Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46325 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 1 Num. 46325 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TERLIZZI il 09/07/1969
avverso il provvedimento del 28/11/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso depositato il 6 dicembre 2024, COGNOME NOMECOGNOME ricorrente avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce del 23/2/2024, che aveva confermato quella del Tribunale di Lecce del 21/5/2019 di condanna alla pena di euro 5.000 di multa, oltre al pagamento delle .spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, in relazione al delitto di diffamazion in danno di COGNOME MicheleCOGNOME dichiarava di ricusare la d.ssa NOME COGNOME Presidente del Collegio della Quinta Sezione penale della Corte di cassazione davanti al quale era fissata l’udienza del 10 dicembre 2024 per la trattazione del ricorso.
Secondo la dichiarazione, sussistevano verosimilmente motivi di inimicizia e gravi ragioni di convenienza del giudice ricusato nei confronti della COGNOME, dal momento che la d.ssa COGNOME aveva operato negli stessi uffici giudiziari – quelli di Trani – dove aveva operato anche la parte civile dott. NOME COGNOME resosi responsabile in quell’ambiente di ripetute condotte illegittime nei confronti della
Tatoli e di altri soggetti.
Sussistevano, secondo la dichiarazione, forti interconnessioni tra le vicende illegali che si erano svolte nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani, denunciate in un libro scritto da un magistrato, il dott. NOME COGNOME COGNOME avente il titolo “Frammenti di storie semplici”. La d.ssa COGNOME era menzionata nel libro come soggetto attivamente operante nell’ambito dello stesso sistema.
Secondo la dichiarante, la situazione di incompatibilità era ulteriormente confermata dalla istanza di autorizzazione all’astensione formulata dalla d.ssa COGNOME che sarebbe stata segno della consapevolezza di uno stato di coinvolgimento soggettivo e oggettivo che faceva venire meno i requisiti di imparzialità nei suoi confronti. L’istanza di astensione non era stata accolta dal Primo Presidente della Corte.
Alla dichiarazione venivano allegati il dispositivo di una sentenza di condanna del dott. COGNOME pronunciata dal Tribunale di Lecce; il dispositivo di una sentenza della Quinta Sezione penale di questa Corte; una sentenza della Corte di appello di Lecce di condanna del dott. COGNOME articoli di giornale; il libro “Frammenti di store semplici” sopra menzionato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso con cui COGNOME NOME dichiara di ricusare la d.ssa NOME COGNOME è inammissibile.
Agli atti è presente l’istanza di autorizzazione all’astensione presentata dalla d.ssa NOME COGNOME il 22 novembre 2024, successivamente rigettata dalla Prima Presidente della Corte con provvedimento del 28 – 29 novembre 2024.
La d.ssa COGNOME riferiva che il 14 novembre 2024 la COGNOME aveva depositato presso la Cancelleria della Quinta Sezione penale della Corte una “Istanza di astensione o meglio Invito ad astenersi”, atto allegato in copia all’istanza di autorizzazione all’astensione.
In detto atto, la COGNOME rimarcava che il dott. COGNOME aveva svolto “per molti anni le funzioni di magistrato alla Procura di Trani dove la S.V. Ill.ma ha prestato funzione di magistrato”; ricordava, poi, il “sistema di malaffare e corruzione” “venuto a galla”, evento a seguito del quale “molti magistrati sono stati arrestati, condannati, sospesi e destituiti dalla magistratura per il loro malaffare e corruzione nonché per il modo con il quale conducevano le indagini”.
Si tratta, come si vede, del medesimo motivo sulla base del quale COGNOME NOME ha presentato la dichiarazione di ricusazione: la d.ssa NOME COGNOME aveva operato quale magistrato negli uffici giudiziari di Trani, nei quali operava anche il dott. NOME COGNOME; uffici giudiziari rivelatisi luogo “di malaffare e di corruzione” e anche teatro di condotte illecite attribuite al dott. COGNOME.
