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Rifiuto consegna e MAE: la prova del radicamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27165/2024, ha rigettato il ricorso contro una decisione di consegna basata su un Mandato di Arresto Europeo. Il caso verteva sul rifiuto consegna per un cittadino straniero che sosteneva di essere radicato in Italia. La Corte ha chiarito che, al di là dell’interpretazione temporale del requisito di residenza quinquennale, è onere del ricorrente fornire prove concrete e specifiche del proprio effettivo e continuativo radicamento sociale e familiare nel territorio italiano, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rifiuto Consegna e MAE: la Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova del Radicamento

Il tema del rifiuto consegna di una persona richiesta tramite Mandato di Arresto Europeo (MAE) è centrale nella cooperazione giudiziaria penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 27165 del 2024, offre spunti fondamentali sull’applicazione dell’art. 18-bis della legge n. 69/2005, che consente all’Italia di non consegnare una persona se questa dimostra un solido radicamento nel territorio nazionale. La pronuncia sottolinea come la semplice affermazione di avere legami con l’Italia non sia sufficiente, essendo necessario un onere probatorio specifico e rigoroso.

Il Caso: una Richiesta di Consegna dalla Romania

La vicenda trae origine da un Mandato di Arresto Europeo emesso dalle autorità rumene nei confronti di un loro cittadino per l’esecuzione di due condanne definitive: una per rissa e disturbo della quiete pubblica commessi nel 2019, e un’altra per sequestro di persona risalente al 2016. La Corte di appello di Roma aveva accolto la richiesta, disponendo la consegna dell’uomo.

Contro tale decisione, l’interessato ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su un unico motivo: la violazione dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69/2005. Egli sosteneva di avere un forte legame con il territorio italiano da oltre sei anni, condizione che, a suo dire, avrebbe dovuto giustificare il rifiuto della consegna e l’esecuzione della pena in Italia, al fine di favorire il suo reinserimento sociale.

Il Rifiuto Consegna e la Questione del Radicamento Quinquennale

Il cuore del ricorso si concentrava sull’interpretazione del requisito della residenza o dimora “legittima, effettiva e continuativa da almeno cinque anni” in Italia. La difesa contestava l’orientamento restrittivo secondo cui tale quinquennio debba necessariamente decorrere dopo la commissione dei reati per i quali è richiesta la consegna. Secondo il ricorrente, tale interpretazione contrasterebbe con la nozione di radicamento reale e non estemporaneo e con le finalità di reinserimento sociale perseguite dalla norma. Per questo motivo, era stata richiesta una rimessione della questione alle Sezioni Unite o un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Le Motivazioni della Cassazione: Quando il Rifiuto Consegna Non È Applicabile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Pur riconoscendo la rilevanza della questione interpretativa sul calcolo del quinquennio, i giudici hanno spostato il focus su un aspetto preliminare e dirimente: la prova del radicamento.

La Corte ha osservato che il ricorrente si era limitato ad affermazioni generiche e apodittiche circa i suoi “forti legami con il territorio italiano”, senza fornire alcuna prova concreta e specifica. Non erano stati indicati quali fossero questi legami (familiari, professionali, economici), né da quando e come si fossero sostanziati.

Inoltre, la stessa biografia processuale dell’uomo smentiva una presenza continuativa in Italia. Dal mandato di arresto europeo emergeva infatti che egli era stato detenuto in Romania in più occasioni, anche per i reati oggetto della richiesta di consegna. Questa circostanza, secondo la Corte, era sintomatica di una “discontinua e saltuaria presenza” sul territorio italiano, incompatibile con il requisito di una residenza effettiva e continuativa richiesta dalla legge per poter beneficiare del rifiuto consegna.

Le Conclusioni: l’Onere della Prova è del Ricorrente

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: chi invoca il motivo di rifiuto della consegna basato sul radicamento in Italia ha l’onere di provare in modo concreto e specifico gli elementi che dimostrino una reale e stabile integrazione. Non basta affermare di vivere in Italia da anni; è necessario documentare l’esistenza di legami familiari, un’attività lavorativa stabile, un’abitazione, e tutti quegli indici che, nel loro complesso, delineano un progetto di vita radicato nel nostro Paese.

In assenza di tali prove, la questione sulla decorrenza del quinquennio diventa irrilevante. La Corte ha quindi concluso che non sussistevano i presupposti né per un approfondimento da parte delle Sezioni Unite, né per un rinvio alla Corte di Giustizia Europea, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Quali sono le condizioni per ottenere il rifiuto della consegna in base al radicamento in Italia?
Secondo l’art. 18-bis della L. 69/2005, è necessario che la persona richiesta dimori o risieda in Italia in via legittima, effettiva e continuativa da almeno cinque anni. Tuttavia, la sentenza chiarisce che è fondamentale fornire prove concrete e specifiche di tale radicamento (legami familiari, professionali, economici, ecc.).

Perché la Cassazione ha rigettato il ricorso pur in presenza di un dibattito interpretativo sulla norma?
La Corte ha ritenuto il ricorso infondato perché il ricorrente non ha assolto al suo onere probatorio. A prescindere da come si calcoli il periodo di cinque anni, egli non ha fornito alcuna prova concreta dei suoi presunti “forti legami” con l’Italia, e la sua storia personale mostrava una presenza discontinua sul territorio.

Che tipo di prove sono necessarie per dimostrare il radicamento in Italia?
La sentenza non elenca specificamente le prove, ma fa riferimento a elementi che dimostrino un’integrazione reale e non estemporanea. Si tratta di indici concreti come la presenza di familiari, un lavoro stabile, una residenza effettiva, e in generale tutti quegli elementi che provino l’esistenza di un progetto di vita consolidato nello Stato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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