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Riduzione di pena: no al bonus per rinuncia in appello

Un imputato, dopo aver rinunciato all’appello in Cassazione, ha richiesto la riduzione di pena prevista dalla Riforma Cartabia per chi non impugna la sentenza di primo grado. La Corte ha respinto la richiesta, chiarendo che la rinuncia a un’impugnazione già proposta non equivale alla mancata impugnazione, requisito essenziale per ottenere il beneficio.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riduzione di pena: no al bonus per chi rinuncia all’appello

La Riforma Cartabia ha introdotto un’importante novità nel codice di procedura penale: un’ulteriore riduzione di pena per chi, condannato con rito abbreviato, accetta la sentenza di primo grado senza impugnarla. Questo incentivo mira a ridurre il carico dei processi nei gradi successivi di giudizio. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 46818/2024, ha però tracciato un confine netto: la rinuncia a un’impugnazione già presentata non equivale alla mancata impugnazione e, pertanto, non dà diritto al beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un imputato condannato in primo grado con rito abbreviato. L’imputato decideva di appellare la sentenza e la Corte d’Appello confermava la sua responsabilità, rideterminando la pena complessiva. Successivamente, l’imputato presentava ricorso per Cassazione, ma prima della discussione, decideva di rinunciarvi, rendendo così definitiva la condanna.

A questo punto, forte della nuova norma introdotta dalla Riforma Cartabia (art. 442, comma 2-bis c.p.p.), l’imputato si rivolgeva al giudice dell’esecuzione chiedendo l’applicazione dell’ulteriore riduzione di un sesto della pena. La sua tesi era che, con la rinuncia, aveva comunque contribuito all’effetto deflattivo voluto dal legislatore, evitando la celebrazione dell’ultimo grado di giudizio. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva però la sua istanza.

I limiti della riduzione di pena dopo la Riforma

L’art. 442, comma 2-bis, c.p.p. è chiaro: la pena è ulteriormente ridotta di un sesto se l’imputato non impugna la sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio abbreviato. Il ricorrente sosteneva che la sua rinuncia al ricorso per Cassazione dovesse essere equiparata alla mancata impugnazione, in quanto entrambe le condotte portano alla irrevocabilità della sentenza.

Secondo la sua difesa, la norma, avendo natura sostanziale e più favorevole, dovrebbe essere applicata retroattivamente, premiando chiunque contribuisca a definire il processo senza esaurire tutti i gradi di giudizio disponibili. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione molto più restrittiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. Gli Ermellini hanno stabilito un principio fondamentale: la “mancata impugnazione” e la “rinuncia all’impugnazione” sono due istituti giuridici distinti e non sovrapponibili ai fini dell’applicazione del beneficio.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che il legislatore ha inteso premiare una scelta precisa: quella di accettare fin da subito la sentenza di primo grado, evitando in radice l’instaurazione di un processo d’appello. Questa condotta produce il massimo effetto deflattivo, risparmiando al sistema giudiziario tempo e risorse.

La rinuncia a un’impugnazione già proposta, invece, interviene in una fase successiva, quando il meccanismo processuale è già stato attivato. Sebbene anche la rinuncia porti alla definitività della sentenza, non è la condizione richiesta dalla norma. Secondo la Cassazione, equiparare le due situazioni significherebbe andare oltre la volontà del legislatore.

Inoltre, la Corte ha precisato che la norma si applica alla mancata impugnazione della sentenza di primo grado, mentre nel caso di specie la rinuncia riguardava il ricorso contro la sentenza di secondo grado (appello). Questo è un altro elemento che rende la fattispecie del tutto estranea all’ambito di applicazione del beneficio.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione consolida un orientamento restrittivo sull’applicazione della riduzione di pena premiale. Il messaggio è chiaro: il beneficio è riservato esclusivamente a chi, condannato in abbreviato, sceglie di non presentare alcun mezzo di impugnazione contro la sentenza di primo grado. Qualsiasi altra condotta processuale, inclusa la rinuncia a un appello o a un ricorso già depositato, non consente di accedere allo sconto di pena. Questa interpretazione mira a preservare la finalità della norma, che è quella di incentivare una rapida e totale acquiescenza alla prima decisione di condanna, massimizzando così l’efficienza del sistema processuale penale.

La rinuncia all’appello dà diritto alla riduzione di pena prevista dalla Riforma Cartabia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la norma premia unicamente la “mancata impugnazione” della sentenza di primo grado, non la “rinuncia” a un’impugnazione che è già stata presentata.

Qual è la differenza tra “mancata impugnazione” e “rinuncia all’impugnazione” per la legge?
La “mancata impugnazione” è una condotta omissiva: l’imputato decide di non agire contro la sentenza entro i termini. La “rinuncia” è un atto positivo successivo, con cui si abbandona un’azione legale già intrapresa. Solo la prima condotta dà diritto al beneficio perché evita fin dall’inizio l’attivazione del processo di secondo grado.

Il beneficio della riduzione di pena si applica se si rinuncia al ricorso in Cassazione?
No. La sentenza chiarisce che il beneficio è specificamente collegato alla mancata impugnazione della sentenza di primo grado. La rinuncia al ricorso per Cassazione, che interviene dopo la celebrazione del processo d’appello, non rientra nell’ipotesi prevista dalla legge per la concessione della riduzione di pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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