Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5137 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5137 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
TCP.22 4
sul ricorso proposto da’ COGNOME NOME NOME NOME ROSOLINI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
udta la relazione svolta da! Consigliere COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del E 5 G GLYPH L k
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 maggio 2023 la Corte d’appello di Catania ha rigettato la richiesta di ricusazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della dottoressa COGNOME, ritenendo insussistenti le tassative fattispecie previste dall’art. 37 cod. proc. pen.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME, AVV_NOTAIO, ripercorrendo le vicende processuali, contestando la legittimità delle decisioni processuali assunte dalla dottoressa COGNOME, lamentando il difetto di imparzialità della stessa, contestando il carattere tassativo delle fattispecie di cui all’art. 36-37 del codice di rito e lamentando, altresì, l’esercizio da parte del giudice di una potestà non consentita ai pubblici poteri. Dopo COGNOME ampiamente e reiteratamente illustrato le illegittimità che sarebbero state consumate nel processo a carico del COGNOME, ritenute indice di abusi che vanno oltre la grave inimicizia verso l’imputato, il ricorso giunge a lamentare la violazione degli artt. 41 e 47 CDFUE nonché dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo con riserva di formulare richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.La difesa non indica alcun elemento necessario, ex art. 37 c.p.p., ai fini della ricusazione, essendo il ricorso fondato unicamente sui provvedimenti che il giudice ha adottato ed unicamente sulla base di essi si assume che le condotte che esprimono, depongano per la certa mancanza di terzietà ed imparzialità del giudice oggetto di ricusazione, che si sarebbe spinta oltre la stessa ipotesi della grave inimicizia.
Anzi, a ben vedere, l’istanza di ricusazione cita una serie di provvedimenti, ritenuti parimenti illegittimi, che non sono neppure riconducibili alla dottoressa COGNOME, che è il giudice oggetto di ricusazione (e parimenti fa in buona sostanza anche il ricorso in scrutinio che finisce col travolgere, nella medesima ottica, la stessa decisione della Corte di appello che ha rigettato la ricusazione).
Se si legge l’istanza di ricusazione ci si avvede che questa, di là della congerie di inadempienze, di violazioni di legge e di ingiustizie elencate, tende – come d’altronde il ricorso che ripropone i temi nonostante il vaglio coerente, logico ed
adeguato svolto nel provvedimento impugNOME – a ricostruire uno spaccato di illegittimità che avrebbero contrassegNOME il procedimento a carico dell’istante già a partire dalla fase delle indagini preliminari e avrebbero avuto, tutte, in buona sostanza, di mira il COGNOME, integrando un quadro d’insieme che andrebbe oltre la mera inimicizia di cui all’art. 37 comma 1 lett. a), rientrando nella tutela preminente del principio di cui all’art. 97 e 25 Cost.
Ciò che contrassegna di inammissibilità il ricorso in scrutinio sono, prima ancora degli aspetti che involgono la questione della grave inimicizia, qui riproposta in maniera generica, le stesse modalità di impostazione dell’impugnazione proposta.
Ed invero, il difensore si duole, innanzitutto, della mancata assunzione di una prova decisiva (con riferimento a: assunzione delle prove testimoniali, video registrazione, accertamenti presso RAGIONE_SOCIALE di commercio e conservatoria, acquisizione di fascicoli processuali ed iscrizione del padre delle , COGNOME COGNOME al n. NUMERO_DOCUMENTO nel registro dei mafiosi).
La difesa afferma di COGNOME depositato lista testimoniale illecitamente rigettata perché ritenuta tardiva, circostanza che avrebbe impedito ogni istruttoria dibattimentale in evidente violazione del diritto di difesa e del contraddittorio nonché dell’art. 495, comma 2, c.p.p., non avendo l’autorità giudiziaria evidentemente diversa da quella oggetto di ricusazione – neppure disposto l’interrogatorio formale richiesto ex art. 4I5-bis, comma 3, c.p.p. delegando, come avrebbe potuto e dovuto, la Polizia Giudiziaria di Roma per l’assunzione in luogo di quella di Catania.
In tal modo il giudice avrebbe evitato di decidere e motivare, nel merito, sui reali esiti che sarebbero emersi dall’assunzione di tali prove, ove ammesse, incorrendo nella parzialità.
