Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24147 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24147 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BISCEGLIE il 01/12/1989
avverso l’ordinanza del 06/02/2025 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 febbraio 2025, la Corte d’appello di Bari ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione avanzata da NOME COGNOME nei confronti del dott. NOME COGNOME Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari.
Per miglior comprensione, occorre chiarire che COGNOME – imputato per violazioni della legge in materia di stupefacenti e sottoposto, per questa causa, alla misura cautelare degli arresti domiciliari – ha chiesto la revoca della misura (o, in subordine, la modifica del luogo degli arresti domiciliari da una comunità terapeutica alla propria abitazione) nel corso del giudizio abbreviato instaurato a seguito della notifica di un decreto di giudizio immediato. Il Giudice ha respinto questa richiesta con ordinanza del 29 novembre 2024, nella quale ha affermato che il periodo nel quale l’imputato è stato sottoposto a misura privativa della libertà personale deve apprezzarsi «in termini di assoluta proporzione rispetto all’entità dell’irroganda pena», aggiungendo che «la gravità del fatto, anche alla luce della personalità dell’imputato, già gravemente censurato, è tale da indurre a ritenere insufficiente il tempo trascorso in vinailis ad aver sortito un apprezzabile effetto deterrente rispetto all’apprezzato, elevato, pericolo di recidiva». COGNOME ha sostenuto che, così argomentando, il giudice avrebbe indebitamente anticipato il proprio convincimento sui fatti oggetto di imputazione. Pertanto, ha proposto dichiarazione di ricusazione ai sensi dell’art. 37, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen. La ricusazione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte di appello, secondo la quale il giudice ricusato ha compiuto valutazioni funzionali alla decisione sulla richiesta di revoca della misura cautelare e, facendo riferimento alla pena «irroganda», ha richiamato la disposizione dell’art. 275, comma 2, cod. proc. pen.: dunque ha inteso fare riferimento alla pena che avrebbe potuto essere irrogata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Contro l’ordinanza della Corte di appello, il difensore di NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso,deducendo violazione dell’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il ricorrente, parlando di pena «irroganda», il Giudice ha fatto riferimento ad una «azione già in corso» e dunque ha anticipato il proprio convincimento in ordine alla gravità del fatto e alla pena che avrebbe inflitto. In tesi difensiva, se si tiene conto della fase procedimentale nella quale l’ordinanza è stata pronunciata (successiva alla discussione del Pubblico Ministero e della difesa COGNOME e precedente alle discussioni dei difensori di altri imputati), avendo affermato che vi è proporzione tra «l’entità dell’irroganda pena e la gravità del fatto» e avendo valutato «insufficiente» a fini cautelari «il tempo trascorso in
vinculis» («oltre un anno e mezzo», secondo quanto riferito nel ricorso), il Giudice avrebbe anticipato l’affermazione della penale responsabilità e avrebbe anche indicato che la pena sarebbe stata «superiore all’anno e mezzo» così escludendo implicitamente «eventuali riqualificazioni del fatto» (pag. 3 dell’atto di ricorso). La motivazione con la quale la Corte di appello ha respinto l’istanza di ricusazione sarebbe dunque viziata perché, contro ogni logica, ha interpretato l’espressione «pena irroganda» come una semplice previsione della pena che «in caso di condanna potrà essere irrogata in concreto» (così testualmente pag. 2 dell’ordinanza impugnata) e ha ricondotto questa affermazione nell’alveo delle valutazioni richieste dall’art. 275, comma 2, cod. proc. pen.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice, espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale anche nell’ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della res iudicanda, ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato (Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232067; Sez.3, n. 17868 del 17/03/2009, COGNOME, Rv. 243713; Sez. 6, n. 22112 del 27/02/2014, C., Rv. 260092; Sez. 6, n. 43965 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 264985). Non è controversa, inoltre, nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo la quale la richiesta di ricusazione di cui all’art. 37, comma primo, lett. b), cod. proc. pen., è inammissibile quando si riferisce a funzioni legittimamente esercitate dal giudice nella stessa fase del procedimento. Come è stato osservato, infatti, diversamente opinando si determinerebbe una frammentazione del giudizio e si consentirebbe alle parti, per mezzo della reiterazione di istanze incidentali, di determinare la rimozione del giudice già investito del processo (Sez. 3, n. 4776 del 12/11/2020, dep. 2021, C., Rv. 280692; Sez. 6, n.16453 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263576; Sez. 6, n. 42975 del 22/09/2003, COGNOME, Rv. 227619). Muovendo da queste premesse si
