Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32545 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32545 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/04/2025 del TRIBUNALE di L’AQUILA, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 24 aprile 2025 il Tribunale di L’Aquila, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, confermava l’ordinanza emessa il 14 aprile 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di L’Aquila con la quale era stata applicata a COGNOME NOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di rapina e lesioni personali commessi in danno di COGNOME NOME.
Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione la COGNOME per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione dell’art. 309, comma 6, cod. proc. pen. assumendo che non correttamente il Tribunale per il riesame aveva rigettato, per tardività, la richiesta della ricorrente di partecipare all’udienza di riesame in videoconferenza.
Con il secondo motivo deduceva violazione della legge processuale penale e mancanza di motivazione assumendo che il giudice della cautela non aveva reso una motivazione autonoma, riportandosi pedissequamente alle argomentazioni contenute nel provvedimento reso dal Giudice per le indagini preliminari.
Con il terzo motivo deduceva violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Contestava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di rapina assumendo che la COGNOME aveva aggredito la vittima ma non le aveva sottratto il telefono cellulare; contestava inoltre, sotto altro profilo, la sussistenza dell’esigenza del pericolo di recidiva, assumendo che il fatto non poteva ritenersi grave; contestava anche la ritenuta sussistenza del pericolo di fuga, dovendosi considerare il radicamento familiare e sociale della ricorrente.
Deduceva infine che il Tribunale non aveva motivato in ordine alla ritenuta inadeguatezza di misure cautelari meno afflittive della custodia in carcere.
In data 24 giugno 2025 la difesa della ricorrente depositava conclusioni scritte con le quali replicava alla requisitoria del Procuratore Generale e insisteva nella richiesta di accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
La richiesta di comparire è stata, invero, avanzata dalla ricorrente in maniera del tutto irrituale, essendo stata depositata il 23 aprile 2025 con atto separato rispetto alla già depositata richiesta di riesame, a fronte dell’udienza di discussione fissata per il 24 aprile 2025, dovendosi qui richiamare il disposto di cui all’art. 309, comma 6, cod. proc. pen., a tenore del quale con la richiesta di riesame l’imputato può chiedere di essere sentito personalmente; né risulta che quest’ultimo abbia chiesto il differimento dell’udienza ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen. (cfr., In tema, Sez. U, n. 11803 del 27/02/2020, Ramondo. Rv. 278491 – 01, che ha statuito che nel procedimento di riesame
avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive, la persona detenuta o internata, ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilità di partecipare all’udienza camerale, può esercitare il diritto di comparire personalmente a quest’ultima solo se ne abbia fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l’istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentita su specifici temi con l’istanza di differimento ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis cod. proc. pen.).
Il secondo motivo è del pari inammissibile in quanto del tutto generico, essendosi la ricorrente limitata ad esporre una doglianza del tutto priva di argomenti specifici in relazione alla dedotta non autonomia della motivazione resa dal Tribunale, che si sarebbe riportato pedissequamente agli argomenti illustrati dal Giudice per le indagini preliminari.
Il terzo motivo è manifestamente infondato e pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
Ritiene, invero, il Collegio che il Tribunale abbia reso una motivazione immune da vizi in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, e ciò in relazione a tutti i profili indicati dalla ricorrente.
Quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza il giudice della cautela ha congruamente richiamato le dichiarazioni accusatorie della parte offesa, che aveva affermato che l’imputata l’aveva aggredita e, esercitando violenza, le aveva sottratto il telefono cellulare; rispetto a tale rilievo la difesa, con il ricorso, non si è adeguatamente confrontata, essendosi limitata ad affermare che la COGNOME aveva negato di essersi impossessata del telefono cellulare della vittima.
In relazione alle esigenze cautelari il Tribunale ha motivato in maniera adeguata la statuizione relativa alla ritenuta sussistenza del pericolo di recidiva, osservando congruamente che la ricorrente aveva “dimostrato una totale mancanza di controllo arrivando ad aggredire senza motivo la persona offesa”, che “l’aggressione era stata rilevante tanto che aveva comportato lesione con prognosi di 10 giorni alla persona offesa” e che la ricorrente era gravata da un precedente per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, caratterizzato dall’uso di violenza e minaccia, traendo da tali considerazioni conseguenze del tutto logiche nel ritenere la custodia in carcere l’unica misura adeguata ad assicurare la richiamata esigenza cautelare (“la estrema pericolosità sociale dimostrata e … la dimostrata mancanza di controllo potrebbero indurre la indagata a sottrarsi a
qualunque misura, ivi compresa quella dei domiciliari con braccialetto elettronico”).
Deve infine osservarsi, in relazione ai rilievi sollevati dalla ricorrente in relazione alla diversa esigenza cautelare del pericolo di fuga, che in realtà il Tribunale, con l’ordinanza impugnata, non ha in alcun modo considerato tale esigenza, essendosi limitato ad argomentare in relazione al pericolo di recidiva.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 02/07/2025