Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10168 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10168 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a L’AQUILA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/07/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta presentata dal Sostituto Procuratore generale dell Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11 luglio 2023 la Corte di appello di L’Aquila ha dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondata, la dichiarazione di ricusazione del G.u.p. del Tribunale di L’Aquila, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, presentata nell’interesse di NOME COGNOME.
Avverso il provvedimento collegiale il difensore del COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, formulando un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.) con il quale sub specie dell’art. art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – ha denunciato la violazione degli artt. 36, 37 e 38, comma 2, cod. proc. pen.
Il ricorrente ha rappresentato che:
la NOME COGNOME, all’udienza preliminare del 28 giugno 2023, a fronte della richiesta di applicazione pena del COGNOME (e del relativo consenso del Pubblico ministero) ne ha separato la posizione da quella del coimputato (per il quale aveva luogo la discussione delle parti); dunque, dopo aver dichiarato chiusa la discussione (e dopo la trattazione di altri procedimenti), rientrata in aula, ha rigettato la richiesta di applicazione della pena «in ragione della particolare gravità dei plurimi fatti» ascritti all’imputato, ha “riaperto discussione (cui hanno partecipato il Pubblico ministero e un difensore reperito ex art. 97,comma 4, cod, proc, pen.), disponendo dunque il rinvio a giudizio del COGNOME, senza riunire il procedimento a quello dal quale era stato separato e senza dare avviso alle parti;
nell’interesse dell’imputato è stata, dunque, presentata dichiarazione di ricusazione e la Corte di appello, nonostante le riportate cadenze processuali, l’avrebbe erroneamente dichiarata inammissibile (negando l’incompatibilità del G.u.p. sulla scorta di Sez. 3, n. 20744 del 04/02/2016, B., Rv. 266567 – 01), non considerando: che il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha radicalmente mutato i parametri di valutazione che deve impiegare il giudice dell’udienza preliminare e che la valutazione della AVV_NOTAIO COGNOME, nella specie, sarebbe stata irrimediabilmente pregiudicata dal «pregresso accertamento, ad opera dello stesso Giudice, della “particolare gravità dei plurimi fatti”» contestati ricorrente; che, dopo la formale separazione (a seguito della richiesta di applicazione della pena e del consenso del Pubblico ministero) della posizione dell’imputato, si era instaurato un procedimento speciale distinto dall’udienza preliminare, dunque il provvedimento di diniego dell’applicazione della pena non può essere ritenuto «endofasico».
In subordine è stata prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24 e 25 Cost. nonché con
l’art. 10 Cost. in relazione agli artt. 6 Carta E.D.U. e 111 Cost. nella parte in cu non prevede che il giudice dell’udienza preliminare che abbia rigettato la richiesta di applicazione della pena dell’imputato non possa pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio dello stesso imputato.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso, rappresentando che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il rigetto della richiesta d patteggiamento non determina l’incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare a pronunciare il decreto che dispone il giudizio (cfr. Sez. 3, n. 20744/2016, cit., nonché Sez. 5, n. 4813 del 18/10/2022 – dep. 2023, Nataloni, Rv. 284218 – 01).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in ragione dell’inammissibilità della dichiarazione di ricusazione, avanzata oltre il termine di rito, che va qui rilevata.
Secondo la legge processuale, se la causa di ricusazione «è sorta o è divenuta nota durante l’udienza, la dichiarazione di ricusazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell’udienza» (art. :38, comma 2, cod. proc. pen.). Tuttavia, in tali ipotesi «la parte personalmente, sia essa presente o meno, o il suo procuratore speciale possono usufruire del termine di tre giorni, per la presentazione della dichiarazione di ricusazione, a condizione che formulino, prima della fine dell’udienza, apposita riserva in tal senso» (Sez. 3, n. 12983 del 18/12/2014 – deo. 2015, Fiesoli, Rv. 262998 – 01).