è ritenuto che l’esercizio del potere cautelare in corso di giudizio non det «una situazione di incompatibilità rilevabile come motivo di ricusazione, poich giudice è titolare della competenza accessoria cautelare che si radica in ragio quella principale del giudizio sul merito». Questo principio è stato affermato riferimento ad una istanza di ricusazione avanzata nei confronti del giu chiamato a celebrare il giudizio abbreviato il quale aveva in precedenza respi quale giudice dell’udienza preliminare, la richiesta di sostituzione della misura custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari (Sez. 6, n. 29/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265466). È stato poi ribadito in un cas nel quale la dichiarazione di ricusazione era stata proposta nei confronti del g per l’udienza preliminare che aveva emesso un provvedimento di rigetto di istan di revoca di misura cautelare e si era sostenuto che tale decisione determina condizionamento della scelta difensiva per accedere al rito abbreviato. osservato a tal fine che vi è una «inscindibile relazione tra la competenza accessoria in materia cautelare e il potere di cognizione di cui è titolare qua giudice investito del procedimento dopo l’esercizio dell’azione penale ex art. 279 cod. proc. pen.». Si è sottolineato, inoltre, che «il rigetto dell’istanza della misura cautelare non integra una anticipazione di giudizio» e, in ogni la «legittima aspettativa dell’imputato ad un epilogo assolutorio», ove i pur costituente il motivo fondante della richiesta del rito abbreviato, non pot «precludere al giudice la possibilità di pronunciarsi sull’istanza cautelare» ( n. 3045 del 24/10/2019, dep. 2020, Stambé, Rv. 278658).
3. Nel caso oggetto del presente ricorso, la domanda di ricusazione non stata fondata su una astratta incompatibilità tra l’esercizio del potere caut la decisione del giudizio abbreviato. Secondo il ricorrente, infatti, l’i anticipazione della decisione sarebbe avvenuta in concreto perché, nell’ordina con la quale ha respinto l’istanza di revoca o attenuazione della misura caut proposta da COGNOME, il Giudice ha testualmente affermato: «il periodo trasc in stato di custodia carceraria si apprezz in termini di assoluta propo rispetto all’entità dell’irroganda pena e la gravità del fatto, anche alla l personalità dell’imputato, già gravemente censurato, è tale da indurre a rit insufficiente il tempo trascorso in vinculis ad aver sortito un apprezzabile effetto deterrente rispetto all’apprezzato, elevato, pericolo di recidiva». Secondo la d queste affermazioni non erano necessarie né funzionali alla decisione cautelar hanno determinato, quindi, una indebita anticipazione della decisione di meri tanto più grave perché il giudizio abbreviato era giunto alla fase della discu finale e sulla posizione dell’imputato COGNOME le parti avevano già concluso.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto l’inammissibilità della dichiarazione di ricusazione perché ha escluso il carattere indebito delle valutazioni compiute. Ha ritenuto, infatti, che il giudice fosse tenuto a motivare sulla persistente esistenza delle esigenze cautelari e a valutare se la misura cautelare in corso di esecuzione fosse proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che «si ritiene possa essere irrogata», essendo tale valutazione imposta dall’art. 275, comma 2, cod. proc. pen.
Secondo la Corte di appello, affermando che vi è proporzione tra la durata della privazione della libertà personale e la pena «irroganda», il Giudice non avrebbe anticipato ali esiti della deliberazione conclusiva perché avrebbe fatto riferimento alla pena che avrebbe potuto essere inflitta, come è previsto dall’art. 275, comma 2, cod. proc. pen. Il ricorrente si duole di queste conclusioni deducendo illogicità manifesta della motivazione e sostenendo che la Corte territoriale avrebbe fatto errata applicazione di norme processuali (in specie, degli artt. 34 e 37, comma 1, lett. b cod. proc. pen.).
Poiché è stata dedotta violazione di norme processuali, questa Corte di legittimità non deve limitarsi a verificare se la motivazione del provvedimento impugnato sia congrua, ma può estendere il proprio esame al contenuto
dell’ordinanza con la quale il giudice ricusato avrebbe anticipato la decisione di merito e deve valutare se, affermando che vi è proporzione tra la durata della privazione della libertà personale e la pena «irroganda», il Giudice abbia invaso, senza necessità e senza giustificazione, lo spazio riservato alla deliberazione conclusiva sul merito, anticipandone gli esiti.