Lamenta, altresì, la difesa – non solo, come si dirà, nell’ottica di screditare le decisioni assunte dal giudice e di tacciarlo di mancanza di imparzialità ma anche proprio per far valere quei vizi nel presente procedimento – la violazione ex art. 606, ce. 1, lett. b) c.p.p. deducendo error in iudicando, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 36 e 37 c.p.p. in coordiNOME disposto con gli artt. 3-2425-97-101 e 111 Cost. e degli artt. 6-13 -14 e 47 Cedu e degli arti 41-47-4852-53 e 54 CDFUE, per non COGNOME il Giudice neppure pronunciato sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. per carenza della condizione di procedibilità querela ex ari 597 c.p. – mancando le querele delle COGNOME NOME e NOME COGNOME, oltre che dei signori NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, questi ultimi due non costituitisi neppure parti civili, e, quindi, per la riforma Cartabia, mai presentatisi in giudizio con conseguente tacito assenso a non voler perseguire alcuno.
Si duole ancora della violazione ex art. art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p. per mancata, contraddittoria o manifesta illogicità della motivazione in coordiNOME disposto con gli arti 97 e 111 Cosi. e artt. 41 e 47 CDFUE, nonché dell’art. 6 CEDU, per violazione della imparzialità e terzietà dell’agere amministrativo e denegato ricorso effettivo alla giustizia sia da parte del Giudice ricusato sia da parte del Collegio definito “ricusante” della Corte di Appello.
Lamenta altresì la violazione dell’art. 606, co. 1, lett. e) c.p.p., inosservanza delle norme procedurali di cui agli artt. 415-bis, comma 3, 416 c.p.p. e violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, con conseguente nullità ex art. 178, cc. 1, lett. e), e 179 c.p.p. per non COGNOME il giudice rimesso nel termine la difesa e diniegato la lista testimoniale, regolarmente depositata, impedendo anche l’assunzione dei testimoni ex ad. 507 c.p.p., con conseguente accertata mancata imparzialità e terzietà del Giudice ricusato in violazione dei principi di cui all’unanime orientamento delle SS.UU. reso con la nota sentenza n. 24630/2015.
Lamenta, infine, la violazione dell’art. 606 lett. a) c.p.p., per l’esercizio da part del Giudice di una potestà non consentita ai pubblici poteri.
Il difensore si duole, dunque, innanzitutto, di vizi che avrebbero inficiato gli atti del procedimento che nel ricorso in scrutinio vengono dedotti, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. nelle sue diverse declinazioni, come vizi propri del procedimento penale che vede imputato il COGNOME, tant’è che sulla base di essi, nella parte conclusiva del ricorso, si chiede – per ragioni di economia processuale ed inosservanza del principio di carenza dei pur minimi elementi di colpevolezza stante la prova certa e inconfutabile dell’assoluta infondatezza e calunniosità delle accuse secondo la riforma Cartabia (così testualmente ir ricorso) – oltre che l’annullamento o la declaratoria di nullità o inammissibilil:à del decreto di rigetto impugNOME, in subordine, nel merito, emettere sentenza di assoluzione piena perché il fatto non sussiste e/o perché non costituisce reato per i fatti nei confronti di COGNOMECOGNOME COGNOME, COGNOMECOGNOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, mancando la condizione di procedibilità, e sentenza di assoluzione piena per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato nei confronti di NOME COGNOME in osservanza delle prove documentali, in ulteriore subordine e sempre nel merito, pronunciare la nullità assoluta e/o insanabile del processo per le succitate gravi e reiterate violazioni di legge.
Evidente è la sovrapposizione di piani – quello afferente la responsabilità penale e quello che riguarda più propriamente la ricusazione – che inammissibilmente è stata in tal modo creata, finendo il ricorso per concentrarsi sui vizi che affliggerebbero i provvedimenti adottati dai giudici, in particolare quelli della dottoressa COGNOME, proiettati nell’ottica di una pretesa – non solo inammissibile
ma proprio impossibile – di pronuncia nel merito del giudizio penale in corso o di annullamento di quegli atti da parte di questa Corte, chiamata a pronunciarsi unicamente su un provvedimento di rigetto della richiesta di ricusazione.
