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Ricusazione del giudice: quando si rinuncia al ricorso

Due imputati in un procedimento per disastro ambientale hanno presentato istanza di ricusazione del giudice, sostenendo che quest’ultimo avesse già espresso un parere pregiudizievole in un precedente provvedimento di sequestro. Dopo il rigetto da parte della Corte d’Appello, hanno proposto ricorso in Cassazione. Tuttavia, prima della decisione, hanno formalizzato la rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, di conseguenza, ha dichiarato i ricorsi inammissibili, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricusazione del Giudice: Le Conseguenze della Rinuncia al Ricorso in Cassazione

L’istituto della ricusazione del giudice rappresenta un presidio fondamentale per l’imparzialità della giurisdizione. Ma cosa succede se, dopo aver intrapreso questa strada, si decide di fare un passo indietro? Una recente sentenza della Corte di Cassazione illumina le conseguenze processuali ed economiche della rinuncia al ricorso, un atto che chiude definitivamente la questione senza un esame nel merito.

I Fatti del Caso: La Domanda di Ricusazione

La vicenda trae origine da un complesso procedimento penale per disastro ambientale. Gli imputati avevano presentato un’istanza per la ricusazione del giudice dell’udienza preliminare, ritenendo che la sua imparzialità fosse compromessa. Secondo la difesa, il giudice, in un precedente procedimento cautelare conclusosi con un decreto di sequestro preventivo, aveva espresso valutazioni di merito approfondite che anticipavano il suo convincimento sui fatti oggetto del giudizio principale.

In particolare, i ricorrenti sostenevano che il giudice si fosse già pronunciato sulla presenza di sostanze inquinanti (P.F.A.S.), sulla cattiva gestione delle discariche e sulla loro pericolosità per l’ambiente, elementi che costituivano il nucleo dell’accusa nel procedimento principale. A loro avviso, queste valutazioni andavano oltre i limiti di un giudizio cautelare (limitato al fumus commissi delicti e al periculum in mora), configurando un vero e proprio pregiudizio.

Il Rigetto della Corte d’Appello e il Ricorso in Cassazione

La Corte di Appello di Torino aveva respinto la richiesta di ricusazione, ritenendo che le valutazioni del giudice nel provvedimento di sequestro non avessero sconfinato dai limiti funzionali del giudizio cautelare. Contro questa decisione, gli imputati avevano proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’inosservanza dell’art. 37 del codice di procedura penale e la manifesta illogicità della motivazione. L’obiettivo era ottenere un annullamento dell’ordinanza e, di conseguenza, la sostituzione del giudice.

L’Epilogo Inatteso: La Rinuncia al Ricorso

Il percorso processuale ha subito una svolta decisiva quando, prima che la Corte di Cassazione potesse pronunciarsi nel merito, i ricorrenti hanno depositato una formale dichiarazione di rinuncia al ricorso. Questo atto, sottoscritto sia dalle parti che dai loro difensori, ha cambiato radicalmente l’oggetto della decisione della Suprema Corte.

Le Motivazioni: L’Inammissibilità come Unica Via

La Corte di Cassazione non è entrata nel vivo della questione sulla ricusazione del giudice. La rinuncia all’impugnazione, infatti, preclude qualsiasi esame sul merito dei motivi presentati. La legge processuale stabilisce chiaramente che la rinuncia produce l’effetto di rendere il ricorso inammissibile.

La decisione della Corte si è quindi concentrata esclusivamente sulla presa d’atto della volontà dei ricorrenti di abbandonare l’impugnazione. La sentenza sottolinea che, una volta formalizzata la rinuncia in modo valido (sottoscritta dalle parti e autenticata dai difensori), l’unica pronuncia possibile è la declaratoria di inammissibilità. Questo principio assicura la certezza dei rapporti processuali, impedendo che un procedimento possa rimanere indefinitamente pendente dopo la manifestazione di volontà della parte di non volerlo più coltivare.

Le Conclusioni: Condanna alle Spese e Sanzione Pecuniaria

La declaratoria di inammissibilità per rinuncia non è priva di conseguenze. In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte privata il cui ricorso è dichiarato inammissibile è condannata al pagamento delle spese del procedimento. Ma non solo: la legge prevede anche il pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.

Nel caso di specie, la Corte ha condannato i ricorrenti al pagamento di 500,00 euro. La sentenza chiarisce che questa sanzione si applica a tutte le cause di inammissibilità, inclusa quella derivante dalla rinuncia, come stabilito da consolidata giurisprudenza. Questa decisione ribadisce un punto cruciale: la scelta di rinunciare a un ricorso è un atto che chiude il contenzioso, ma comporta precise responsabilità economiche che la parte deve sostenere.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
La rinuncia formale a un ricorso già presentato ne determina l’inammissibilità. La Corte di Cassazione non esamina il merito della questione ma si limita a dichiarare inammissibile l’impugnazione.

La rinuncia a un ricorso comporta delle spese?
Sì. La parte che rinuncia al ricorso, rendendolo inammissibile, è condannata per legge al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Perché la Corte non ha deciso se la ricusazione del giudice era fondata?
La Corte non ha esaminato il merito della richiesta di ricusazione perché la rinuncia al ricorso da parte dei ricorrenti è un atto che precede e assorbe qualsiasi valutazione sul contenuto dell’impugnazione. La procedura si arresta con la declaratoria di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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