Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36758 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36758 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a MATERA il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a ALTAMURA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letti i ricorsi e le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, la quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Ricorsi trattati ai sensi dell’art. 611 c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del 7 marzo 2024 con cui la Corte di appello di Potenza ha dichiarato de plano inammissibile la dichiarazione di ricusazione dagli stessi presentata nei confronti dei giudici del Tribunale di Matera, dinanzi al quale si sta svolgendo il processo che li vede imputati di alcune ipotesi di autoriciclaggio.
I ricorrenti, con un unico atto di impugnazione, lamentano la violazione degli artt. 38, comma 3, e 41, commi 1 e 3, cod. proc. pen, nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà interna ed esterna della motivazione.
La difesa richiama, anzitutto, le ragioni poste a fondamento della ricusazione, ravvisabili nel fatto dell’essersi l’intero collegio del dibattimento già espresso nel fase incidentale cautelare quale Tribunale del riesame che, ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello degli imputati avverso il dissequestro dei beni (assoggettati a sequestro preventivo per equivalente ai fini della confisca obbligatoria).
Si sostiene che Tribunale cautelare, nel rigettare l’appello, abbia espresso un giudizio anticipato sul merito della res iudicanda, sulla ricorrenza del profitto riguardo ai reati di autoriciclaggio contestati agli imputati, avendo testualmente affermato «che è evidente che il provento del reato di autoriciclaggio è correttamente identificato con il valore dell’operazione di volta in volta effettuata impiegando il denaro provento del delitto di cui all’art. 640-bis cod. pen., che è cosa ben diversa dal far coincidere il provento del reato di autoriciclaggio con quello del reato presupposto».
Ancor più pregnante ai fini del lamentato pregiudizio, si afferma, è la parte di decisione – che anticiperebbe il merito – in cui il Tribunale “si spinge perfino ritenere consumato il reato ascritto agli imputati allorché si esprime senza dubbi di sorta sulla ricorrenza del reimpiego del provento della truffa in attività divers in operazioni descritte nei capi di imputazione che hanno determinato una modifica della intestazione soggettiva dei beni”.
Rileva, poi, come non pertinenti siano le ragioni addotte a sostegno dell’inammissibilità, avendo la Corte di appello fatto riferimento alla circostanza che la valutazione cautelare fosse stata espressa in altro procedimento, non avvedendosi, invece, che si trattava della medesima vicenda processuale.
Parimenti inconferente era il richiamo all’orientamento giurisprudenziale citato a pag. 3 del provvedimento impugnato, in quanto attinente al differente ambito che involge la valutazione del Gup.
Si lamenta, infine, che erroneamente l’istanza di ricusazione è stata ritenuta inammissibile per l’omesso deposito dell’atto pregiudicante (ossia l’ordinanza adottata con cui il Tribunale del riesame ha rigettato l’appello cautelare), per un verso perché si tratta di mero errore materiale (per una svista veniva allegata una diversa ordinanza, emessa nei confronti dei medesimi ricorrenti dal Tribunale in sede di appello cautelare il 26 aprile 2023, con collegio composto soltanto da due dei giudici ricusati), per altro verso, perché nel testo dell’istanza di ricusazione e stato comunque riprodotto il passo decisivo ritenuto anticipatorio della decisione di merito (sulla ricorrenza dei reati di autoriciclaggio e sulla legittimità provvedimento di sequestro preventivo), infine perché si tratta di atto “che già rientrava nella disponibilità dell’amministrazione della giustizia”.
Ciò avrebbe imposto alla Corte di merito di procedere ex officio alla relativa acquisizione, attivando i poteri istruttori mediante la procedura partecipata, ad onta invece di quella de plano seguita, trattandosi di atto dello stesso procedimento.
3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME, con requisitoria del 28 giugno 2024, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. La dichiarazione di ricusazione si fonda sull’avere il collegio giudicante di merito in precedenza pronunciato in sede di riesame, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., l’ordinanza reiettiva dell’appello cautelare sul diniego di svincolo de beni di proprietà dei ricorrenti, assoggettati a sequestro preventivo per equivalente, finalizzato alla confisca obbligatoria.