È opinione del Collegio che la risposta debba essere negativa. L’art. 275 cod. proc. pen. prevede che, quando applica una misura cautelare, il giudice debba scegliere tra le misure previste dalla legge quella specificamente idonea «in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto» e stabilisce, al comma 2, che «ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata» Analoga previsione è contenuta nell’art. 299 cod. proc. pen. in materia di revoca e sostituzione delle misure. Questa norma, infatti, al comma 2 stabilisce: «alvo quanto previsto dall’art. 275, comma 3, quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con altra meno grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità meno gravose».
Nel caso oggetto del presente ricorso, il Giudice chiamato a decidere, nelle forme del giudizio abbreviato, sulla posizione di NOME COGNOME è stato investito di una richiesta di revoca degli arresti domiciliari o, in subordine, della richiesta d applicare tale misura con modalità meno gravose (presso la abitazione invece che in una comunità terapeutica). Tale richiesta è stata avanzata poco prima della decisione di merito, dopo che la posizione dell’imputato COGNOME era stata discussa ed era stato disposto un rinvio per consentire ai difensori di altri imputati d illustrare le proprie conclusioni. Poiché il giudizio abbreviato era in corso, l richiesta di revoca o attenuazione della misura cautelare non poteva avere ad oggetto la gravità del quadro indiziario né la qualificazione giuridica del fatto Implicava però una valutazione sulla persistente esistenza delle esigenze cautelari; sulla possibilità di salvaguardarle con l’applicazione di misure non privative della libertà personale (o degli arresti domiciliari, ma in un luogo diverso e con modalità meno afflittive); sulla proporzione esistente tra la misura applicata e la sanzione «che si ritiene possa essere irrogata». Quest’ultima valutazione doveva necessariamente tenere conto del tempo trascorso dal momento in cui la privazione della libertà personale aveva avuto inizio e della gravità del fatto oggetto di imputazione (come qualificato nell’imputazione stessa). Ed invero, una misura cautelare privativa della libertà personale non può essere proporzionata alla pena che si ritiene possa essere irrogata se la sua durata è superiore alla pena stessa.
5.1. Come è stato autorevolmente affermato: «Il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale» (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, COGNOME, Rv. 249324 – 01). Ne consegue che «è illegittimo il provvedimento di revoca della custodia cautelare motivato esclusivamente in riferimento alla sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in ragione della corrispondenza della durata della stessa ad una percentuale, rigidamente predeterminata ricorrendo ad un criterio aritmetico, della pena irroganda nel giudizio di merito e prescindendo da ogni valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato l’applicazione» (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, COGNOME, Rv. 249323 – 01).
Dovendo fare applicazione di questi principi, nel caso di specie, il Giudice investito della richiesta di revoca della misura era tenuto a valutare se le esigenze cautelari fossero venute meno o si fossero attenuate e se la privazione della libertà personale fosse proporzionata alla pena che, in concreto, poteva essere inflitta.
L’affermazione secondo la quale, per la gravità del fatto e per i numerosi precedenti, «il tempo trascorso in vinculis» è «insufficiente» a far venir meno il pericolo di recidiva risponde alla prima esigenza; l’affermazione secondo la quale «il periodo trascorso in stato di custodia carceraria si apprezza in termini d assoluta proporzione rispetto all’entità dell’irroganda pena» risponde alla seconda esigenza anche se, impropriamente, parla di pena «irroganda» e non di pena che potrà essere irrogata.
Una valutazione complessiva del contenuto dell’ordinanza, infatti, consente di ritenere che – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa – il Giudice non abbia inteso far riferimento ad una azione «già in corso» consistente «nell’irrogazione di una pena, determinazione che segue all’assunzione di un convincimento», bensì alla pena che si ritiene possa essere irrogata (come previsto dagli artt. 275, comma 2, e 299, comma 2, cod. proc. pen.).
Soccorre in tal senso la constatazione che nella citata sentenza n. 16085 del 31/03/2011, COGNOME, volta a chiarire il contenuto e la portata del principio proporzionalità tra durata della misura e entità della pena, le Sezioni Unite d questa Corte hanno utilizzato la medesima espressione e lo hanno fatto correttamente con riferimento alla pena che altra autorità giudiziaria avrebbe determinato. Nel caso di specie, il giudice della cautela, chiamato a valutare la
sussistenza del requisito della proporzionalità, ha frettolosamente trasposto nella propria ordinanza la medesima espressione, ma ciò non basta a ritenere che sia
stata compiuta una anticipazione di giudizio.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28 maggio 2025