Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5254 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5254 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VARESE il 12/08/1958 COGNOME NOME COGNOME nato a AVELLINO il 29/06/1975
avverso l’ordinanza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso l’ordinanza, resa in data 2 luglio 2024, con cui la Corte d’appello di Brescia ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di ricusazione formulata nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME magistrato in servizio presso il Tribunale di Pesaro, con riferimento al procedimento (RGNR 7332/2020), nel quale gli istanti sono imputati per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Avverso l’ordinanza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure, con atto unico di ricorso, ai tre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 127 e 41 del codice di rito, per non avere la Corte territoriale fissato l’udienza camerale per la trattazione del procedimento con l’instaurazione del contraddittorio, in tal modo ledendo il diritto alla difesa degli imputati. Sussistevano infatti, ad avviso del difensore, i presupposti per non considerare l’istanza di ricusazione inammissibile prima facie. A parere della difesa, la Corte d’appello avrebbe dovuto acquisire il filmato dell’udienza, unico elemento che avrebbe potuto far luce sulle condotte tenute dal giudice e dalle parti presenti in aula. Si rimarca il patente contrasto tra il contenuto dell’impugnata ordinanza -de facto, una decisione di rigetto nel merito – e la forma esteriore della stessa (ordinanza d’inammissibilità).
2.2 Con il secondo motivo, si eccepisce vizio di motivazione in ordine alla mancata acquisizione del video dell’udienza. Nel ritenere sufficienti, ai fini della decisione, i verbali di trascrizione, la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato la censura difensiva, tesa a evidenziare la procedura non corretta della verbalizzazione.
2.3 Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione all’art. 37, comma 1, lett. b), del codice di rito. Nel valutare se il giudice avesse o meno manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto d’imputazione prima della pronuncia della sentenza, la Corte territoriale ha reso un giudizio incentrato sul solo profilo del segreto professionale invocato dall’imputato, anziché considerare i comportamenti e l’insieme delle valutazioni espresse dal giudice all’udienza dell’il dicembre 2023. In tal modo, i giudici dell’appello avrebbero erroneamente applicato al caso in esame i principi indicati dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di ricusazione ex art. 37, comma 1, lett. b), del codice di rito (Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232067 – 01), essendo le valutazioni espresse dal giudice in udienza non imposte né
giustificate dalle sequenze procedirnentali. Peraltro, non si è considerato che il giudice, con le frasi -seppur brevi- interposte durante l’esame del giornalista, ha disconosciuto il diritto al segreto giornalistico, tutelato dall’ordinamento costituzionale e da quello convenzionale. Inoltre, fin dalla fase dell’ammissione delle prove, allorché la difesa chiedeva di depositare i verbali s.i.t. dai quali poteva evincersi il corretto esercizio di cronaca, il giudice ha leso il diritto di difesa dell’imputato, negando l’ammissione dei suddetti verbali.
Sono state trasmesse a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi; b) memoria di replica nell’interesse dei ricorrenti.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili, per i motivi di seguito illustrati.
1.1 n primo motivo è inammissibile, innanzitutto per contrasto dell’assunto difensivo con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «l’inammissibilità della richiesta di ricusazione per manifesta infondatezza deve essere dichiarata con procedura camerale “de plano”, senza sentire le parti interessate in camera di consiglio, previa fissazione di udienza ed avviso, in quanto l’art. 41, comma 1, cod. proc. pen., prescrive che il collegio provveda “senza ritardo” e non richiama, al contrario del successivo comma terzo, relativo alla decisione di merito della ricusazione, le forme dell’art. 127 cod. proc. pen.» (Sez. 4, n. 42024 del 06/07/2017, COGNOME, Rv. 270770 – 01).
Ritiene inoltre il Collegio che, diversamente da quanto lamentato dai ricorrenti, la Corte distrettuale abbia correttamente individuato i presupposti per considerare l’istanza di ricusazione inammissibile prima facie, evidenziando, fin dall’incipit dell’impugnato provvedimento, come dai verbali acquisiti – trasmessi dalla parte istante stessa, e contenenti, nel dettaglio, l’esame delle parti private – fosse possibile desumere la mancata ricorrenza dell’ipotesi di anticipazione del convincimento del giudice di Bergamo sui fatti di causa in occasione dell’udienza svoltasi in data 11 ottobre 2023.
In particolare, la Corte di Brescia, valorizzando “la stringatezza delle frasi e delle interlocuzioni” tra il giudice ricusato e l’imputato NOME, che il primo stava esaminando nel corso dell’indicata udienza, ha ritenuto che non vi fosse stata alcuna anticipazione del giudizio. Tale passaggio dell’impugnata ordinanza non costituisce affatto, al contrario di quanto asserito dalla difesa, una decisione “nel merito”, essendosi la Corte d’appello limitata, con quelle parole, a motivare la propria decisione, ovverosia a dar conto delle ragioni della ritenuta manifesta
infondatezza dei motivi posti a base dell’istanza di ricusazione, senza, perciò stesso, esaminare funditus il profilo dei motivi di sospetto nutriti dai ricorrenti verso il giudice ricusato. A tal proposito, gioverà ribadire come l’obbligo della motivazione non venga certamente meno nel caso di una decisione di inammissibilità; sicché l’esistenza di una motivazione congrua non può certo considerarsi incompatibile col tenore della decisione assunta (Sez. 2, n. 27611 del 19/06/2007, Berlusconi e a., Rv. 239214, in motivazione).