Secondo la difesa, il Tribunale del riesame, composto dagli stessi giudicati ora chiamati a giudicare gli imputati, in forza della decisione sull’appello cautelare avrebbe manifestato un evidente convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, per le contestate ipotesi di autoriciclaggio, in quanto, a prescindere dalla forma di ordinanza del provvedimento, quel giudice ha svolto un non secondario esame dei presupposti applicativi del vincolo ablatorio «che non può non integrare gli estremi del giudizio, rilevante ai fini dell’art. 34 cod. proc. pen. o quantomeno le grav ragioni di convenienza di cui all’art. art. 36, comma 1, lett. h) cod. proc. pen.» (v pag. 5 dell’impugnazione).
In particolare, si lamenta che il giudice dell’incidente cautelare abbia espresso un giudizio anticipato nel merito, sulla ricorrenza del profitto riguardo ai reati autoriciclaggio contestati agli imputati, nella parte motiva in cui testualmente afferma che «è evidente che il provento del reato di autoriciclaggio è
correttamente identificato con il valore dell’operazione di volta in volta effettuata impiegando il denaro provento dei delitto di cui all’art. 640-bis cod. pen., che è cosa ben diversa dal far coincidere il provento del reato di autoriciclaggio con quello del reato presupposto».
Ancor più pregnante e definitiva, adduce la difesa, è la decisione, che anticipa il merito, in cui il Tribunale cautelare si spinge perfino a ritenere consumato il reato ascritto agli imputati allorché si esprime senza dubbi di sorta sulla ricorrenza del reimpiego del provento della truffa in attività diverse.., in operazioni descritte ne capi di imputazione che hanno determinato una modifica della intestazione soggettiva dei beni.
Tanto premesso, va anzitutto affrontato il tema della corretta qualificazione dell’istanza di ricusazione.
Le situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità del giudice riconducibil all’istituto dell’incompatibilità (art. 34 cod. proc. pen.) operano, infatti, all’in del medesimo procedimento in cui interviene la funzione pregiudicata e si riferiscono ad atti o funzioni che hanno di per sé effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell’atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è stata esercitata (Corte cost., sentenza n. 308 del 1997); le incompatibilità trovano, dunque, la loro ratio nell’esigenza obiettiva, attinente alla stessa logica del processo, di preservare l’autonomia e la distinzione della funzione giudicante, in evidente relazione all’esigenza di garanzia dell’imparzialità di quest’ultima, rispetto ad attività compiute in gradi e fasi anteriori del medesimo processo (Corte cost., sentenza n. 306 del 1997).
Ne deriva che le situazioni di incompatibilità, essendo astrattamente tipicizzate dal legislatore, sono prevedibili e quindi prevenibili e, in quanto ta postulano un onere di organizzare preventivamente la terzietà del giudice, che viene così a manifestarsi, prima ancora che come diritto delle parti ad un giudice terzo, come modo di essere della giurisdizione nella sua dimensione oggettiva (Corte cost., sentenza n. 307 del 1997).
Gli istituti della astensione-ricusazione sono, invece, caratterizzati dal riferir a situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità della funzione giudicante – ad eccezione, evidentemente, di quelle che hanno come presupposto i casi di incompatibilità – che normalmente preesistono al procedimento (art. 36, comma 1, lettere a, b, d, e, f, cod. proc. pen.), ovvero si collocano comunque al di fuori di esso (art. 36, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.).
Anche l’ipotesi di ricusazione descritta dall’art. 37, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. non si sottrae a questo criterio di massima: il giudice che nell’esercizio delle funzioni ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione opera – per usare le espressioni della prevalente
giurisprudenza di legittimità – fuori della sede processuale e dei compiti che gli sono propri.
Quanto, poi, alla disposizione di cui all’art. 36, comma 1, lett. h) cod. proc. pen., va ribadito che le esigenze di tutela del principio del giusto processo non possono essere assicurate soltanto dall’obbligo del giudice di astenersi ove ricorrano “altre gravi ragioni di convenienza”, per la ragione che tale causa di astensione, prevista dall’art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., non rientra tra quelle che l’art. 37, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. indica tra i motivi ricusazione e, pertanto, sotto tale aspetto l’istanza si palesa inammissibile.
