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Ricusazione del giudice: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la ricusazione del giudice del Tribunale di Sorveglianza per ‘inimicizia grave’. La Corte ha stabilito che i provvedimenti sfavorevoli, se rientrano nel normale esercizio delle funzioni giurisdizionali, non costituiscono prova di inimicizia personale e non giustificano la ricusazione del giudice. Il rigetto si basa sulla distinzione tra atti processuali, impugnabili con i mezzi ordinari, e rapporti personali esterni al processo, unici rilevanti per la ricusazione.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricusazione del Giudice per Inimicizia: Limiti e Criteri

L’imparzialità del giudice è un pilastro fondamentale di ogni sistema giudiziario. Ma cosa succede quando una parte percepisce un’ostilità personale da parte del magistrato? La legge prevede lo strumento della ricusazione del giudice, ma i suoi confini sono rigorosi, come ribadito dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza n. 22823/2024. Questa pronuncia chiarisce che il semplice dissenso verso le decisioni di un giudice non è sufficiente a dimostrare quella ‘inimicizia grave’ richiesta dalla legge.

I Fatti del Caso: L’accusa di ‘Persecuzione Giudiziaria’

Il caso nasce dalla dichiarazione di ricusazione presentata da un soggetto nei confronti del Presidente del Tribunale di Sorveglianza del suo distretto. L’istante sosteneva di essere vittima di una sorta di ‘persecuzione giudiziaria’ o ‘arbitrio giudiziale’. A suo dire, questa ostilità si sarebbe manifestata attraverso il rigetto sistematico e reiterato delle sue istanze da parte del magistrato.

La Corte di appello competente aveva già respinto la richiesta, dichiarandola inammissibile. Secondo i giudici di merito, i provvedimenti contestati rientravano pienamente nell’ordinario esercizio dell’attività giurisdizionale. Si trattava di decisioni soggette ai normali mezzi di impugnazione e che non contenevano valutazioni di tipo personale, né mostravano alcuna interferenza con il procedimento principale.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Ricusazione del Giudice

Investita della questione, la Suprema Corte ha confermato la decisione precedente, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno sottolineato che la difesa del ricorrente aveva erroneamente confuso i presupposti della ricusazione con quelli, diversi, dell’astensione.

La Corte ha stabilito che le doglianze del ricorrente erano generiche e non riuscivano a dimostrare il requisito fondamentale per la ricusazione: l’esistenza di un’inimicizia grave, basata su rapporti personali esterni al processo.

Le Motivazioni: la Differenza tra Atti Giudiziari e Inimicizia Personale

La motivazione della sentenza si concentra sulla distinzione cruciale tra la condotta processuale del giudice e l’inimicizia personale. La Cassazione chiarisce che l’inimicizia grave, prevista dall’art. 36, comma 1, lett. d) del codice di procedura penale come motivo di ricusazione, deve avere radici in rapporti personali estranei al processo ed essere ancorata a circostanze oggettive e concrete.

Il comportamento del giudice all’interno del processo (la cosiddetta condotta ‘endoprocessuale’) può assumere rilevanza solo in casi eccezionali: quando presenta aspetti talmente anomali e settari da diventare il sintomo inequivocabile di un’inimicizia nata e maturata all’esterno del contesto giudiziario.

Nel caso specifico, il ricorrente si era limitato a lamentare una serie di decisioni a lui sfavorevoli, senza però spiegare perché questi atti, di per sé legittimi, dovessero essere considerati la prova di una ‘inimicizia ideologica’ preesistente. La Corte di Cassazione ha evidenziato che i provvedimenti del magistrato erano perfettamente rituali e non esorbitavano dal legittimo esercizio delle funzioni giurisdizionali. Contrastare tali decisioni è possibile, ma attraverso gli strumenti processuali previsti, come gli appelli, non con una richiesta di ricusazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: la ricusazione del giudice non è uno strumento per contestare nel merito le sue decisioni. L’ordinamento giuridico offre già i mezzi di impugnazione per censurare eventuali errori di giudizio. La ricusazione serve a tutelare l’imparzialità del giudice da contaminazioni esterne di natura personale.

Perché una richiesta di ricusazione per inimicizia grave possa essere accolta, è necessario fornire la prova di un’ostilità personale e privata, non deducibile semplicemente da una serie di provvedimenti sfavorevoli. L’onere della prova è a carico di chi propone l’istanza, che deve allegare fatti concreti e oggettivi. In assenza di tali elementi, come nel caso di specie, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, data la manifesta infondatezza dell’iniziativa.

Qual è la differenza fondamentale tra un atto giudiziario sfavorevole e un’inimicizia grave ai fini della ricusazione?
Un atto giudiziario sfavorevole è una decisione presa dal giudice nell’esercizio delle sue funzioni e può essere contestato tramite i mezzi di impugnazione previsti dalla legge (es. appello). L’inimicizia grave, invece, è un’ostilità di natura personale e privata, esterna al processo, che deve essere provata con fatti oggettivi e concreti.

Il comportamento di un giudice durante il processo può mai giustificare una richiesta di ricusazione?
Sì, ma solo in circostanze eccezionali. Secondo la Corte, ciò avviene quando la condotta del giudice è talmente anomala e settaria da costituire la prova evidente di un’inimicizia personale maturata al di fuori del contesto processuale. Non è sufficiente una serie di decisioni contrarie alla parte.

Cosa accade se una richiesta di ricusazione viene giudicata manifestamente infondata dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso per ricusazione è ritenuto manifestamente infondato, viene dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, poiché si presume una sua colpa nell’aver avviato un’azione legale priva di fondamento. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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