Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20130 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20130 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a CALTANISSETTA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/05/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso l’ordinanza, resa in data 8 maggio 2023 – 25 luglio 2023, con cui la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’istanza di ricusazione formulata nell’interesse di COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, magistrato in servizio presso il Tribunale di Pesaro, con riferimento al procedimento (NUMERO_DOCUMENTO), nel quale l’istante era imputato. Secondo l’istante, il AVV_NOTAIO COGNOME avrebbe avuto l’obbligo di astenersi delle attività processuali relative al citato procedimento, in quanto coniugato con persona rispetto alla quale il COGNOME vantava un credito -rimasto insoddisfatto- per una prestazione professionale specialistica. A sostegno dell’istanza di ricusazione, il COGNOME produceva copia di fattura relativa a tale prestazione. Dopo aver affermato che la circostanza dedotta dall’istante era stata espressamente negata dal AVV_NOTAIO COGNOME, la Corte territoriale ha ritenuto che la fattura commerciale è un mero documento contabile, che può fornire prova dei rapporti commerciali intercorsi tra le parti, ma non anche dell’esistenza di un credito e, dunque, neppure delle prestazioni eseguite, avendo al limite valore ch mero indizio.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai tre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge processuale e vizio di motivazione, in relazione all’art. 127 e 41, comma 3, del codice di rito, per avere la Corte territoriale violato le norme in materia di acquisizione di prove utilizzando la testimonianza de relato fornita dal AVV_NOTAIO COGNOME. Nell’ordinanza impugnata, la Corte si riferisce, infatti, a una nota, depositata dal suddetto magistrato di sua propria iniziativa presso la Corte d’appello, nella quale il magistrato negava la circostanza posta a base dell’istanza di ricusazione. Secondo la difesa, tale modalità sarebbe irrituale, in quanto, secondo le regole dettate dal codice di rito e dal codice penale, il magistrato ricusato non avrebbe facoltà di intervento né tantomeno di presentare note a chiarimento della propria posizione e di riportare dichiarazioni di terze persone (la coniuge, nel caso di specie). Se la Corte territoriale avesse voluto integrare gli elementi probatori, avrebbe dovuto chiedere ex officio informazioni alla moglie del magistrato. A supporto della propria eccezione, la difesa, argomentando ex art. 127 del codice di rito, osserva che tra i soggetti destinatari dell’avviso con cui il presidente del collegio comunica la data dell’udienza in camera di consiglio, non può ritenersi contemplato anche il ricusato. Pure a voler considerare l’iniziativa del AVV_NOTAIO un’anticipazione della
volontà della Corte territoriale, l’acquisizione della prova così ottenuta dovrebbe considerarsi affetta da nullità.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge processuale e vizio di motivazione, in relazione all’art. 36, lett. h), del codice di rito, per avere la Corte territoriale escluso che la copia della fattura prodotta dalla difesa a sostegno dell’istanza di ricusazione costituisse elemento di prova della prestazione professionale. Si deduce anche che l’unico soggetto legittimato a contestare il contenuto della fattura prodotta (e, dunque, il rapporto professione intercorso tra le parti) fosse la coniuge del AVV_NOTAIO COGNOME nella sua veste di debitore dell’imputato.
2.3 Col terzo motivo, si deduce violazione di legge processuale con riferimento al decreto del 28 marzo 2023, con cui la Corte d’appello dichiarava l’irreperibilità dell’odierno ricorrente, malgrado l’elezione di domicilio di quest’ultimo presso l’AVV_NOTAIO ai fini del procedimento penale nel quale il COGNOME era imputato. La difesa lamenta l’irritualità ch tale allegazione, in relazione agli artt. 159 e 41, comma 2, cod. proc. pen.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 41, comma 3, cod. proc. pen., prevede c:he la Corte, ai fini del decidere sul merito dell’istanza di ricusazione, abbia la Corte la facoltà di assumere, ove lo ritenga necessario, le opportune informazioni. Nel caso in esame, sebbene l’informazione contenuta nella nota proveniente dal magistrato non fosse stata richiesta dalla Corte, e quindi non acquisita dalla stessa nei precisi ranghi dello schema indicato dall’art. 127, comma 1, cod. proc. pen., essa aveva a oggetto notizie utili alla decisione nel merito della ricusazione. Pertanto, può ritenersi non decisivo lo specifico rilievo critico sul punto, illustrato dalla difesa, che lamenta la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 127 del codice di rito, ove si consideri la natura deformalizzata del procedimento in camera di consiglio. A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che «il procedimento camerale, per la sua struttura scarsamente formale, consente al giudicante di acquisire informazioni e prove, anche di ufficio, senza l’osservanza dei principi sull’ammissione della prova di cui all’art. 190 cod. proc. pen., essendo essenziale
l’accertamento dei fatti nel semplice rispetto della libertà morale delle persone e con le garanzie del contradditorio» (così, ex plur., Sez. 2, n. 3954 del 18/01/2017, Raccagno, Rv. 269250 – 01).
Né può dirsi violato il principio del contraddittorio – e d’altra parte nel ricorso non si coglie alcuna censura in tal senso – posto che il ricorrente, nel lungo arco temporale riconnpreso tra il 14.09.2022 (data del deposito presso la Corte d’appello della nota del AVV_NOTAIO COGNOME) e l’adozione dell’impugnata ordinanza (8 maggio 2023), non ha rivolto alcuna sollecitazione alla Corte territoriale affinché quest’ultima ascoltasse la AVV_NOTAIO COGNOME, coerentemente con quanto espresso nel motivo in esame.
Peraltro, a ben vedere (e come si dirà esaminando il secondo motivo di ricorso), la decisione della Corte d’appello, ben più che sulla nota – che avrebbe avuto reale incidenza solo se avesse confermato le deduzioni dell’istante – riposa sulla radicale inidoneità della fattura, quale documento unilaterale a dimostrare il fondamento del presupposto della richiesta di ricusazione.
Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato. Sono invero condivisibili gli argomenti esposti dalla Corte territoriale a proposito della inidoneità della fattura a costituire valido elemento di prova della prestazione eseguita o della esistenza e liquidità di un credito, attesa la natura unilaterale della formazione della stessa.
Ciò posto, va ribadito, come ricordato dal ricorrente stesso, che grava sul dichiarante l’onere di dimostrare i presupposti di fondatezza della richiesta (cui si correla il distinto ma speculare onere di produrre gli atti fondanti la causa di ricusazione: Sez. 5, n. 27977 del 15/06/2021, COGNOME, Rv. 281682 – 0).
3. Il terzo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Il ricorrente non lamenta un vizio nella garanzia del contraddittorio nel presente procedimento, ossia la mancata assicurazione delle garanzie partecipative di cui all’art. 127, comma 1, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 41, comma 3, dello stesso codice. Si duole, bensì, dell’esistenza di un decreto di irreperibilità presente in atti che, tuttavia, non risulta avere prodotto – in assenza di qualunque specifica doglianza sul punto – alcun effetto distorsivo nell’applicazione delle regole destinate a consentire al richiedente di far valere le proprie ragioni.
Il Collegio dichiara, pertanto, inammissibile il ricorso. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle
spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000, n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Il Presiden Così deciso in Roma, il 12/01/2024 Il Consigliere estensore