Anche dopo che la Corte costituzionale ha affermato che le “altre gravi ragioni di convenienza” si riferiscono non solo a situazioni di pregiudizio per l’imparzialità del giudice derivanti da ragioni extraprocessuali, cioè di carattere personale e collegate alla posizione del giudice uti privatus, ma si estendono, in attuazione del principio del giusto processo, ai casi in cui l’imparzialità del giudice risu compromessa dallo svolgimento di precedenti attività giudiziarie (sentenza n. 113 del 2000), la tutela del principio non sarebbe comunque esaustiva, in quanto subordinata all’iniziativa del giudice.
Escluso, dunque, qualsiasi diretto rilievo alla lamentata violazione dell’art. 36, comma 1, lett. h) codice di rito, il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità giudice lamentato dalla difesa mediante il richiamo dell’art. 34 cod. proc. pen. non è riconducibile, per le ragioni sinora esposte, ai casi di incompatibilità (cui riferimento, quali altrettante cause di astensione, la lettera g del comma 1 dell’art. 36 cod. proc. pen., richiamata dall’art. 37, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.), posto che la Corte costituzionale ha più volte escluso, sotto tale profilo, che l’adozione di provvedimenti cautelari, pur nelle fasi incidentale di riesame, abbiano di per sé effetto pregiudicante sulla funzione di giudizio, attesa la differente natur degli ambiti di cognizione per come stabilita dal legislatore (ex multis: Corte cost., ordinanze nn. 181/2004 e 444/1999; sentenze nn. 48/1994, 66 e 308/1997; ordinanze nn. 203/1998 e 29/1999; v. anche sulla diversa natura del giudizio cautelare rispetto a quello di merito sentenza n. 91/2003).
La dichiarazione di ricusazione, però, pur richiamando l’art. 34 del codice di rito in relazione all’art. 36, comma 1, lett. h), si fonda sul fatto che i giudici passaggi motivazionali della reiezione dell’appello cautelare, si sarebbero spinti con argomenti di evidenza – a valutazioni foriere di dirette ricadute sulla sussistenza della res iudicanda. Un pregiudizio, dunque, che deriverebbe dalla forza della prevenzione che detto provvedimento, reso in una fase incidentale del procedimento, assumerebbe rispetto alla decisione che quello stesso giudice collegiale è chiamato a adottare in punto di responsabilità penale.
Un tema ben esplorato dalla giurisprudenza costituzionale che ha portato il Giudice delle Leggi a dichiarare costituzionalmente illegittimo, con sentenza n. 283/2000, l’art. 37 codice di rito nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto; nonché dalla giurisprudenza di legittimità che ha sussunto nell’alveo dell’art. 37, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., le ipotesi in cui il giudice ha anticipa valutazioni sul merito della “res iudicanda”, ovvero sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato in ordine ai fatti oggetto del processo, compiuta, sia all’interno de medesimo procedimento che in un procedimento diverso, senza che tali valutazioni siano imposte o giustificate dalle sequenze procedimentali previste dalla legge o allorché esse invadano, senza necessità e senza nesso funzionale con l’atto da compiere, l’ambito della decisione finale di merito, anticipandone in tutto o in parte gli esiti (sul tema v. Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232067 – 01).
Ma ciò che rileva – e di ciò dà atto la stessa P.G. nella requisitoria – è che la soluzione del caso posto dall’odierna impugnazione, alla luce dei principi sinora enunciati, passa attraverso la necessaria verifica in concreto del contenuto della valutazione operata dal giudice della cautela reale, chiamato a comporre il collegio decidente di merito.
Ebbene, la Corte d’appello ha affermato l’impossibilità di procedere ad una verifica in concreto sull’incidenza della valutazione compiuta in fase cautelare dal Tribunale del riesame di cui erano componenti i giudici dibattimentali ricusati dagli imputati, considerato che i ricusanti non hanno allegato il provvedimento pregiudicante.