Come chiarito da questa Corte (Sez. 3, n. 18043 del 26/03/2019, COGNOME, Rv. 275952 – 01, in motivazione), infatti, «l’art. 41, comma 1, cod. proc. pen. prevede espressamente che la corte competente dichiari inammissibile la dichiarazione di ricusazione, con procedura de plano, non solo nei casi in cui è stata proposta da chi non ne aveva il diritto, o senza l’osservanza dei termini o delle forme previste dall’art. 38 cod. proc. pen, ma anche quando i motivi addotti sono manifestamente infondati. Si aggiunge, richiamando precedenti conformi, che, nel caso in cui venga dichiarata l’inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi, il ricusante non può dolersi del mancato rispetto dell’art. 127 cod. proc. pen., contestando la qualificazione dell’infondatezza operata dal giudice competente sulla base della dedotta incompatibilità della formula adottata con la complessità della motivazione (Cass., sez. 6, n. 1379 del 1998; Cass., sez. 1, n. 23502 del 07/10/2003, Rv. 228124)».
Con principio che si ritiene opportuno ribadire in questa sede, deve allora affermarsi che «non sussiste incompatibilità logica tra la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di ricusazione, avanzata dall’imputato nei confronti di componenti del collegio in base a motivi manifestamente infondati, e la circostanza che il provvedimento dichiarativo, ancorché adottato “de plano”, illustri le ragioni della ritenuta manifesta infondatezza con motivazione complessa» (Sez. 3, COGNOME, Rv. 275952 – 01, cit.).
2. Il secondo motivo è inammissibile, perché aspecifico e per mancato confronto con l’impugnato provvedimento. Va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di specificità del motivo va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità per violazione dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, COGNOME, Rv. 260608 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, COGNOME, n.nn.).
Invero, il motivo in esame, per un verso, non fornisce alcuno specifico dettaglio circa gli asseriti errori nella procedura di verbalizzazione, che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare, per l’altro, non si confronta con la motivazione: la Corte distrettuale ha puntualmente replicato alla censura, affermando che la disciplina dell’udienza, per quanto “esposto dalla difesa stessa nella domanda di ricusazione”, rientrava nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Il riferimento a quanto “esposto dalla stessa difesa” rimanda proprio all’episodio, segnalato dalla difesa, del giudice che redarguiva l’imputato. Tanto premesso, la Corte distrettuale ha chiarito, in maniera argomentata e affatto esente dai dedotti vizi logici, che la copiosa produzione di verbali da parte dell’istante consentiva di replicare adeguatamente all’istanza di ricusazione, non rendendo necessario acquisire il file della registrazione dell’udienza, come richiesto dalla difesa.
Il terzo motivo è, del pari, inammissibile, avendo la Corte distrettuale correttamente applicato al caso in scrutinio il principio di diritto posto dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232067 – 01: «l’indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell’ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della “res iudicanda”, ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato»).
Per un verso – ha spiegato, infatti, la Corte d’appello – i censurati comportamenti del giudice, lungi dal celare un pregiudizio nei confronti degli imputati, devono ricondursi al legittimo potere di conduzione dell’udienza e alla fisiologica espressione di poteri istruttori (come accade allorché si limiti la lista testimoniale o si inviti al silenzio le parti presenti in aula). Né, per altro verso, può ritenersi “anticipazione del giudizio” la condotta del giudice che si limiti a sollecitare la risposta da parte dell’imputato, nel corso dell’esame dello stesso: il riferimento è alle parole del giudice, pronunciate durante l’esame del giornalista, “faccia un po’ Lei, è imputato qui”, con cui il giudice avrebbe -in tesi difensivacompulsato l’imputato, disconoscendo il diritto dello stesso al segreto giornalistico, tutelato dall’ordinamento costituzionale e da quello convenzionale. In disparte la brevità e la stringatezza delle frasi pronunciate dal giudice, evidenziate dalla Corte d’appello, quest’ultima, con motivazione esente da vizi, non ha ravvisato anticipazioni del giudizio neppure con riferimento al segreto istruttorio (richiamando il quale -in tesi difensiva- il giudice si sarebbe sbilanciato
a favore della parte civile). Invero, dalle citazioni delle trascrizioni riportate dalla difesa stessa (v. p. 6-7 del ricorso), non può che condividersi la valutazione della Corte territoriale, non risultando che il giudice abbia né infierito né insistito in maniera particolarmente incalzante sul profilo del possibile segreto istruttorio. Infatti, i passaggi riportati dai ricorrenti consegnano uno scenario affatto diverso, in cui un giudice pone domande del tutto pertinenti rispetto ai fatti di causa oggetto del procedimento davanti al Tribunale di Bergamo. Le censure difensive sono, pertanto, inammissibili, attesa la sussistenza -correttamente individuata dalla Corte d’appello- del collegamento funzionale tra l’esternazione del giudice e la funzione dallo stesso correttamente esercitata nella specifica fase procedimentale (cfr., ad es., Sez. 6, n. 43965 del 30/09/2015, Pasi, Rv. 264985 – 01, in cui la Corte, in applicazione del principio già citato, ha ritenuto che correttamente fosse stata esclusa la sussistenza della causa di ricusazione in questione in relazione alla condotta del Presidente del Collegio che aveva rivolto ad un teste ripetute ed incalzanti domande su una circostanza di rilievo relativa ad una complessa vicenda processuale).
Il Collegio dichiara, pertanto, inammissibili i ricorsi. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 11/11/2024
Il consigliere estensore
Il presidente