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Rifiuto consegna MAE: la residenza conta più dei reati

Un cittadino straniero, condannato nel suo paese d’origine e residente in Italia da oltre cinque anni, si è opposto alla consegna richiesta tramite Mandato di Arresto Europeo (MAE). La Corte d’Appello aveva concesso la consegna, ritenendo che i suoi precedenti penali in Italia compromettessero la ‘legalità’ della sua presenza. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12163/2024, ha annullato tale decisione. Ha stabilito che per il rifiuto consegna MAE non conta l’assenza di precedenti, ma la ‘residenza legittima’, basata su un titolo valido (come la cittadinanza UE) e un effettivo radicamento sociale ed economico nel territorio italiano, che il giudice deve valutare complessivamente.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rifiuto Consegna MAE: Quando il Radicamento Sociale in Italia Prevale sui Precedenti Penali

Il Rifiuto consegna MAE è una facoltà che la legge italiana concede in circostanze specifiche, specialmente quando la persona richiesta è profondamente radicata nel tessuto sociale italiano. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12163/2024) ha fornito un chiarimento cruciale su questo punto, stabilendo che la presenza di precedenti penali non esclude automaticamente la possibilità di rifiutare la consegna, se sussistono altri solidi elementi di integrazione.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Consegna e l’Opposizione

Il caso riguarda un cittadino della Repubblica Ceca, destinatario di un Mandato di Arresto Europeo “esecutivo” emesso dalle autorità di Praga per scontare una condanna a tre anni di reclusione per reati di furto, truffa e altri. L’uomo, tuttavia, risiedeva e lavorava stabilmente in Italia da oltre cinque anni, dove aveva un impiego come cuoco con contratto a tempo indeterminato, una relazione affettiva e regolari contratti di locazione.

In virtù di questo forte legame con il territorio italiano, il suo difensore si è opposto alla consegna, invocando l’articolo 18-bis della legge n. 69/2005, che consente alla Corte d’Appello di rifiutare la consegna di una persona che risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni in Italia, disponendo che la pena sia eseguita nel nostro Paese.

La Decisione della Corte d’Appello: La “Presenza Legale” Messa in Discussione

La Corte d’Appello di Trieste, pur riconoscendo la lunga permanenza dell’uomo in Italia e la sua attività lavorativa, aveva accolto la domanda di consegna. La motivazione si basava sul difetto della “legale presenza in Italia”, un concetto che i giudici di merito avevano interpretato come incompatibile con le condanne e i procedimenti penali pendenti a carico dell’interessato. In pratica, secondo la Corte territoriale, i problemi con la giustizia italiana rendevano la sua presenza “non legale”, vanificando così la possibilità di applicare la norma sul rifiuto della consegna.

L’Importanza della Residenza “Legittima” per il Rifiuto Consegna MAE

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato questa interpretazione. I giudici supremi hanno sottolineato che la normativa, soprattutto dopo le recenti modifiche legislative, non parla di “presenza legale” (intesa come fedina penale pulita), ma di “residenza o dimora legittima ed effettiva”.

Il concetto di legittimità, in questo contesto, si riferisce al possesso di un titolo giuridico che autorizza la permanenza sul territorio nazionale. Nel caso di specie, essendo il consegnando un cittadino di un Paese dell’Unione Europea, il suo diritto di circolazione e stabilimento costituisce un titolo più che legittimo per risiedere in Italia. La Corte ha inoltre osservato che non risultavano emessi provvedimenti amministrativi di allontanamento a suo carico.

La Valutazione Complessiva del Radicamento Territoriale

La Cassazione ha chiarito che il giudice non può fermarsi alla sola verifica dei carichi pendenti. Al contrario, la legge impone un esame complessivo e approfondito di tutti gli elementi che dimostrano il radicamento della persona in Italia. Questi includono:

* La durata e le modalità della residenza.
* I legami familiari, linguistici, culturali, sociali ed economici.
* Il regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali.
* L’attività lavorativa svolta.

Fermarsi ai soli precedenti penali, come aveva fatto la Corte d’Appello, costituisce una violazione di legge, poiché si omette quella valutazione completa che è necessaria per decidere se l’esecuzione della pena in Italia possa favorire il reinserimento sociale del condannato.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sulla distinzione cruciale tra “residenza legittima” e “assenza di precedenti penali”. La Corte ha stabilito che la prima si basa sul titolo giuridico che consente di vivere in Italia (nel caso specifico, la cittadinanza UE), mentre la seconda è solo uno degli elementi da considerare in una valutazione molto più ampia. La legge, come modificata nel 2023, richiede esplicitamente ai giudici di considerare una pluralità di fattori (lavoro, famiglia, legami sociali) per determinare se il rifiuto della consegna e l’esecuzione della pena in Italia siano più funzionali al reinserimento sociale del condannato. La decisione della Corte d’Appello è stata ritenuta incongrua e viziata perché si era basata esclusivamente sui precedenti penali, ignorando tutti gli altri indici di stabile radicamento previsti dalla norma. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata con rinvio, imponendo alla Corte d’Appello di riesaminare il caso applicando correttamente questo principio.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 12163/2024 rappresenta un importante baluardo a tutela dei diritti delle persone che, pur avendo commesso reati nel loro Paese d’origine, hanno costruito una nuova vita in Italia. La Cassazione afferma con forza che il percorso di integrazione sociale, dimostrato da anni di lavoro, legami familiari e residenza stabile, è un fattore preponderante. Il giudice non può negare il Rifiuto consegna MAE basandosi unicamente sulla presenza di precedenti penali, ma deve effettuare una valutazione completa e bilanciata, finalizzata a verificare se l’esecuzione della pena in Italia possa meglio promuovere le opportunità di reinserimento sociale del condannato.

Avere precedenti penali in Italia impedisce di opporsi alla consegna basata su un Mandato di Arresto Europeo?
No, non automaticamente. La Cassazione ha chiarito che la sola esistenza di precedenti penali o carichi pendenti non è sufficiente a escludere il rifiuto della consegna, se la persona ha una “residenza legittima” e un forte e comprovato radicamento sociale ed economico in Italia da almeno cinque anni.

Cosa significa “residenza legittima” ai fini del rifiuto di consegna?
Significa possedere un titolo giuridico valido che permette di risiedere nel territorio dello Stato, come ad esempio la cittadinanza di un altro Paese dell’Unione Europea. Questo concetto è distinto da una generica “presenza legale” intesa come assenza di problemi con la giustizia. La residenza deve essere inoltre effettiva e continuativa.

Quali elementi deve valutare un giudice per decidere sul rifiuto della consegna?
Il giudice deve compiere una valutazione complessiva che va oltre i precedenti penali. Deve considerare tutti gli indici di radicamento previsti dalla legge, come la durata della residenza, i legami familiari, sociali, culturali ed economici con l’Italia, l’attività lavorativa, il rispetto degli obblighi fiscali e contributivi, al fine di accertare se l’esecuzione della pena in Italia sia più idonea a favorire il reinserimento sociale della persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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