Di ciò si duole la difesa dei ricorrenti, facendo leva di avere comunque esattamente indicato il provvedimento nell’elenco degli allegati, avendone trascritto dei passaggi ritenuti forieri del vulnus di imparzialità.
Lungi dal potersi ritenere mero errore materiale l’avere allegato un provvedimento diverso da quello che asseritamente costituisce causa di incompatibilità, la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato, ha affermato che «E’ inammissibile la dichiarazione di ricusazione alla quale non sia allegata la documentazione a sostegno dei motivi addotti o, nel caso in cui assumano rilievo atti del medesimo procedimento penale, degli atti fondanti la causa di ricusazione» (Sez. 5, n. 27977 del 15/06/2021, NOME, Rv. 281682 – 03).
Alla dichiarazione di ricusazione va, infatti, GLYPH riconosciuto carattere rigorosamente formale per quanto attiene sia ai termini che alle modalità di presentazione e dunque anche con riguardo all’allegazione della documentazione
a sostegno dei motivi addotti (Sez. 5, n. 49466 del 16/09/2019, Aloe, Rv. 277654; Sez. 6, n. 4856 del 21/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262052); sicché la sanzione di inammissibilità, che l’art. 41, comma 1, cod. proc. pen. fa discendere dal mancato rispetto dell’art. 38, comma terzo, cod. proc. pen., si applica anche come conseguenza della mancata produzione dei documenti idonei a comprovare l’esistenza della causa di ricusazione ovvero dei presupposti legittimanti l’esercizio di tale strumento processuale (Sez. 1, n. 7890 del 28/01/2015, Acri, Rv. 262324).
Quanto alla possibilità che il collegio della ricusazione assumesse d’ufficio le informazioni o la documentazione necessaria ai sensi dell’art. 41, comma 3, cod. proc. pen., – continua tale pronuncia – essa va esclusa perché l’esercizio di tale prerogativa presuppone che sia già stato completato, con esito positivo, lo scrutinio di ammissibilità della dichiarazione del ricusante, nella specie precluso dalla mancata allegazione (Sez. 5, Aloe, cit.; Sez. 6, n. 2949 del 16/12/2009, dep. 2010, Tomasello, Rv. 245809; Sez. 6, n. 39902 del 10/10/2008, NOME, Rv. 241485).
Con riferimento, poi, all’osservazione della difesa sul fatto che la sanzione di inammissibilità non può discendere dalla mancata allegazione degli atti del procedimento all’interno del quale la dichiarazione stessa è proposta, la tesi non può essere condivisa; in questo senso può essere utilmente richiamato quanto affermato da Sez. 5, Aloe, cit., secondo cui il principio agitato dai ricorrenti, arresti più risalenti di questa Corte, era stato affermato con riferimento ad «atti specificamente indicati a verbale, nei loro estremi, all’atto della formulazione dell’istanza, dei quali era stato lo stesso giudice procedente a disporre la trasmissione alla Corte territoriale unitamente all’istanza stessa» (Sez. 4, n. 38609 del 04/07/2017, COGNOME, non massimata), circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame.
Né a conclusioni diverse può condurre Sez. 1, n. 42150 del 26/09/2012, NOME, Rv. 253811 – cui si riferiscono le parti ricorrenti -, che ha affermato il principio senza correlarlo ad una specifica riflessione.
Del resto, neppure sfornita di rilievo risulta l’affermazione contenuta nella requisitoria della P.G. ove sottolinea che, anche a voler valorizzare le parti del provvedimento pregiudicante riportato nel testo dell’istanza di ricusazione e riprodotto nel testo dell’odierna impugnazione, non è dato ravvisare alcun giudizio sulla colpevolezza degli imputati, bensì, unicamente, una valutazione sulla corretta identificazione del quantum del reato di autoriciciaggio nella forma consumata, alla luce anche degli esiti cautelari sia di carattere personale che reale intervenuti nel corso del procedimento e richiamati dal provvedimento reiettivo dell’appello.
In conclusione, i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 10 settembre 2024.