Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14884 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14884 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Baia de Arama (Romania) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/2/2024 della Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito l’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 febbraio 2024 la Corte di appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari ha dichiarato sussistenti le condizioni per accordare la consegna di NOME COGNOME all’autorità giudiziaria romena, che l’aveva
richiesta in forza di mandato di arresto europeo emesso per l’esecuzione della pena inflittagli dalla sentenza di condanna, pronunciata il 20 luglio 2023 dalla Corte di appello di Bucarest per il reato di contrabbando di t:abacchi e divenuta definitiva.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, attraverso il suo difensore, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 2 L. n. 69/2005 e dell’art. 3 CEDU, per non avere la Corte d’appello considerato che ai 4 metri quadrati della cella del carcere di Bucarest Rahova, in cui sarà ristretto il ricorrente sia nel periodo di quarantena che in quello di detenzione in regime c.d. chiuso, occorreva sottrarre le dimensioni del letto a castello, che, come si legge nella relazione inviata il 2 febbraio 2024 dall’autorità romena, è di circa 1,80 x 1,80 metri, così che lo spazio disponibile è inferiore ai 3 metri quadrati per detenuto, indicati anche nella sentenza delle Sezioni unite n. 6551/2020 (ric. Commisso).
2.2. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 18 bis della L. n. 69/2005. Premesso che la Corte di appello ha ritenuto ostativo al rifiuto di consegna il difetto della residenza in Italia da almeno 5 anni, il ricorrente ha sostenuto che l’art. 18 bis, comma 2 bis, cit. prevede requisiti autonomi rispetto a quelli indicati nel comma 2 dello stesso articolo, così che può prescindersi dalla permanenza in Italia per 5 anni, al fine di rifiutare la consegna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Deve ricordarsi che la Corte di Strasburgo, nel tentativo di individuare uno standard minimo unitario applicabile in tema di spazio personale dei detenuti in una cella collettiva, ha fatto riferimento alla superficie calpestabile (flo space) di almeno tre metri quadrati per detenuto, tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente fra gli arredi (Corte EDU, 6/11/2009, COGNOME c. Italia; Corte EDU, 10/01/2012, NOME e altri c. Russia; Corte EDU, Grande Camera, 20/10/2016, Muri e c. Croazia).
Si è affermato, pertanto, che la presenza di uno spazio inferiore a tale soglia minima crea una forte presunzione, sia pure relativa e confutabile dallo Stato interessato, che le condizioni di detenzione integrino un trattamento degradante. Tale presunzione iuris tantum è, infatti, superabile allorché sia dimostrata l’esistenza di fattori, che, cumulativamente, siano in grado di compensare la
mancanza di spazio vitale, quali: a) la brevità, l’occasionalità e la modesta entità della riduzione dello spazio personale; b) la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di attività all’esterno della cella; c) l’adeguatezza della struttura, i assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni generali di detenzione del ricorrente (Corte EDU, Grande Camera, 20/10/2016, Muri c. Croazia).
I criteri, affermati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sono stati recepiti da questa Corte, che, da ultimo, pronunciandosi a Sezioni Unite in tema di rimedi risarcitori, previsti dall’art. 35-ter ord. pen., ha affermato che nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti castello. Il Supremo Consesso ha, inoltre, precisato che i fattori compensativi, costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 della CEDU, derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati, mentre, nel caso di disponibilità di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fatto compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Rv. 280433 – 02). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha ricordato che il ricorrente “beneficerà per l’intera durata dell’esecuzione della pena di uno spazio minimo individuale di almeno 4 metri quadrati, escluso lo spazio destinato ai servizi igienici, in caso di esecuzione della pena nei regimi chiuso, semi aperto e aperto (cfr. pagina 8 del rapporto informativo)”.
Dopo aver ricordato il principio enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza Commisso (secondo cui nella valutazione dello spazio minimo di 3 metri quadri si deve aver riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello), la Corte di appello ha affermato che “lo spazi individuale della cella, che viene indicato dettagliatamente nel rapporto informativo, è superiore a quello indicato dalla Suprema Corte in maniera sufficiente a evitare la violazione dell’art. 3 della convenzione E.D.U.”.
A fronte di tali argomentazioni deve rilevarsi che, seppure la Corte di appello non abbia indicato espressamente le caratteristiche del letto e i metri quadri della cella che residuano dopo avere sottratto le dimensioni dell’anzidetto arredo, può affermarsi, tuttavia, che non sussistono le violazioni di legge lamentate dal ricorrente, pur a fronte di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati (detratto il letto a castello).
Dalla lettura dell’intera sentenza, infatti, emerge che nel carcere, in cui i ricorrente sarà ristretto, vi sono fattori compensativi.