Sicché, distinti i due piani, rimangono le illegittimità denunciate che nell’ottica difensiva si sarebbero tradotte in degli abusi del potere giudiziario da parte del giudicante espressamente ricondotti all’ipotesi della grave inimicizia e del grave pregiudizio mediante il richiamo degli artt. 37 comma 1 lett. a) c.p.p. e 36 comma 1 lett. c) e d) c.p.p. (per essersi, ad esempio, il giudice inventato “una norma per dare effetto estensivo ad una querela ed in violaz’one dell’art. 497 cod. pen. procedesse ancora stalkerizzando il povero imputato ma/capitato sotto al suo arbitrio, per condannano, esistendo ex art. 476 cod. proc. pen. l’obbligo per il PM che “Quando viene commesso un reato in udienza, procede a norma di legge, disponendo l’arresto dell’autore nei casi consentiti”, arrivando finanche la difesa della presunta persona offesa ex AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, a concorrere col PM inquirente il Pm dell’udienza ed il giudice nel confermare l’esistenza di tale fantomatica norma estensiva M!” (così testualmente in ricorso); e su tali basi si conclude che tale condotta, invece di essere giustamente redarguita, ponendole una battuta di arresto, veniva finanche agevolata dal collegio della Corte di appello che rigetl:ava la promossa ricusazione; e si giunge a ravvisare un concorso del Collegio che ha rigettato la ricusazione negli illeciti abusi di diritto del giudice ricusato COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME legittimo e lecito l’agere della dottoressa COGNOME COGNOME non aveva assunto le prove a discarico, aveva falsato la verità processuale, travisando gravemente i fatti sino ad inventarsi un effetto estensivo della querela della sola NOME COGNOME, attribuendosi in definitiva un potere illecito ben più grave di un mero pregiudizio di non imparzialità e terzietà, che veniva COGNOME invece lecito dal collegio della ricusazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ebbene, rispetto a tali profili, il provvedimento impugNOME ha già esaurientemente osservato – dopo aver con chiarezza operato un’opera di sintesi delle questioni agitate raggruppandole per gruppi – come di là delle illegittimità denunciate non sia stata posta sul tappeto – neppure in quella sede – alcuna delle ipotesi di ricusazione tassativamente previste dall’art. 37 c.p.p.
Ha in particolare osservato il provvedimento impugNOME che il ricusante non ha prospettato ipotesi per la quali il giudice COGNOME abbia un qualche interesse nel processo o se una delle parti o un difensore di esse è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli; né risulta che il giudice COGNOME sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti o se il difensore, procuratore o curatore di una delle parti sia prossimo congiunto di lui o del coniuge; né è dato sapere, anche perché il ricusante neppure lo afferma, se il giudice in parola ha
dato consigli o manifestato il suo parere sul processo, fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, né vi è prova alcuna di una inimicizia grave tra detto decidente, o un suo prossimo congiunto, e una delle pari private, ovvero, che qualcuno, dei prossimi congiunti, di esso giudice o del coniuge, sia offeso o danneggiato dal reato o da una parte privata. Ed ancora, si evidenzia nel provvedimento impugNOME che il ricusante non afferma o dimostra che un prossimo congiunto del giudice COGNOME o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero nel caso di specie. Né è mai neppure prospettato, comunque dimostrato dal ricusante, che il giudice si trovi in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi ordinamento giudiziario o che sussistano altre gravi ragioni di convenienza (se non nelle mere affermazioni del tutto sfornite di prova) o comunque ricorrano questioni non emendabili con gli ordinari strumenti di gravame offerti dall’ordinamento giuridico; ed infine non si è neppure nella ipotesi in cui sia stata pronunciata sentenza e il giudice abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto di imputazione.
Su tali basi, osservando che le ipotesi di ricusazione indicate dall’articolo 37 sono tassative e non esemplificative, il collegio territoriale ha rigettato l’istanza d ricusazione.
Questa Corte non può che rilevare che il provvedimento impugNOME fa buon governo dei principi espressi in materia di ricusazione, verificando e considerando la assenza dei presupposti costitutivi alla base dell’istituto della ricusazione richiesti ex art. 37 c.p.p.
L’inimicizia grave come motivo di ricusazione deve, invero, sempre trovare riscontro in rapporti personali estranei al processo ed ancorati a circostanze oggettive, mentre, invece, la condotta endoprocessuale può assumere rilievo solo quando presenti aspetti talmente anomali e settari da costituire sintomatico momento dimostrativo di una inimicizia maturata all’esterno (cfr. ex multis Sez. 5, n. 5602 del 21/11/2013 – dep. 04/02/2014, COGNOME, Rv. 25886701, in applicazione del principio, questa Corte ha precisato che le decisioni prodromiche a quelle sulla colpevolezza o sull’innocenza – quali quelle in materia di ammissione o revoca delle prove, ovvero di rigetto di richieste di definizione anticipata del giudizio ex artt. 129 cod. proc. pen., ovvero, ancora, di ammissione delle parti civili, di rigetto di richieste di rinvio o di fissazione udienza straordinarie – esulano dal concetto di inimicizia grave, così come da quello di anticipazione indebita del proprio convincimento da parte del giudice).
