diritto automatico, ma una facoltà subordinata a requisiti stringenti. Il legame con il territorio italiano deve essere reale, effettivo e, soprattutto, protratto per almeno cinque anni continuativi. Le aspirazioni a stabilirsi o a trovare lavoro in Italia non sono sufficienti per integrare questo requisito. La decisione rafforza la necessità, per chi invoca questa norma, di fornire prove documentali concrete e inequivocabili che attestino un radicamento sociale e territoriale consolidato nel tempo, al fine di giustificare un rifiuto esecuzione pena all’estero.

Un cittadino straniero destinatario di un mandato di arresto europeo può scontare la pena in Italia?
Sì, è una possibilità prevista dalla legge, ma solo a condizione che la persona dimostri di aver risieduto o dimorato in Italia in via continuativa e legittima per almeno cinque anni.

Una promessa di assunzione è sufficiente a dimostrare il radicamento sul territorio italiano?
No. Secondo la sentenza, una promessa di lavoro futuro, così come la disponibilità all’ospitalità da parte di un familiare, è irrilevante ai fini della dimostrazione del requisito della residenza quinquennale, poiché la legge richiede la prova di un legame stabile e già consolidato nel passato.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso specifico?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte di Appello di consegnare il cittadino albanese alle autorità tedesche. Ha stabilito che, non essendo stato provato il requisito della residenza continuativa per cinque anni, non sussistevano i presupposti per rifiutare la consegna e disporre l’esecuzione della pena in Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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