L’ipotesi di ricusazione che qui viene addotta è quella prevista dall’art. 36, comma 1, lett. g), cod. proc. pen. – richiamato dall’art. 37, comma 1, lett. a), dello stesso codice – ossia una situazione di incompatibilità ex art. 34, comma 2, cod. proc. pen., a seguito del provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione pena presentata nell’interesse del COGNOME, reso dal AVV_NOTAIO all’udienza del 28 giugno 2023. Invero, il caso di incompatibilità in discorso, contemplato dall’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. (nel testo vigente a seguito delle numerose pronunce della Corte costituzionale), attiene ad atti compiuti dal giudice nel procedimento e, in particolare, a quelli con i quali egli ha espresso la propria valutazione – nei termini richiesti dall’art. 444 cit. – ossia il proprio giudizio (cfr. Corte cos 186 del 13/04/1992; Corte cost. n. 155 del 13/05/1996). Dunque, è nel momento in cui il G.u.p. si è espresso che è venuto in essere e si è cristallizzato il provvedimento che è stato addotto quale causa di ricusazione.
Pertanto, la dichiarazione di ricusazione avrebbe dovuto essere avanzata dopo che il Giudice si era pronunciato sulla richiesta di applicazione della pena – rigettandola, ipotesi quest’ultima che correttamente ha determinato la prosecuzione dell’udienza preliminare per il COGNOME – segnatamente, prima del termine della stessa udienza del 28 giugno 2023; ovvero, sempre prima della fine dell’udienza, occorreva riservarsene la proposizione nei tre giorni successivi (cfr. Sez. 6, n. 17170 del 11/10/2017 – dep. 2018, COGNOME Giovannetti, Rv. 272770 – 01: «la dichiarazione di ricusazione per una causa sorta durante l’udienza, alla presenza del difensore dell’imputato assente, deve essere proposta, ai sensi dell’art. 38, comma 2, cod. proc. pen., prima del termine dell’udienza, intendendosi quest’ultima come unità quotidiana di lavoro, con esclusione della possibilità di farla coincidere con la nozione di dibattimento»; cfr. pure Sez. 5, n. 16159 del 24/02/2016, Sidoti, Rv. 267150 01, Sez. 1, n. 4464 del 24/06/1999, Rv. 214658, COGNOME). Essa, invece, è stata presentata il 30 giugno 2023 (a mezzo posta elettronica certificata), senza che fosse stata espressa alcuna riserva nella detta udienza (cfr. verbale dell’udienza del 28 giugno 2023).
E non può condurre a una conclusione contraria il fatto che il difensore di fiducia, dapprima sostituito in udienza da altro difensore delegato (che ha depositato la richiesta di applicazione della pena), non fosse presente allorché l’udienza è proseguita e il G.u.p., proprio in ragione dell’assenza dei difensori di fiducia e del detto delegato, ha nominato (come prescritto dal rito) un sostituto ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen., ha dato lettura dell’ordinanza di diniego della richiesta di applicazione della pena e, dopo le conclusioni del pubblico ministero e di tale ultimo difensore, ha emesso il decreto che dispone il giudizio: difatti, come chiarito in numerose occasioni da questa Corte, il sostituto nominato ex art. 97, comma 4, cit., esercita tutti i diritti e le facoltà della difesa (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 34474 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 276973 – 01). Né ha alcun rilievo, sotto il profilo in discorso, la mancata pronuncia di un provvedimento di riunione del procedimento separato a seguito della richiesta di applicazione della pena del COGNOME a quello originariamente a carico del ricorrente e del coimputato
Ne deriva che non occorre immorare sul tema dell’incompatibilità del G.u.p. in casi come quello in discorso e sulla prospettata questione di legittimità costituzionale, del tutto priva di rilevanza nel caso di specie.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. deve disporsi la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro
tremila, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi d’impugnazione impone di attribuirle profili di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Se 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024.