La Corte di appello ha affermato che dalle informazioni ottenute dallo Stato romeno si evince che COGNOME inizialmente sarà collocato per soli 21 giorni, ai fini dell’esecuzione del periodo di quarantena, nel carcere di Bucarest Rahova, in una stanza con uno spazio minimo di 4 metri quadri, escluso lo spazio destinato al bagno. Ha aggiunto che è previsto un piano individualizzato di valutazione e di intervento educativo e terapeutico; a ciascun detenuto è garantito il diritto di camminare quotidianamente; il periodo di quarantena e osservazione verrà svolto all’interno della sezione di detenzione E2, che dispone di un numero di 25 stanze, ciascuna dotata di un proprio bagno, doppia finestra con una dimensione di 1,44 metri quadri e di mobilio (tavolo, panchina, supporto tv, cambusa per i viveri).
Trascorso il periodo di quarantena la commissione dell’amministrazione penitenziaria determinerà l’ulteriore casa di reclusione, in cui verrà eseguita la pena detentiva. Considerata l’entità della pena della persona condannata, viene ipotizzato che ella sconterà la pena privativa della libertà in un regime chiuso nel carcere di Bucarest Rahova, in condizioni che garantiscono il rispetto della dignità umana. In tale carcere, il programma giornaliero dei detenuti in regime chiuso comprende prestazioni lavorative, attività educative, culturali, terapeutiche e sportive, consulenza psicologica e assistenziale, morale e religiosa, formazione scolastica e professionale, assistenza medica. L’orario può includere passeggiate, tempo di riposo e altre attività necessarie allo stimolo dell’interesse dei detenuti. Le attività lavorative e quelle di reinserimento sociale possono essere svolte anche all’esterno dell’istituto penitenziario, sotto sorveglianza.
Dopo l’esecuzione di un quinto della pena, la commissione analizzerà la condotta del condannato e gli sforzi di reinserimento, al fine di modificare il regime di esecuzione della pena privativa della libertà. Se vi sarà il regime semiaperto, COGNOME potrà eseguire la pena nel carcere di Bucarest Jilava e avrà la possibilità di andare in aree site all’interno del carcere, nei percors indicati dall’amministrazione dell’istituto penitenziario, e di organizzare il tempo libero, sotto sorveglianza. Con l’osservanza dell’orario fissato
dall’amministrazione le porte delle celle saranno aperte e durante tutta la giornata, in base ad un programma approvato dalla direzione del carcere, vi sarà la possibilità di accedere ai cortili, dove ci sono anche spazi speciali per fumare, e di fare una passeggiata.
Alla luce di quanto precede può affermarsi che le dignitose condizioni carcerarie, la sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, congiuntamente valutai:e, permettono di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 della CEDU, derivante dalla disponibilità nella cella di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo del ricorso. Con il decreto – legge 13 giugno 2023 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 10 agosto 2023 n. 103, in vigore dall’Il agosto 2023, il legislatore, in primo luogo, ha disposto la modifica del comma 2 dell’art. 18-bis L. n. 69/2005, che oggi contempla la possibilità per la Corte di appello di rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona (senza attributo alcuno di cittadinanza) che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che la Corte stessa disponga l’esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza per cui la consegna viene richiesta conformemente al diritto interno; in secondo iuogo, ha aggiunto un comma 2-bis a quelli esistenti, il quale stabilisce che “ai fini della verifica del legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la Corte di appello accerta se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora, del tempo intercorso tra la commissione dei reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano e di ogni alt elemento rilevante. La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sono stati, dunque, normativamente fissati i c.d. indici rivelatori che la giurisprudenza di questa Corte di cassazione a legislazione previgente aveva già in parte individuato al fine di delimitare il perimetro dell’accertamento spettante alla Corte di merito.
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La novella legislativa, nello stabilire che “la sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criter di valutazione”, esplicita che il relativo apprezzamento è condizione “ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna”.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, quindi, il comma 2 bis dell’art. 18 bis cit. ha indicato gli elementi di valutazione per la Corte del merito, ferma restando, però, la previsione del comma 2, ossia la necessaria sussistenza della residenza o dimora in Italia per almeno 5 anni da parte della persona richiesta in consegna (in tal senso cfr. Sez. 6, n. 41 del 28/12/2023, Bettini, Rv. 285601 – 01 in motiv.).
Correttamente, quindi, la Corte di appello ha ritenuto ostativo al rifiuto di consegna il difetto della residenza del ricorrente in Italia da almeno 5 anni.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria effettuerà gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, L. n. 69/2005.
P.Q.M.
Rigetta ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, Legge n. 69/2005
Così deciso il 5/4/2024