Ebbene: in applicazione dell’art. 38 cod. proc. pen., questa Corte ha ripetutamente affermato, in tema di ricusazione, che, qualora la parte opti per il preventivo invito all’astensione rivolto al giudice e questi riservi sul punto la decisione, il termine di tre giorni per la dichiarazione di ricusazione decorre comunque dal momento in cui la parte stessa è venuta a conoscenza della causa d’incompatibilità, indipendentemente dalla sopravvenuta decisione di rigetto dell’invito assunta dal giudice a scioglimento della riserva (Sez. 1, Sentenza n. 5229 del 28/10/2020 Cc. (dep. 10/02/2021) Rv. 280973 – 01); ciò in quanto i termini per la dichiarazione di ricusazione decorrono autonomamente rispetto alla decisione del giudice di astenersi o al rigetto della relativa dichiarazione (Sez. 6, Sentenza n. 49080 del 03/12/2013 Cc. (dep. 05/12/2013) Rv. 258364 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 33422 del 26/06/2008 Cc. (dep. 13/08/2008) Rv. 241385 – O) o, ancora, all’esito negativo di una sollecitazione all’astensione rivolta al giudice che versi nella pretesa situazione di incompatibilità (Sez. 2, Sentenza n. 9166 del 19/02/2008 Cc. (dep. 29/02/2008) Rv. 239553 – 01).
La dichiarazione, pertanto, è tardiva rispetto al termine di tre giorni dalla data di conoscenza della causa di ricusazione.
La dichiarazione di ricusazione è, comunque, inammissibile perché formulata con riferimenti a motivi che non la permettono.
In effetti, la dichiarazione recita: “sussistono verosimilmente motivi di inimicizia e di gravi ragioni di convenienza nei miei confronti …”; il riferimento è come precisato immediatamente prima, alle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 36, comma 1, lett. d) ed h) cod. proc. pen.
Ebbene: come si evince dalla lettura dell’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., le “altre gravi ragioni di convenienza” menzionate dall’art. 36, comma 1, lett. h) cod. proc. pen. non permettono la dichiarazione di ricusazione.
Quanto, invece, ai “motivi di inimicizia” menzionati nella dichiarazione, essi,
per essere rilevanti ai fini dell’astensione e della ricusazione, devono essere “gravi”, caratteristica nemmeno indicata dalla dichiarante.
Non solo: la costante giurisprudenza di legittimità afferma che il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, deve essere reciproco e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo e ancorati a circostanze oggettive (Sez. 5, Sentenza n. 5602 del 21/11/2013 Cc. (dep. 04/02/2014) Rv. 258867 – 0; Sez. 5, Sentenza n. 11968 del 26/02/2010 Cc. (dep. 26/03/2010) Rv. 246557 – 0; Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 16/12/2004 Cc. (dep. 03/02/2005) Rv. 231399 – 0); ma la dichiarante – oltre a definire non certi, ma solo “verosimili” i motivi di inimicizia – non riferisc nemmeno di rapporti di carattere privato con il magistrato ricusato, né indica circostanze oggettive che dovrebbero determinare l’inimicizia con la stessa, né, ancora, sostiene che il sentimento sia reciproco.
Ulteriore causa di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione riguarda l’indicazione delle prove della causa di ricusazione e la documentazione prodotta.
In effetti, essendo la ricusazione fondata sulla sussistenza di “motivi di inimicizia” tra la dichiarante e il magistrato ricusato, la prova fornita e i documenti prodotti avrebbero dovuto essere attinenti all’esistenza di un tale rapporto; al contrario, la documentazione prodotta riguarda tutt’altro: le vicende penali che hanno coinvolto il dott. COGNOME notizie giornalistiche sulle vicende relative ad alcuni magistrati in servizio a Trani, nonché un libro, scritto da un magistrato, il quale – come emerge da una notizia giornalistica anch’essa prodotta con la dichiarazione – aveva pubblicamente affermato e ribadito che si trattava di un racconto “di fantasia”.
Nessuno dei documenti menziona, nemmeno incidentalmente, la d.ssa COGNOME cosicché non si può che concludere che il deposito non soddisfa affatto il requisito richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 38, comma 3, cod. proc. pen., atteso che non risulta in alcun modo finalizzato a provare la causa di ricusazione sopra indicata.
All’inammissibilità del ricorso con cui la COGNOME ha effettuato la dichiarazione di ricusazione consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 44 cod. proc. pen., di una somma alla cassa delle ammende che pare equo determinare in euro 1.500.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 6 dicembre 2024
Il Presidente estensore