Anche nel caso di specie si è trattato in realtà di decisioni di tipo processuale, né sono stati evidenziati ulteriori specifici comportamenti che hanno accompagNOME l’adozione di esse indicativi di una inimicizia nei termini indicati dalla
giurisprudenza di questa Corte che questo collegio ritiene di condividere e qui ribadire.
Questa Corte ha sempre affermato che la natura eccezionale del rimedio comporta che i casi di ricusazione siano tassativi, in quanto limitativi dell’esercizio del potere giurisdizionale e della normale capacità processuale del soggetto titolare dell’ufficio giurisdizionale, non solo nel senso che non possano essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la stessa interpretazione debba essere soltanto letterale, con esclusione di quella estensiva. Le disposizioni che prevedono le cause di ricusazione hanno carattere eccezionale e, come tali, sono di stretta interpretazione, sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità del giudice, sia perché consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice (Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, COGNOME Marco, Rv. 272845).
Si aggiunge per completezza che è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di ricusare il giudice in presenza delle “gravi ragioni di convenienza” previste quale mera causa di astensione dall’art. 36, comma primo, lett. h), cod. proc. pen., essendo tale differenziazione finalizzata ad attuare una tutela ad incisività crescente del principio di precostituzione, ricollegando la ricusazione ai soli casi di un oggettivo deficit di imparzialità del giudice e relegando invece le “gravi ragioni personali” – aventi connotati di indeterminatezza – alla sola astensione, in tal modo consentendo al giudice di dar rilievo anche a motivi personali, in concreto idonei ad incidere sulla percezione della propria imparzialità da parte dello stesso giudicante (Sez. 6, Sentenza n. 44436 del 04/10/2022, Rv. 284151 – 02).
In particolare, è necessario che il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, deve essere reciproco e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa COGNOME frutto di mancanza di serenità (cfr. ex multis, Sez. 6, n. 22540 del 13/03/2018, RV. 273270).
In definitiva, in linea generale, gli aspetti anomali e settari non possono pertanto consistere in alcune seppur discutibili “scelte operate dal giudice nella gestione del procedimento, le quali riguardano aspetti interni al processo e che possono essere risolti con il ricorso ai rimedi apprestati dall’ordinamento processuale e non già con l’istituto della ricusazione” (cfr. per tutte, Sez. 5 n. 3756 del 16.12.2004, rv. 231399, in applicazione di tale principio questa Corte ha COGNOME
corretto il rigetto dell’istanza di ricusazione fondata sulla mera condotta endoprocessuale del giudice e ravvisata nella mancata considerazione del materiale difensivo, nell’eliminazione di documenti dal fascicolo dibattimentale senza l’intervento della difesa ed infine nella negazione del diritto dell’imputato all’autodifesa).
Pertanto, le censure proposte dal ricorrente, oltre che risolversi, in buona sostanza, nella sollecitazione di un’inammissibile riconsiderazione del compendio processuale acquisito nel processo penale, richiedendo a questa Corte addirittura una pronuncia nel merito della regiudicanda, compendio peraltro già valutato dalla Corte territoriale che si è giustamente attenuta alla considerazione dei profilo dell’oggetto del procedimento instaurato che è, appunto, quello della ricusazione, si appalesano essere generiche in quanto non conducenti ai fini prospettati, e per tutti tali motivi si appalesano inammissibili.
Il ricorso si sarebbe, piuttosto, dovuto concentrare sulle ragioni eventualmente esistenti della grave inimicizia ovvero sulle ragioni sottostanti alle illegittimit denunciate, laddove ciò di cui si duole la difesa trova, piuttosto, la sua adeguata sede nell’ambito dei rimedi impugNOMEri che la legge assicura all’imputato che assume di essere stato leso da illegittimi provvedimenti del giudice; rimedi impugNOMEri che costituiscono in definitiva, innanzitutto, essi, lo strumento apprestato dall’ordinamento per garantire il corretto andamento della pubblica amministrazione assicurando, essi, sul versante giurisdizionale, il controllo sul corretto esercizio della pubblica funzione, salva la dimostrazione di aspetti che esulano dalla fisiologia del sistema.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugNOMErio, ai versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 4.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/12/2023.